Divieto di Reingresso: Quando la Motivazione sulla Durata è Irrilevante
L’ordinanza n. 21733/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul reato di violazione del divieto di reingresso previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione. La pronuncia analizza i limiti dell’impugnazione in sede di legittimità, ribadendo principi consolidati in materia di valutazione dei provvedimenti amministrativi e di concessione delle attenuanti generiche. Questo caso dimostra come la violazione del periodo minimo del divieto renda di fatto irrilevanti le censure sulla motivazione della sua durata massima.
I Fatti del Caso: La Violazione del Divieto e la Condanna
Un cittadino straniero veniva condannato in primo grado dal Tribunale e, successivamente, dalla Corte d’Appello alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’art. 13, comma 13, del D.Lgs. 286/1998. Il reato contestato consisteva nell’aver fatto reingresso illegale nel territorio italiano in violazione di un precedente decreto di espulsione, che imponeva un divieto di ritorno. L’imputato, non accettando la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa del ricorrente si basava su due motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si contestava la validità dell’atto amministrativo (il decreto di espulsione) che imponeva il divieto di rientro. In particolare, si lamentava la carenza di motivazione riguardo alla durata del divieto, fissata al massimo, e si chiedeva la disapplicazione dell’atto stesso.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Si criticava la decisione dei giudici di merito di non concedere le circostanze attenuanti, ritenendola ingiustificata.
L’Analisi della Corte sul Divieto di Reingresso
La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. L’analisi si è concentrata su due aspetti cruciali della disciplina del divieto di reingresso.
La Questione della Motivazione sulla Durata
Sul primo punto, la Corte ha sottolineato un dato di fatto decisivo: il ricorrente aveva violato il divieto rientrando in Italia dopo appena un anno. La legge prevede che la durata minima del divieto di reingresso sia di tre anni. Pertanto, secondo i giudici, la questione della presunta mancanza di motivazione sulla durata massima imposta dal provvedimento amministrativo diventava del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato. L’imputato aveva comunque trasgredito il periodo minimo inderogabile previsto dalla normativa. La Corte ha inoltre osservato che la questione della nullità del decreto non era mai stata sollevata nel corso del procedimento amministrativo.
Il Diniego delle Attenuanti Generiche
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti generiche fosse adeguatamente motivata e rispettosa dei principi di proporzionalità. La valutazione si è basata sulla condotta complessiva dell’imputato, che era stata caratterizzata dal ricorso a generalità diverse da quelle precedenti al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine. Tale comportamento, secondo la giurisprudenza consolidata, indica una maggiore pericolosità sociale e giustifica ampiamente il diniego del beneficio.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure sollevate erano manifestamente infondate e miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività non consentita nel giudizio di legittimità. Il criterio di giudizio applicato dai giudici di merito è stato ritenuto corretto e coerente. La decisione si fonda sul principio che, di fronte a una violazione del periodo minimo del divieto di rientro, le doglianze formali sulla durata massima perdono di rilevanza. Allo stesso modo, il diniego delle attenuanti è stato considerato legittimo perché ancorato a elementi concreti della condotta dell’imputato, dimostrando una corretta applicazione degli articoli 132 e 133 del codice penale.
Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel reato di violazione del divieto di reingresso, la consumazione avviene nel momento in cui si rientra illegalmente nel territorio nazionale entro il periodo minimo stabilito dalla legge (tre anni). Le eventuali carenze motivazionali sulla durata massima del divieto non possono sanare una condotta che è già di per sé illecita. Inoltre, la pronuncia conferma che la valutazione per la concessione delle attenuanti generiche deve tenere conto del comportamento complessivo dell’imputato, inclusi i tentativi di ingannare le autorità, che possono giustificare una maggiore severità sanzionatoria. La decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.
La mancata motivazione sulla durata di un divieto di reingresso rende sempre nullo il provvedimento che lo contiene?
No. Secondo questa ordinanza, se il reingresso illegale avviene prima della scadenza del periodo minimo di divieto previsto dalla legge (tre anni), la questione sulla motivazione della durata massima diventa irrilevante ai fini della sussistenza del reato.
Perché la Corte ha ritenuto legittimo il diniego delle attenuanti generiche?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito perché basata sulla condotta complessiva dell’imputato. L’aver utilizzato generalità diverse da quelle precedenti per tentare di eludere i controlli è stato considerato un elemento concreto che giustifica la mancata concessione delle attenuanti.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della vicenda. La conseguenza per il ricorrente è la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso pari a 3.000 euro, da versare alla cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21733 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21733 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (CUI: 05TTAHN) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione pronunciata all’esito dal Tribunale di Firenze il 28/11/2022 nei confronti di NOME in relazione al reato di cui all’art. 13, comma 13 D.Lgs 286/1998;
Rilevato che con il ricorso e con la memoria pervenuta il 22/3/2024 si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato con riferimento al rigetto di disapplicazione dell’atto amministrativo in quanto carente della motivazione circa la durata del divieto di reingresso indicato nel massimo e quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
Rilevato che la doglianza oggetto del primo motivo è manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella di primo grado, ha dato una risposta adeguata e coerente alle analoghe censure già esposte nell’atto di appello evidenziando come la questione della nullità del decreto per difetto di motivazione circa il periodi di divieto del reingresso non è stata posta nel corso del procedimento amministrativo e .come, comunque, questo sia nella sostanza irrilevante considerato che il ricorrente ha commesso il reato dopo un unico anno allorché la durata minima prevista per il reingresso è di tre anni (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata);
Rilevato che le doglianze oggetto del secondo motivo sono manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale, ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex artt. 132 e 133 cod. pen. della Corte di merito, e ciò anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest’ultimo aspetto, della condotta complessivamente tenuta che, anche non volendo considerare come falsi i documenti utilizzati, risulta caratterizzata dall’avere fatto ricorso a generalità diverse da quella precedenti al fine di cercare di eludere i controlli (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto il criterio di giudizio applicato è corretto e le censure sono pertanto manifestamente infondate e comunque tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/4/2024