Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1247 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1247 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/06/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Torre del Greco (Na) il 12 marzo 1980; NOME NOME, nato a Marano di Napoli (Na) il 15 febbraio 1972; NOME NOME, nato a Torre Annunziata (Na) il 3 gennaio 1977; NOME NOME, nato a Napoli il 20 marzo 1978; NOMECOGNOME nato a Noia (Na) il 11 dicembre 1963; COGNOME NOME, nato a Villaricca (Na) il 24 settembre 1980; COGNOME NOME, nato a Marano di Napoli (Na) il 11 novembre 1973; avverso la sentenza n. 12984/22 della Corte GLYPH appello di Napoli del 9 settembre 2022;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata ed i ricorsi introduttivi; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ed il rigetto dei retanti ricorsi;
sentiti, altresì, per il ricorrente NOMECOGNOME l’avv. NOME COGNOME del foro di Salerno, per il ricorrente COGNOME, l’avv. NOME COGNOME del foro di Torre Annunziata, per il ricorrente COGNOME, l’avv. NOME COGNOME del foro di Roma, e per il ricorrente COGNOME, l’avv. NOME COGNOME del foro di Torre Annunziata, i quali insistono tutti per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 9 settembre 2022, giudicando in sede di rinvio – disposto dalla IV Sezione penale della Corte di cassazione con sentenza n. 32868 del 5 ottobre 2020 – ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado emessa dal Gup del Tribunale di Napoli in data 4 settembre 2015, con la quale gli odierni ricorrenti erano stati condannati, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena ritenuta per ciascuno di giustizia, taluni per aver partecipato, con diversi ruoli, all’associazione finalizzata al narcotraffico di cui ai capi di imputazione A) (si tratta degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME) altri a quella di cui al capo B) (si tratta dell’imputato NOME) e tutti per essersi resi responsabili di reati-fine, previsti dall’art. 73 del dPR n. 309 del 1990; altri per la mera partecipazione all’associazione di cui al capo A) (gli imputati COGNOME e COGNOME NOME); altri ancora per soli reati, in un caso rimasto a livello di tentativo, previsti dall’art. 73 del menzionato dPR (l’imputato Giugliano).
In sede di giudizio di rinvio, è stata esclusa l’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. nei confronti degli imputati COGNOME, COGNOME, NOME, Giugliano, Nettuno NOME e COGNOME NOME; si è dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo H) di imputazione nei confronti del COGNOME, in quanto estinto per prescrizione; è stata rideterminata la pena irrogata a COGNOME in conseguenza dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute e valutate prevalenti sulle contestate aggravanti.
La parziale riforma ha interessato anche le posizioni di altri imputati ora non più implicati nel processo, mentre, nel resto, è stata confermata la pronuncia di primo grado.
Avverso la sentenza che ha definito il giudizio di rinvio hanno interposto ricorso per cassazione gli imputati COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
L’impugnazione proposta dal Bianco si compone di un unico motivo di doglianza, con il quale è stata dedotta la violazione dell’ad 597, comma 4, cod. proc. pen., poiché alla esclusione in sede di giudizio di rinvio dell’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. non era seguita alcuna riduzione della pena, cosicché all’imputato sarebbe stato riservato un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello stabilito con la sentenza di primo grado, che non era stata impugnata dal Pm.
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato NOME è articolato in una duplice censura, attinente all’entità della riduzione di pena operata dal giudice del rinvio in virtù dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che – all’esito della rideternninazione del trattamento sanzionatorio cui lo stesso giudice ha provveduto in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa – sarebbe risultata inferiore rispetto a quella disposta in sede di appello; ciò che, ad avviso del ricorrente, integrerebbe la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. peri.; sul punto, inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato si qualificherebbe carente e contraddittoria, avendo la Corte d’appello di Napoli omesso ogni argomentazione in ordine al rilevato aggravamento del trattamento sanzionatorio.
Ancora, è incentrato su un unico punto della sentenza impugnata quello relativo all’aumento di pena per la continuazione tra i reati addebitatigli – il ricorso del COGNOME, il quale ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. in cui il giudice del rinvio sarebbe incorso nel ritenere che, non risultando evidente che il giudice dell’appello avesse ridotto le entità degli aumenti ex art. 81, comma 2′ cod. pen. rispetto a quelle stabilite in primo grado, tali entità dovessero essere confermate.
Con un unico ricorso, gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali hanno personalmente sottoscritto l’atto in questione, hanno impugnato la sentenza emessa in sede di rinvio formulando due motivi di doglianza; il primo attiene alla affermazione della responsabilità penale di entrambi per la partecipazione all’associazione di cui al capo A) di imputazione: è stata dedotta l’erronea applicazione della legge penale e l’assenza di motivazione sul punto, in quanto le argomentazioni sviluppate dal giudice del rinvio per escludere l’applicazione dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. avrebbero imposto una “rivalutazione” della ritenuta partecipazione degli imputati a detto sodalizio; con il secondo motivo di doglianza, i ricorrenti hanno censurato l’assenza di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: in particolare, non sarebbe stata considerata la positiva condotta degli imputati successiva al reato.
