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Divieto di reingresso: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per aver violato il divieto di reingresso. L’imputato contestava la mancata motivazione sulla durata del divieto e il diniego delle attenuanti generiche. La Corte ha stabilito che, essendo il rientro avvenuto dopo solo un anno a fronte di un divieto minimo di tre, la questione sulla motivazione della durata massima è irrilevante. Il diniego delle attenuanti è stato confermato a causa della condotta dell’imputato, volta a eludere i controlli con false generalità.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Reingresso: Quando la Motivazione sulla Durata è Irrilevante

L’ordinanza n. 21733/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul reato di violazione del divieto di reingresso previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione. La pronuncia analizza i limiti dell’impugnazione in sede di legittimità, ribadendo principi consolidati in materia di valutazione dei provvedimenti amministrativi e di concessione delle attenuanti generiche. Questo caso dimostra come la violazione del periodo minimo del divieto renda di fatto irrilevanti le censure sulla motivazione della sua durata massima.

I Fatti del Caso: La Violazione del Divieto e la Condanna

Un cittadino straniero veniva condannato in primo grado dal Tribunale e, successivamente, dalla Corte d’Appello alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’art. 13, comma 13, del D.Lgs. 286/1998. Il reato contestato consisteva nell’aver fatto reingresso illegale nel territorio italiano in violazione di un precedente decreto di espulsione, che imponeva un divieto di ritorno. L’imputato, non accettando la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa del ricorrente si basava su due motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si contestava la validità dell’atto amministrativo (il decreto di espulsione) che imponeva il divieto di rientro. In particolare, si lamentava la carenza di motivazione riguardo alla durata del divieto, fissata al massimo, e si chiedeva la disapplicazione dell’atto stesso.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Si criticava la decisione dei giudici di merito di non concedere le circostanze attenuanti, ritenendola ingiustificata.

L’Analisi della Corte sul Divieto di Reingresso

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. L’analisi si è concentrata su due aspetti cruciali della disciplina del divieto di reingresso.

La Questione della Motivazione sulla Durata

Sul primo punto, la Corte ha sottolineato un dato di fatto decisivo: il ricorrente aveva violato il divieto rientrando in Italia dopo appena un anno. La legge prevede che la durata minima del divieto di reingresso sia di tre anni. Pertanto, secondo i giudici, la questione della presunta mancanza di motivazione sulla durata massima imposta dal provvedimento amministrativo diventava del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato. L’imputato aveva comunque trasgredito il periodo minimo inderogabile previsto dalla normativa. La Corte ha inoltre osservato che la questione della nullità del decreto non era mai stata sollevata nel corso del procedimento amministrativo.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti generiche fosse adeguatamente motivata e rispettosa dei principi di proporzionalità. La valutazione si è basata sulla condotta complessiva dell’imputato, che era stata caratterizzata dal ricorso a generalità diverse da quelle precedenti al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine. Tale comportamento, secondo la giurisprudenza consolidata, indica una maggiore pericolosità sociale e giustifica ampiamente il diniego del beneficio.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure sollevate erano manifestamente infondate e miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività non consentita nel giudizio di legittimità. Il criterio di giudizio applicato dai giudici di merito è stato ritenuto corretto e coerente. La decisione si fonda sul principio che, di fronte a una violazione del periodo minimo del divieto di rientro, le doglianze formali sulla durata massima perdono di rilevanza. Allo stesso modo, il diniego delle attenuanti è stato considerato legittimo perché ancorato a elementi concreti della condotta dell’imputato, dimostrando una corretta applicazione degli articoli 132 e 133 del codice penale.

Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel reato di violazione del divieto di reingresso, la consumazione avviene nel momento in cui si rientra illegalmente nel territorio nazionale entro il periodo minimo stabilito dalla legge (tre anni). Le eventuali carenze motivazionali sulla durata massima del divieto non possono sanare una condotta che è già di per sé illecita. Inoltre, la pronuncia conferma che la valutazione per la concessione delle attenuanti generiche deve tenere conto del comportamento complessivo dell’imputato, inclusi i tentativi di ingannare le autorità, che possono giustificare una maggiore severità sanzionatoria. La decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

La mancata motivazione sulla durata di un divieto di reingresso rende sempre nullo il provvedimento che lo contiene?
No. Secondo questa ordinanza, se il reingresso illegale avviene prima della scadenza del periodo minimo di divieto previsto dalla legge (tre anni), la questione sulla motivazione della durata massima diventa irrilevante ai fini della sussistenza del reato.

Perché la Corte ha ritenuto legittimo il diniego delle attenuanti generiche?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito perché basata sulla condotta complessiva dell’imputato. L’aver utilizzato generalità diverse da quelle precedenti per tentare di eludere i controlli è stato considerato un elemento concreto che giustifica la mancata concessione delle attenuanti.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della vicenda. La conseguenza per il ricorrente è la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso pari a 3.000 euro, da versare alla cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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