Quanto all’impugnazione proposta nell’interesse del COGNOME – nei confronti del quale il giudizio di rinvio ha avuto ad oggetto tutte le censure mosse in appello con riferimento al trattamento sanzionatorio, poiché in sede di giudizio di legittimità era stato erroneamente dichiarato l’assorbimento di
quelle non riguardanti l’aggravante dell’agevolazione mafiosa – con essa il ricorrente si è anzitutto doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., della violazione dell’art. 133 cod. pen. e dell’apoditticità della motivazione con la quale è stata esclusa l’applicazione delle attenuanti generiche; in particolare, nel corso del processo di appello, la difesa avrebbe prodotto ordinanza emessa nel 2016 dal Magistrato di sorveglianza di Avellino in tema di liberazione anticipata, alla luce della quale i progressi nel percorso rieducativo del Cesaro non avrebbero potuto ritenersi, come invece si sarebbe sostenuto nella sentenza impugnata, indimostrati; con un secondo motivo di ricorso, la difesa ha dedotto la violazione e falsa applicazione della legge penale in ordine alla negata riduzione degli aumenti disposti per la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine addebitati all’imputato, limitati nel numero di due e commessi in un ristretto arco temporale, che sarebbe stata motivata con mera enunciazione di stile; l’ultima censura formulata dal COGNOME riguarda la negata applicazione della continuazione esterna tra i fatti di cui al presente processo e quelli accertati con sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 8 marzo 2013, divenuta irrevocabile il 31 gennaio 2014; sul punto, il giudice del rinvio sarebbe incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 81, cpv, cod. pen., rendendo inoltre motivazione apodittica ed omettendo di considerare i rilievi formulati dall’appellante relativi al contesto temporale e territoriale in cui avvennero i fatti per i quali era stata invocata l’applicazione di tale disposizione, ed il coinvolgimento dei medesimi c:oimputati.
Infine, il ricorso presentato nell’interesse del Giugliano – nei confronti del quale il giudizio di rinvio ha avuto ad oggetto tutte le censure, tranne quella sulle attenuanti generiche, da questi mosse in appello, concernenti sia l’affermazione della responsabilità penale per i reati-addebitati sia il trattamento sanzionatorio, poiché il giudice dell’appello non aveva su di esse deciso, erroneamente ritenendo che l’imputato vi avesse rinunciato, per coltivare il solo motivo inerente all’invocata applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. – è articolato in cinque motivi di doglianza. Di questi, il primo attiene alla affermata responsabilità penale per il delitto di cui al capo I) di imputazione, in ordine alla quale la Corte di appello di Napoli sarebbe incorsa nel vizio della mancanza di motivazione, rispetto alle specifiche censure mosse dalla difesa in sede di gravame, e della manifesta illogicità della stessa, nonché nella violazione dell’art. 110 cod. pen.; è stata poi dedotta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 59, comma secondo, cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla
applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, del dPR n. 309 del 1990, con riferimento al capo I) di imputazione; in particolare, il ricorrente ha lamentato il travisamento della prova emergente dalla parte della motivazione ove si afferma che all’esito del disposto sequestro fu accertato che lo stupefacente importato conteneva 48 kg di THC, mentre tale indicazione, come risulterebbe dal testo della sentenza di primo grado e dall’ordinanza del Tribunale del riesame intervenuta a carico dell’imputato, avrebbe riguardato il peso netto della sostanza sequestrata, anziché il principio attivo; con il terzo motivo di ricorso, il COGNOME ha censurato la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogiutà della motivazione inerente alla confermata applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 99, comma 4, cod. pen., nonché l’inosservanza ed erronea applicazione della medesima disposizione, in quanto il giudice del rinvio avrebbe illegittimamente valorizzato una condanna per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti emessa a carico del ricorrente in epoca successiva all’instaurazione del presente processo.
La quarta doglianza formulata dal COGNOME attiene al disposto trattamento sanzionatorio – con riferimento all’entità della pena base per il reato di cui al capo I) dell’imputazione e a quella della riduzione operata per la concessione delle attenuanti generiche – in ordine al quale il ricorrente ha dedotto la mancanza della motivazione nonché l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen.; infine, il ricorrente si è doluto della mancanza della motivazione e dell’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 202 e ss. e 228 e ss. cod. pen., in relazione alla confermata applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Dei ricorsi proposti solamente quello dell’imputato NOME NOME è risultato fondato, essendo, invece, risultati o infondati o direttamente inammissibili i restanti.
Ritiene, comunque, il Collegio necessario dare preliminarmente conto della avvenuta presentazione, in data 27 giugno 2023, di una istanza di differimento del giudizio, presentata nell’interesse dei ricorrenti Nettuno Daniele e Nettuno Vincenzo dal loro comune difensore Avv. NOME COGNOME retta.
Siffatta istanza è argomentata in base all’avvenuta recentissima nomina da parte degli imputati – i quale, sebbene assistiti nei precedenti gradi del
giudizio nonché in quello di rinvio da altro difensore, hanno personalmente redatto il ricorso per cassazione nel loro interesse – di tale difensore fiduciario; questi, invocando il disposto dell’art. 108 cod. proc. pen. e segnalando la inesistenza, a suo avviso, di motvi ostativi al differimento del processo, ha, pertanto, chiesto il differimento della trattazione della posizione dei suoi due assistiti.
L’istanza non è accoglibile.
Osserva, infatti, il Collegio, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che – pur in disparte ogni considerazione, da svolgersi in linea di principio, in ordine alla esistenza o meno quanto al caso di specie di motivi astrattamente ostativi al richiesto rinvio, non potendosi restringere gli stessi, come invece parrebbe opinare il difensore odierno istante, alla sola ipotesi in cui il soggetto da sottoporre a giudizio sia assoggettato ad una qualche misura cautelare restrittiva della sua libertà personale, dovendo, invece, ribadirsi che il riconoscimento del termine a difesa secondo la previsione di cui all’art. 108 cod. proc. pen., funzionale ad assicurare una difesa effettiva, non determina il diritto dell’imputato ad ottenere il rinvio dell’udienza in ogni caso di nomina tardiva, di tal che anche questo diritto deve essere bilanciato con il principio della ragionevole durata del processo ed essere esercitato senza trasformare le nomine e le revoche dei difensori in un possibEle sistema di controllo privato delle scansioni e dei tempi del processo (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 6 febbraio 2023, n. 4928) – in ogni caso la previsione invocata dall’istante a sostegno della propria richiesta, il già citato art. 108 cod. proc. pen., non è applicabile al giudizio di legittimità.
Infatti, nel giudizio per cassazione, nel caso di revoca del precedente difensore e di nomina di uno nuovo verificatesi nell’immediatezza della celebrazione del processo, non è consentita la concessione di un termine a difesa poiché, in tale giudizio, l’intervento del difensore è meramente eventuale anche per i procedimenti che si celebrano in pubblica udienza (Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 gennaio 2022, n. 2655; idem Sezione V penale, 26 febbraio 2014, n. 9365).
Passando, pertanto, all’esame dei singoli motivi di impugnazione presentati dai vari imputati e prendendo le mosse dai ricorsi redatti proprio nell’interesse dei due ricorrenti di cui si è sinora trattato, se ne rileva la immediata e evidente inammissibilità, trattandosi di atti sottoscritti dai medesimi ricorrenti, successivamente alla modifica introdotta nell’art. 613 cod. proc. pen. a seguito della entrata in vigore dell’art. 1, comma 63, della
legge n. 103 del 2017, che tale facoltà di personale redazione del ricorso per cassazione, anteriormente prevista, ha tassativamente escluso; né, si osserva, una tale, viziata, modalità di redazione del ricorso per cassazione può intendersi sanata per effetto dell’avvenuta autenticazione, da parte di professionista astrattamente abilitato sia al compimento di tale operazione che alla redazione del ricorso, della sottoscrizione apposta in calce ai ricorsi presentati dai due impugnanti.
Infatti, come in diverse occasioni questa Corte ha affermato, con rilievo cui qui si intende pienamente aderire, il ricorso per cassazione non può essere proposto dalla parte personalmente ma, a seguito della già citata modifica apportata all’art. 613 cod. proc. pen., esso deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, essendo irrilevante, per la natura personale dell’atto impugnatorio, l’autenticazione, ad opera di un legale, della sottoscrizione del ricorso, trattandosi, quanto a quest’ultima operazione, di atto che non attribuisce al difensore la titolarità dell’atto impugnatorio (per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 marzo 2021, n. 11126; idem Sezione IV penale, 31 ottobre 2019, n. 44401).
Passando, quindi, al ricorso di NOME COGNOME, si rileva che esso è incentrato unicamente sulla ritenuta violazione della regola del divieto delle reformatío in pejus in cui sarebbe incorso il giudice del gravame in quanto, secondo il ricorrente, questi, pur avendo escluso la sussistenza di una delle aggravanti originariamente contestate all’imputato ha omesso di procedere alla riduzione della sanzione ad esso irrogata; questa essendo la doglianza articolata dal ricorrente, ne rileva il Collegio la inammissibilità.
Infatti, seppure sia ben vero che la Corte di appello di Napoli, giudicando, in sede di rinvio, in merito alla posizione di NOME COGNOME ha escluso la ricorrenza a suo carico della circostanza aggravante della cosiddetta agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod’ pen., confermando nel resto – quindi anche in relazione al trattamento sanzionatorio a suo carico irrogato la sentenza emessa in primo grado, una tale statuizione non si pone in contrasto con la regola del divieto di reformatio in pejius.
Nel caso di specie, infatti, la Corte di appello ha considerato che in primo grado la pena base a carico del Bianco era stata commisurata nel minimo edittale previsto per il reato accertato e su di essa, prima dell’abbattimento derivante dalla scelta del rito abbreviato, non era stato applicato alcun aumento derivante dalla pur ritenuta aggravante.
Tale circostanza impedisce che la conferma della pena precedentemente irrogata possa, pur essendo stata esclusa la aggravante in questione, configurare un’ipotesi di reformatio in pejus, dovendo, anzi, rilevarsi che l’invocata eventuale diminuzione della pena in concreto applicata, essendo stata questa, come detto, commisurata nel minimo edittale previsto, avrebbe illegittimamente comportato il travalícamento di questo in assenza di una idonea causa giustificativa.
Per mero scrupolo argomentativo si rileva come un tale procedimento logico non si pone in contrasto con quanto statuito dalla Sezioni unite penali di questa Corte con la sentenza n. 7578 del 2021 in fattispecie avente dei punti di contatto con la presente; in tale occasione, infatti, la Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha osservato che, quand’anche la pena fosse stata applicata, senza ragione, in misura inferiore al minimo edittale, l’abbattimento legato alla scelta del rito, erroneamente quantificato, sebbene il reato in contestazione fosse stato contravvenzionale, nella misura di un terzo della pena base, vada rettificato in quella della metà, senza andare a toccare l’entità, sebbene illegittimamente individuata in me/ius, della pena base (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 26 febbraio 2021, n. 7578); infatti, nella presente occasione, diversamente che nella ipotesi esaminata dalla Sezioni unite con la sentenza dianzi ricordata, la determinazione della pena in concreto è stata correttamente operata mentre la mancata applicazione di alcun aumento di pena per effetto della circostanza aggravante, successivamente eliminata, giustifica la mancanza di alcuna successiva ulteriore riduzione del trattamento sanzionatorio non avendo la predetta aggravante svolto alcun reale ruolo nella determinazione della pena da parte del giudice di primo grado.
Anche l’impugnazione di NOME è svolta attraverso la illustrazione di un solo motivo di censura, attinente alla determinazione della pena.
Anch’essa è inammissibile.
Il ricorrente ha infatti censurato, segnalando la violazione degli artt. 627, comma 3, e 628, comma 2, cod. proc. pen. nonché il difetto di motivazione al riguardo, il fatto che in sede di rinvio il giudice del gravame abbia determinato gli aumenti per i reati posti in continuazione nella misura di 2 mesi di reclusione per ciascuno di essi.
Ciò posto, si osserva, quanto al vizio di violazione di legge, che non risulta che, in sede di determinazione della pena ex art. 81, cpv, cod. pen. la Corte di rinvio abbia omesso di uniformarsi al principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione in sede rescindente.
Al riguardo, infatti, con la sentenza n. 32868 del 2020 la IV Sezione penale di questa Corte, nell’annullare la primigenia sentenza della Corte partenopea, aveva osservato che, per un verosimile errore dattilografico, non era chiaro in che misura avesse inciso sulla determinazione della pena in concreto, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; essa non aveva, pertanto, formulato alcun sostanziale principio di diritto, se non quello secondo il quale, onde rendere intellegibile il contenuto della motivazione, è necessario che sia chiarita la incidenza delle predette attenuanti in sede di determinazione della pena; palese è, pertanto, la insussistenza del vizio di violazione di legge, per non essersi la Corte in sede di rinvio uniformata al principio di diritto, posto che essa ha, in realtà, solo evidenziato l’aporia motivazionale che aveva minato la legittimità della sentenza originariamente emessa dalla medesima Corte territoriale, senza enunciare alcun effettivo principio di diritto.
La Corte territoriale, infatti, nel precisare il criterio di determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio inflitto al COGNOME ha osservato che, premessa la individuazione della pena base per il più grave dei reati da questo commessi in 20 anni di reclusione, la stessa deve essere ridotta, per effetto delle circostanze attenuanti generiche, in misura ritenuta congruamente quantificata non nel massimo possibile, alla pena di 19 anni di reclusione; la Corte di merito ha, quindi, applicato, nelle misura di 2 mesi di reclusione l’aumento di pena per i 6 episodi delittuosi costituenti i reati affasciati al primo dal vincolo della continuazione ed ha, quindi, ridotto la pena di un terzo per effetto della scelta del rito.
Ora, è ben vero che con riferimento alla determinazione degli aumenti relativi alla continuazione la Corte partenopea con la sentenza attualmente impugnata non ha specificamente precisato le ragioni per le quali ha quantificato l’aumento nella misura di 2 mesi di reclusione per ciascuno di essi, ma si osserva non solo che siffatta questione non aveva formato oggetto dell’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 32868 del 2020, di tal che la Corte di merito, nel confermare l’entità degli aumenti di pena disposti in primo grado e non oggetto di modificazione in sede di gravame o di annullamento in sede di legittimità, nessun dovere
aveva di ulteriormente motivare, posto che sul punto era calato il sipario della definitività, non essendovi stata alcuna devoluzione di giudizio da parte del giudice del rescindente, ma va, peraltro, anche osservato che, in ogni caso, la modestia della entità degli aumenti disposti ex art. 81, cpv, cod. pen., in misura di gran lunga inferiore al minimo edittale per ciascuno degli incontestati 6 reati satellite commessi, porta a ritenere superflua la necessità della specifica motivazione in relazione ad essi, essendo in tal caso da escludersi in radice ogni possibile abuso del potere discrezionale conferito all’organo giudicante dall’art. 132 cod. pen. (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 22 novembre 2022, n. 44428).
Con riferimento al ricorso di COGNOME PasqualeCOGNOME ritiene il Collegio che lo stesso sia infondato e, pertanto, vada rigettato.
Esso è svolto attraverso la illustrazione di tre motivi, il primo dei quali attiene alla ritenuta illegittimità della motivazione con la quale, previa rinnovata esclusione delle circostanze attenuanti generiche, è stata rideterminata dalla Corte di rinvio la pena inflitta al Cesaro.
Va, ricordato che, in relazione alla posizione di tale ricorrente, l’annullamento con rinvio disposto da questa Corte con la più volte ricordata sentenza n. 32868 del 2020 aveva avuto quale suo principale, se non unico, oggetto il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della aggravante della agevolazione mafiosa; la Corte di legittimità ha, infatti, osservato che dei restanti motivi, quello avente ad oggetto il complessivo trattamento sanzionatorio (ivi compresa la tematica relativa all’esclusione delle circostanze attenuanti generiche) doveva intendersi assorbito, mentre gli altri dovevano essere rigettati; giudicando in sede di rinvio la Corte di Napoli ha bensì escluso la ricorrenza della aggravante in questione, ma, avendo, tuttavia , rigettato, le restanti censure riguardanti il trattamento sanzionatorio riservato al Cesaro, ha lasciato quest’ultimo invariato, stante la rilevata assenza di qualsivoglia incidenza della aggravante esclusa sul suo originario quantum, dosato nel minimo della pena prevista per il reato in contestazione.
Così GLYPH ricostruiti GLYPH i GLYPH dati GLYPH rilevanti, GLYPH ritiene GLYPH il GLYPH Collegio GLYPH di GLYPH potere, sostanzialmente, reiterare i ragionamenti dianzi sviluppati quanto alla posizione del Cirillo, posto che, come nel precedente caso, alla mancanza di effettiva rilevanza della aggravante in questione nella determinazione del trattamento sanzionatorio deve logicamente corrispondere la mancanza di conseguenze laddove la aggravante in questione sia stata rimossa, tanto più ove si consideri che la pena base è stata commisurata nel minimo edittale, di
tal che, in assenza di circostanze attenuanti, sarebbe contra legem un abbattimento di quella al di sotto del predetto minimo.
Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, argomentata dal giudice del rinvio sulla base della obbiettiva gravità delle condotte attribuite al COGNOME ed alla sostanziale mancanza di elementi che le avrebbero potute far ammettere, osserva il Collegio che nessun rilievo in senso contrario può avere in ordine alla riconoscibilità delle stesse la circostanza che, nel corso della detenzione già patita (da ritenersi sulla base di titoli custodiali già definitivi ed indipendenti dall’esito del presente giudizio, posto che diversamente, ove si trattasse di custodia cautelare disposta nell’ambito del presente giudizio, non si giustificherebbe l’intervento del Magistrato di sorveglianza), il Magistrato di sorveglianza di Avellino, in relazione al buon comportamento tenuto dal COGNOME, abbia concesso la liberazione anticipata dello stesso.
Deve, infatti, rilevarsi che, sebbene sia i3nnoverabile fra le condotte rilevanti ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche anche il comportamento successivo alla commissione del reato commesso (in tale senso, si veda, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 giugno 2019, n. 27808), non solo tale comportamento, per avere l’effetto indicato, deve trovare un, sia pure meramente psicologico, momento di connessione con la condotta precedentemente ascritta al prevenuto (quanto meno rappresentando esso un indice del suo mutato atteggiamento rispetto a quella e della rivisitazione critica del suo vissuto), posto che il ric:onoscimento delle attenuanti generiche riguarda pur sempre, sia pure nella sua peculiare atipicità, l’avvenuto riscontro di un elemento accessorio dell’illecito penale in contestazione al quale deve, pertanto, causalmente riferirsi.
Ma, oltre a ciò, deve, altresì, osservarsi che siffatte condotte, onde giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche, non devono trovare un loro autonomo statuto premiale, come, invece si verifica nel caso di specie, in relazione ai particolari istituti del diritto penitenziario che, in ragione del comportamento del detenuto durante la espiazione della pena, prevedono il godimento di particolari benefici anche in termini di durata della stessa.
Diversamente opinando si realizzerebbe un’inammissibile duplicazione di benefici per cui ad un unico fatto virtuoso conseguirebbe, inspiegabilmente, un plurale giudizio di minore disvalore penale del fatto commesso.
Venendo alla successiva lagnanza, riguardante l’entità degli aumenti connessi alla commissione dei reati posti sotto il vincolo della c:ontinuazione con quello di maggiore gravità, ritiene il Collegio l’infondatezza della lagnanza, trattandosi di argomentazione non condivisibile; anche in questo caso l’aumento operato in relazione ai reati satellite, nella misura di 6 mesi di reclusione per ciascuno di essi, appare pienamente espressivo del corretto uso da parte del giudice di merito della ampia discrezionalità di cui egli gode nella materia in questione, tenuto conto del ruolo sicuramente centrale ed altamente fiduciario svolto dall’imputato nella commissione dei due reati (in un caso egli si è, infatti, occupato della raccolta dei finanziamenti necessari per la commissione dell’illecito ed in altro caso ha tenuto i rapporti, internazionali, con i fornitori della sostanza stupefacente).
Il terzo motivo di ricorso, afferente al mancato riconoscimento della continuazione esterna fra i reati in odierno giudizio ed i fatti per i quali è intervenuta sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 8 marzo 2013, divenuta irrevocabile il successivo 31 gennaio 2014, è infondato; diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte del rinvio, evidenziando, per un verso, la diversa tipologia del reato commesso e, per altro verso, la mancanza di elementi che possano fare pensare ad una originaria comune ideazione con quelli ora in questione, ha fornito una giustificazione alla esclusione della esistenza del della continuazione; giustificazione cui il ricorrente si è limitato ad opporre una del tutto generica contestazione.
Anche il riccamente articolato ricorso presentato da COGNOME è infondato.
Premesso che nel caso del presente ricorrente la sentenza rescindente, avendo con essa la Corte di cassazione rilevato l’errore in cui era incorsa la Corte di appello di Napoli nel ritenere che il Giugliano avesse rinunziato a tutti i motivi di ricorso afferenti alla responsabilità, ha, in sostanza, rimesso alla Corte di Napoli in sede rescissoria la completa (rOvalutazione dell’appello da quello a suo tempo presentato, si osserva che il ricorso in odierno esame è articolato su 5 motivi di impugnazione; esso verte, quanto al primo di essi, sulla ritenuta illegittimità della motivazione riferita alla imputazione contestata al Giugliano al capo I) della complessiva rubrica ed alla ritenuta inosservanza della normativa in tema di concorso di persone nel reato.
Si tratta di doglianze che in sostanza pongono in discussione la ricostruzione dei fatti a lui addebitati operata in sede di merito, e
plausibilmente avallata dalle risultanze probatorie, solo genericamente contestate, valorizzate dal giudice del rinvio; il ricorrente si limita a riportare, quanto ai dati rivenienti dalle captazione telefoniche operate, che le stesse riguardavano i rapporti solamente con tale COGNOME, risultato estraneo ai fatti, senza confrontarsi con il dato, invece segnalato dalla Corte napoletana, che gli stessi erano intercorsi anche fra l’attuale ricorrente ed l’Antille, soggetto, invece, ben radicato nell’organizzazione criminale, mentre, quanto alla condotta di sostituzione delle targhe di un camion posta in essere dal Giugliano onde consentire il più sicuro trasporto della sostanza stupefacente, la ricorrente difesa si è limitata ad attribuire a tale episodio una pretesa inidoneità sintomatica, in tale senso contestando, cosa che in grado di legittimità non è consentita se non allegando o la violazione di legge o la manifesta illogicità dell’attività deduttiva posta in essere, la valutazione di una prova operata in sede di merito.
Quanto al secondo motivo di ricorso, riferito alla ritenuta ricorrenza anche in capo al Giugliano della circostanza aggravante della ingente quantità della sostanza stupefacente, si osserva, riguardo al dato oggettivo della sussistenza della ingente quantità, che la non contestata idoneità del compendio drogante al confezionamento di oltre 360.000 dosi medie singole di sostanza stupefacente del tipo hashish, rende, quanto al profilo in discorso, palesemente pretestuosa la doglianza in ordine ad una rilevata distonia fra gli accertamenti sul punto, riguardanti il peso della sostanza in questione, richiamati in diversi provvedimenti giurisdizionali; in ordine alla ricorrenza soggettiva della aggravante, anche in questo caso è del tutto plausibile, ed in questo senso non sindacabile sotto il profilo del vizio motivazionale, il rilevo contenuto nella sentenza impugnata, secondo il quale il COGNOME, il quale aveva cooperato nell’allestimento del camion adibito al trasporto del compendio costituito dalla sostanza stupefacente, era consapevole: dato il mezzo in uso, appunto un camion cioè uno strumento idoneo a trasporti di una certa mole; data la distanza del luogo di approvvigionamento, l’Olanda; e date le modifiche a quello apportate, cioè la realizzazione in esso di un non minuscolo vano occulto; della possibile ingenza della quantità di stupefacente che con esso sarebbe stato trasportato.
Egli si è così assunto il rischio, quanto meno a livello di “dolo eventuale”, della attribuzione anche a suo carico della aggravante de qua (sulla compatibilità fra la attribuibilità di un’aggravante oggettiva, quale è quella in discorso incedendo essa sulla gravità dell’offesa arrecata con la commissione
del reato al bene interesse tutelato, ed il dolo eventuale, si veda: Corte di cassazione, Sezione I penale, 25 settembre 2019, n. 39349).
Il terzo motivo di impugnazione è infondato; con esso, infatti, è censurata la ritenuta ricorrenza della circostanza aggravante della recidiva reiterata; siffatta doglianza è però recessiva rispetto alla considerazione che la circostanza aggravante riferita alla persona del reo è stata, nella fattispecie, ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti generiche; ritiene a tale proposito questo Collegio, pur non ignaro della esistenza di un difforme orientamento espresso in seno alla giurisprudenza di questa stessa Corte (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 giugno 2022, n. 24622; idem Sezione V penale, 11 febbraio 2019, n. 6521), che in una situazione quale è quella ora descritta il ricorrente non abbia, in linea dì principio, alcun interesse a lamentare la eventuale illegittima rilevazione della circostanza in questione (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione II penale, 30 gennaio 2023, n. 3880; idem Sezione I penale, 22 ottobre 2019, n. 43269), dovendo ritenersi che la circostanza aggravante, in quanto subvalente rispetto alle concorrenti attenuanti, non abbia spiegato alcun effetto in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio ed essendo onere del ricorrente segnalare, ai fini della specificità della richiesta, eventuali ulteriori effetti deteriori che la stessa, al di là della determinazione in concreto della pena, avrebbe avuto sul complessivo trattamento del condannato in tal modo facendo residuare un suo sostanziale ed effettivo interesse alla eventuale eliminazione della stessa in sede di impugnazione.
Onere che, si precisa, il ricorrente non ha soddisfatto, essendosi egli limitato a contestare il fatto in sé della attribuzione a suo carico della predetta circostanza aggravante, senza denunziare alcun materiale effetto di essa sul presente processo.
Al riguardo si evidenzia, per completezza, che, anche con riferimento alla maturazione della prescrizione per il reato di cui al capo I) della rubrica contestata, l’avvenuta affermazione della recidiva reiterata non ha avuto alcun effetto decisivo, posto che, tenuto conto dell’aurnento di pena derivante già per la ricorrenza della sola aggravante di cui all’art. 80, secondo comma, del dPR n. 309 del 1990, e tenuto conto della non contestata sospensione del termine prescrizionale e della sua interruzione, il reato in questione anche alla presente data ancora non è prescritto.
Venendo al successivo quarto motivo di ricorso, afferente all’entità del trattamento sanzionatorio fatto gravare sul ricorrente, commisurato non nel
minimo quanto alla pena base e ridotto non nella massima misura in ragione delle ritenute attenuanti generiche, osserva il Collegio che siffatto trattamento, contenuto entro il medio edittale quanto alla pena base e commisurato in misura non irrisoria riguardo alla diminuzione denvante dalla concessione delle attenuanti generiche, è adeguatamente motivato attraverso il richiamo contenuto nella sentenza di primo grado, cui il giudice del gravame si è richiamato, alla sua congruità ed alla applicazione dei parametri previsti dagli art. 133 e seg. cod. pen. (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 luglio 2019, n. 29968); per quanto specificamente concerne la diminuzione relativa alla concessione delle attenuanti generiche è ben vero che questa Corte ha, ancora condivisibilmente, ritenuto che la discrezionalità del giudice nell’applicare la diminuzione derivante dalla ritenuta ricorrenza di una o più circostanze attenuanti deve trovare giustificazione nella motivazione della sentenza, ma ha anche aggiunto, nella medesima occasione, che tanto più intenso sarà l’onere motivazionale quanto più contenuta è l’incidenza del beneficio rispetto alla pena in concreto stabilita (Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 ottobre 2019, n. 42121).
Posto che nell’occasione la diminuzione per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ha operato nella misura di poco inferiore ad un quarto della pena base, laddove la massima diminuzione possibile sarebbe stata di un terzo (nella specie :12 mesi di reclusione è stato l’abbattimento concretamente operato, mentre 18 mesi sarebbe stato quello massimo), lo scarto fra la massima diminuzione possibile e quella concretamente applicata appare congruamente giustificato dalla motivazione del Tribunale di Napoli cui il giudice di secondo grado si è richiamato.
Passando all’ultimo motivo di impugnazione, concernente l’applicazione a carico del Giugliano della misura di sicurezza della libertà vigilata, ritiene il Collegio non fondata la censura in punto di vizio di motivazione e di violazione di legge, avendo al riguardo la Corte di merito chiarito che la preoccupante personalità di questo, quale risulta dall’avvenuta conferma della c:ondanna per il non trascurabile reato a lui contestato oltre che dal suo corredo giudiziario, era motivo sufficiente, ferma restando la necessità della rivalutazione della perdurante attualità dell’esigenza della misura a pena espiata, per la applicazione della misura in questione.
Fondato è, a differenza di quelli precedentemente esaminati, il ricorso presentato dalla difesa di NOME COGNOME
Osserva, il Collegio che il motivo di impugnazione è integralmente incentrato sul profilo sanzionatorio della sentenza impugnata ed è articolato in relazione al fatto che – essendo stata annullata da questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 32868 del 2020, la primigenia sentenza della Corte di appello di Napoli in punto di ritenuta ricorrenza della aggravante della agevolazione mafiosa – in sede di rinvio la Corte di appello partenopea, esclusa la ricorrenza della predetta circostanza aggravante, ha ricleterminato la pena inflitta al NOME, eliminando l’aumento a suo tempo applicato per la predetta circostanza, ma riducendo la incidenza delle attenuanti generiche sulla pena in concreto.
Infatti, mentre a suo tempo tale riduzione era stata quantificata nella misura di anni 2 e mesi 4 di reclusione – rispetto ad una pena base di anni 10 di reclusione, aumentata per effetto della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sino alla pena di anni 13 e mesi 4 di reclusione – con la sentenza ora impugnata la Corte partenopea, ferma restando la pena base nella misura di anni 10 di reclusione, ha stabilito che la diminuzione per l’avvenuto riconoscimento delle attenuanti generiche comportasse solo la diminuzione della pena detentiva nella misura di un anno di reclusione.
Ritiene il Collegio che tale statuizione – anche se non dovesse essere considerata violativa della regola del divieto di reformatio in pejus, posto che, secondo la, prevalente (ma non unanime: si veda, infatti, per tui:te: Corte di cassazione, Sezione II penale, 27 aprile 2023, n. 17585), giurisprudenza di questa Corte, una siffatta violazione non ricorre laddove, per effetto della riforma intervenuta in sede di gravame, i termini del computo della pena originariamente operati in primo grado siano stati sostanzialmente modificati (Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 gennaio 2023, n. 209; Corte di cassazione, Sezione V penale, 26 giugno 2020, n. 19366) – dovrebbe in ogni caso essere sorretta da un’idonea motivazione che dia conto delle ragioni che hanno sorretto una tale scelta (Corte di cassazione, Sezione II penale, 9 settembre 2021, n. 33480; Corte di cassazione, Sezione IV penale, 26 ottobre 2020, n. 29599).
Andando a verificare quale sia stata nel caso di specie la motivazione che ha sorretto la scelta operata dalla Corte di rinvio di ridurre l’inciden sulla pena in concreto della riduzione derivante dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si legge nella sentenza impugnata che essa sarebbe derivata dalla volontà di prevedere una riduzione proporzionalmente
pari dal punto di vista aritmetico a quella che era stata operata nella precedente sentenza della Corte territoriale cassata da questa Corte.
Ora, quale che sia la sostanziale condivisibilità della ratio di una tale scelta ma ritenutane la astratta non manifesta irragionevolezza, rileva, tuttavia, il Collegio che la stessa è stata nella specie malamente applicata.
Infatti, considerato che nella precedente occasione la riduzione per le circostanze attenuanti generiche aveva comportato l’abbattimento della pena, sino a quel momento calcolata in anni 13 e mesi 4 di reclusione, pari ad anni 2 e mesi 4 di reclusione (cioè un abbattimento superiore al 17% della pena sino a quel momento calcolata), non è corretto dal punto di vista aritmetico, criterio valorizzato nella sentenza impugnata, affermare che risponda al medesimo criterio proporzionale precedentemente applicato l’abbattimento operato ora nella misura di 1 anno di reclusione rispetto ad una pena in precedenza calcolata nella misura di 10 anni ch reclusione (infatti in tale secondo caso l’abbattimento è, ovviamente, inferiore essendo pari solamente al 10% della pena base).
Ritiene, pertanto, la Corte che, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME la motivazione adottata onde giustificare la congruità della rideterminazione sanzionatoria sia manifestamente illogica, in quanto applica erroneamente un criterio di proporzionalità aritmetica in contrasto con le leggi obbiettive che regolano tale disciplina scientifica.
Sotto il descritto profilo – unico, peraltro, oggetto di impugnazione da parte del ricorrente ora in questione, di tal che gli aspetti riguardanti la responsabilità penale di NOME Giuseppe debbono ritenersi oramai divenuti irrevocabili – la sentenza impugnata, diversamente da ciò che concerne gli altri ricorrenti (in relazione ai quali va dichiarata la inammissibilità delle impugnazioni presentate da NOME COGNOME, NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali, visto l’art. 616 cod. proc. pen., vanno, perciò, condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, mentre vanno rigettati i ricorsi di COGNOME Pasquale e COGNOME, i quali, visto l’art. 616 cod. proc. pen. vanno, perciò, condannati al pagamento delle spese processuali) deve, in definitiva, essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli che provvederà nuovamente a valutare la incidenza delle circostanze attenuanti generiche sia sulla determinazione della pena relativa al reato più grave sia in
ordine alla quantificazione degli aumenti di pena derivanti dalla ritenuta continuazione di questo con gli altri reati ascritti allirattuale ricorrente.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente a NOME COGNOME in relazione al punto concernente il trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Rigetta i ricorsi di COGNOME Pasquale e di COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME, NOME Giuseppe, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 lin favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente