Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36550 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36550 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: MELE NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a MESSINA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ACERRA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’ annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta nei confronti di COGNOME, e la rideterminazione di tale pena in 3 anni e 8 mesi di reclusione ; l’ annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’aumento per continuazione applicato nei confronti di COGNOME, e la rideterminazione di tale aumento in 4 mesi di reclusione; il rigetto dei ricorsi nel resto;
udito l’AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 22 dicembre 2021 il Tribunale di Ancona ha assolto NOME COGNOME dal reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale (capo 1) in relazione al fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e lo ha ritenuto responsabile, in qualità di socio e amministratore di fatto della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (capo 2-a) e bancarotta fraudolenta documentale (capo 2-b) in relazione al fallimento di detta società, condannandolo alla pena di anni 4 di reclusione.
Ha, altresì, ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale di cui ai capi 1-a) e 1-b), in relazione al fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in qualità di amministratore di fatto, e dei reati di cui ai capi 2-a) e 2-b), quale amministratore di fatto della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in relazione al fallimento della stessa, condannandolo alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione.
Ha infine ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale di cui ai capi 1-a) e 1-b), in relazione al fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE, in qualità di legale rappresentante della stessa, nonché dei reati di cui ai capi 2-a) e 2-b), quale amministratore di fatto della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in relazione al fallimento di tale società, condannandolo alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza in data 2 dicembre 2024, ha così riformato la sentenza di primo grado: ha dichiarato non doversi procedere in relazione a tutti gli imputati in relazione ai reati di cui ai capi 1-b) e 2-b) perché estinti per intervenuta prescrizione. Ha conseguentemente ridotto la pena per i restanti reati nei seguenti termini: quanto a COGNOME, ha determiNOME la pena in anni 3 e mesi 10 di reclusione; quanto a COGNOME, in anni 4 e mesi 2 di reclusione; quanto a COGNOME in anni 3 e mesi 3 di reclusione.
Ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME articola sei motivi di censura.
4.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. in quanto la Corte d’appello
avrebbe applicato al ricorrente una pena più grave rispetto a quella inflitta in primo grado. Invero, mentre per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione contestato al capo 2-a) il Tribunale aveva determiNOME la pena nella misura di anni 3 e mesi 8 di reclusione, la sentenza di appello aveva irrogato la pena di anni 3 e mesi 10 di reclusione.
4.2. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla quantificazione del trattamento sanzioNOMErio.
4.3. Il terzo motivo deduce vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata omesso di illustrare le ragioni della mancata concessione delle richieste attenuanti generiche, nonostante che l’imputato sia incensurato e sia stato ritenuto responsabile per uno solo dei reati originariamente ascritti.
4.4. Il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena, avendo la Corte territoriale omesso di spiegare le ragioni della mancata applicazione del trattamento sanzioNOMErio nel minimo edittale, senza valorizzare, a tal fine, la minor gravità della posizione del ricorrente rispetto a quella del coimputato NOME COGNOME.
4.5. Il quinto motivo deduce vizio di motivazione per contraddittorietà della stessa e sproporzione dei parametri applicati per la determinazione del trattamento sanzioNOMErio. Invero, benché la sentenza impugnata abbia individuato il reato più grave in quello di cui al capo 1-a), dal quale COGNOME era stato assolto, egli sarebbe stato condanNOME ad una pena in proporzione superiore a quella degli altri coimputati.
4.6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità del ricorrente quanto al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, di cui al capo 2-a). La Corte territoriale avrebbe giustificato tale affermazione con argomentazioni comuni al coimputato COGNOME, nonostante la differente posizione dei due. COGNOME, infatti, avrebbe dimostrato di aver svolto una vera e propria attività imprenditoriale in favore della società e la somma pari a 55.399,50 euro contestata quale ammanco di cassa corrisponderebbe al rimborso spese e al compenso per tale attività.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME si articola in tre motivi di censura.
5.1. Il primo motivo deduce violazione di legge in riferimento agli artt. 125, comma 3, 546, lett. e) , 63, comma 2, e 64, comma 3bis in riferimento all’art. 210 cod. proc. pen., nonché degli arttt. 189, 192, 210 e 603 cod. proc. pen.
Il ricorrente impugna l’ordinanza in data 24 marzo 2021 della Corte territoriale che aveva rigettato l’istanza di rinnovazione dibattimentale con cui la difesa aveva
chiesto l’esame della teste COGNOME NOME nelle forme di cui all’art. 210 cod. proc. pen., evidenziando che la stessa, benché non formalmente iscritta nel registro degli indagati, avrebbe di fatto assunto tale veste, atteso il tenore delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari. Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale avrebbe valorizzato unicamente il dato formale della mancata iscrizione, senza tener conto delle censure difensive che evidenziavano la partecipazione della COGNOME alle scelte strategiche dell’impresa. Ne conseguirebbe l’inutilizzabilità della sua testimonianza e la necessità di nuovo esame della stessa.
5.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 1-a) e 2-a). La sentenza impugnata avrebbe accolto acriticamente la valutazione operata dal primo giudice in ordine al ruolo di amministratore di fatto della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ svolto dall’imputato, e avrebbe valutato in modo contraddittorio il dato legato alla proprietà della RAGIONE_SOCIALE, il quale sarebbe stato considerato privo di rilievo in relazione alla posizione del coimputato COGNOME, che era stato assolto dal reato di cui al capo 1-a), mentre sarebbe stato valorizzato in danno del ricorrente.
Quanto al reato di cui al capo 2-a), la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della argomentazione difensiva che evidenziava come la presunta condotta distrattiva era pari agli stipendi del biennio e i costi di vitto e alloggio del COGNOME, il quale rivestiva il ruolo di socio dipendente.
5.3. Il terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente calcolato la diminuzione di pena a seguito della declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi 1-b) e 2-b), in quanto, discostandosi dalla sentenza di primo grado, avrebbe immotivatamente ritenuto più grave il reato di cui al capo 1-a); inoltre sarebbe partita dalla pena base di anni 3 e mesi 8 di reclusione, senza detrarre l’aumento applicato per la continuazione interna per il reato di bancarotta semplice dichiarato prescritto; neppure avrebbe scomputato l’aumento per l’aggravante di cui all’art. 219 legge fall., benché questa fosse stata esclusa. Inoltre, immotivatamente avrebbe aumentato la pena per il reato satellite, pur in assenza di gravame interposto dal pubblico ministero.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME formula due motivi di censura.
6.1. Il primo motivo chiede dichiararsi l’intervenuta prescrizione per i reati di cui ai capi 1-a) e 2a), in quanto l’ultimo atto ‘potenzialmente costituente reato’ sarebbe stato posto in essere nei mesi di giugno-luglio 2014. Inoltre, il ricorrente sostiene che ricorrerebbero gli estremi dell’attenuante della lieve entità del danno, posto che le somme introitate dall’imputato sarebbero pari a 30 mila euro a fronte
degli importi ascritti agli altri imputati, superiori a complessivi 500 mila euro; di conseguenza andrebbe esclusa l’aggravante di cui all’art. 219 legge fall.
6.2. Il secondo motivo deduce la insussistenza dell’elemento soggettivo dei reati a lui ascritti, in quanto, pur ricoprendo la carica di amministratore di diritto, il ricorrente non era in grado di prevedere ‘gli innumerevoli artifizi e raggiri posti in es sere dietro la sua formale presenza’, né risulterebbe provata la sua consapevolezza delle attività illecite poste in essere dai coimputati. Egli sarebbe intervenuto nella società dopo che si erano verificate irregolarità e distrazioni; inoltre non avrebbe svolto alcuna attività gestoria, non avendo poteri di firma e svolgendo solo mansioni manuali.
In subordine il reato di cui al capo 1-a) dovrebbe essere riqualificato nel reato di cui all’art. 217, secondo comma, legge fall. e riconosciuta l’attenuante della lieve entità di cui all’art. 219, terzo comma, legge fall.
Con memoria in data 18 settembre 2025, l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME, in via preliminare, ha chiesto di dichiarare l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 2-a) successivamente alla sentenza impugnata. Ha inoltre svolto ulteriori argomentazioni a sostegno dei motivi di ricorso.
Con memoria pervenuta in data 25 settembre 2025 l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, ha insistito nei motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha concluso chiedendo: l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta nei confronti di COGNOME e la sua rideterminazione in 3 anni e 8 mesi di reclusione; l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’aumento per continuazione applicato nei confronti di COGNOME, e la rideterminazione di tale aumento in 4 mesi di reclusione; il rigetto dei ricorsi nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in accoglimento dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato nei limiti di seguito precisati.
2.1. Il primo motivo, con cui si deduce la violazione del divieto di reformatio in pejus , è fondato.
L’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che, ove il gravame sia proposto solo dall’imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, o prosciogliere l’imputato co n formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado.
Il comma 4 dell’art. 597 conferma il divieto di reformatio in peius , stabilendo che, se viene accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere corrispondentemente diminuita.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40910 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232066, ponendosi espressamente in linea con le sentenze Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196894 e Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 201034, hanno affermato che nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado. E ciò in quanto il divieto di reformatio in peius investe anche i singoli elementi che compongono la pena complessiva e riguarda non solo il risultato finale di essa, ma tutti gli elementi del calcolo relativo. Il comma 4 dell’art. 597 cod. proc. pen. individua, come elementi autonomi, nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione.
Nel caso in esame, COGNOME è stato condanNOME in primo grado in relazione ai reati di cui ai capi 2-a) e 2b) dell’imputazione alla pena complessiva di anni 4 di reclusione, così determinata: pena base anni 3 e mesi 8 di reclusione, aumentata di mesi 4 p er l’aggravante di cui all’art. 219, n. 1, legge fall.
La sentenza impugnata ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione al reato di cui al capo 2 -b), perché estinto per intervenuta prescrizione e ha ridetermiNOME la pena, escludendo l’aumento di cui all’art. 219 cit. Nell’oper are tale calcolo, tuttavia, la Corte territoriale è incorsa nella violazione del divieto di reformatio in pejus , dal momento che ha determiNOME
la pena misura superiore a quella irrogata in primo grado, quantificandola in anni 3 e mesi 10 di reclusione.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzioNOMErio irrogato a COGNOME, il quale deve essere ridetermiNOME nella misura fissata dal giudice di primo grado e perciò in anni 3 e mesi 8 di reclusione.
Deve essere altresì disposta l’applicazione delle pene accessorie fallimentari per la durata della pena principale inflitta, nonché l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
2.2. Il secondo motivo, con cui si lamenta il difetto di motivazione in ordine al calcolo operato per la determinazione del trattamento sanzioNOMErio, è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha illustrato le ragioni alla base della determinazione della pena irrogata, correttamente evidenziando che l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 2b) comportava l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1), legge fall. e del conseguente aumento di pena, operato sul reato di cui al capo 2-a).
2.3. Il terzo motivo, con cui la difesa si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è infondato.
Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse ( ex plurimis Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590 -01), sicché è la valutazione di meritevolezza che necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzioNOMErio. Di contro, l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche risulta adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda ( ex plurimis , Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, COGNOME ed altri, Rv. 219891; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02).
Nella specie, la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, ha illustrato le ragioni a fondamento del diniego ravvisandole nella estrema gravità dei fatti di cui il COGNOME si era reso responsabile, nonché nella spiccata propensione criminale dallo stesso evidenziata. Trattasi di motivazione che, in
quanto non contraddittoria e fondata sugli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., risulta in questa sede insindacabile.
2.4. Il quarto e il quinto motivo, concernenti il trattamento sanzioNOMErio, possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono manifestamente infondati.
Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. Si è inoltre precisato che ove la pena sia determinata in misura prossima al minimo edittale, non è necessaria un’argomentazione specifica e dettag liata da parte del giudice, che ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. anche ove adoperi espressioni che facciano comunque riferimento all’equità e congruità della pena stessa ( ex plurimis , Sez. 1, n. 16691 del 22/01/2009, COGNOME, Rv. 24316801; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME, Rv. 237402-01; Sez. 2, n. 43596 del 07/10/2003, COGNOME, Rv. 227685-01).
Nel caso in esame la pena irrogata è stata determinata in prossimità del minimo edittale, fissato dall’art. 216 legge fall. in anni tre di reclusione, sicché il richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ed in particolare alla gravità delle condotte poste in essere, deve ritenersi idoneo a giustificare la conclusione cui il giudice del merito è pervenuto.
Né può essere censurato il diverso trattamento sanzioNOMErio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, atteso che esso non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali: il che nel caso in esame non è (sul punto Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 -01; conf. Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, COGNOME, Rv. 252880 -01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020 – 01). Infatti, sin da epoca risalente si è ribadito che «la determinazione della misura della pena rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito. Nel caso di pluralità di imp utati, il giudice, mentre ha l’obbligo di motivare sull’uso del suo potere discrezionale di determinazione della pena, non è tenuto, invece, a procedere ad una comparazione fra le diverse posizioni degli imputati stessi» (in termini, Sez. 2, n. 1025 del 16/10/1978, dep. 1979, Rv. 140958; nello stesso senso, ex plurimis : Sez. 6, n. 24402 del 12/03/2008, Rv. 240356).
Nella specie, il trattamento sanzioNOMErio irrogato all’imputato è sostenuto da ragioni congrue e logiche, individuate nel ruolo dal medesimo svolto in concreto.
2.5. Destituito di fondamento è il sesto motivo di ricorso, concernente l’affermata responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Deve innanzitutto rilevarsi che, al contrario di quanto dedotto dal ricorrente, la sua posizione ha costituito oggetto di specifica e distinta analisi sia da parte del Tribunale (pagg. 20 e ss, della sentenza di primo grado), sia da parte della Corte territoriale, che ha puntualmente vagliato i motivi di appello.
Invero, i giudici di merito hanno escluso che l’ammanco di cassa denunciato potesse ricondursi al rimborso spese, mancando la specifica rendicontazione richiesta dalla delibera assembleare che riconosceva all’imputato un fondo per le spese mensili. Si è altresì correttamente escluso che dette somme costituissero il compenso per l’attività di amministratore della società svolta dal ricorrente, non essendo esso mai stato deliberato. A fronte di tale conclusione, era onere del ricorrente indicare, a pena di inammissibilità per genericità, gli specifici elementi idonei a dimostrare l’esistenza del diritto al compenso e la congruità delle somme prelevate. Secondo l’insegnamento di questa Corte regolatrice, commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati a titolo di compenso per la funzione svolta, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Alija, Rv. 271464).
Nel caso in esame, gli assunti del ricorrente sulla misura del compenso spettante, a fronte del rilevante importo della somma prelevata (pari complessivamente a 55.399,50), sono generici, apodittici e non assolvono agli oneri allegativi indicati, di tal che risultano inidonei a superare la soglia del giudizio di legittimità.
In ogni caso, risulta assorbente la considerazione per cui il ricorrente propone doglianze eminentemente in fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Nella specie, COGNOME non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e) , cod. proc. pen. -ma una decisione erronea, in
quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla natura distrattiva delle condotte contestate all’imputato. In realtà, la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
2.6. Non ricorrono i presupposti per dichiarare l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 2-a), come richiesto dal ricorrente con la memoria in data 18.9.2025.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria ( ex plurimis, Sez. 5, n. 45288 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 271114 -01; Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara, Rv. 263244 – 01).
Nella specie, detto termine non risulta decorso. Infatti, il fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ è stato dichiarato con sentenza in data 3 febbraio 2015, sicché il termine di prescrizione matura il 3 agosto 2027.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato nei limiti di seguito specificati.
3.1. Il primo motivo, con cui si deduce la violazione del divieto di utilizzazione nei confronti di terzi delle dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato, è inammissibile.
Secondo l’indirizzo maggioritario di questa Corte regolatrice, anche nella sua più autorevole composizione, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, il giudice è chiamato a verificare, in termini sostanziali, tale posizione, prescindendo da indici formali, come l’intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, considerando l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584; Sez. 6, n. 25425 del 04/03/2020, Rv. 279606; Sez. 4, n. 46203 del 19/09/2019, Rv. 27794; Sez. 6, n. 25425 del 04/03/2020, Rv. 279606 -01; Sez. 1, n. 39498 del 25/06/2021, Rv. 282030 -01. In senso difforme si vedano Sez. n. 29357 del 22/03/2019, Rv. 276856; Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, Rv. 263908).
Nel caso di specie l’accertamento in fatto, svolto dalla Corte territoriale, sorretto da motivazione congrua e non manifestamente illogica, dunque non censurabile in questa sede, ha dato conto delle ragioni per le quali, al di là della
veste formale, pacificamente mai assunta da NOME COGNOME, ella non fosse comunque da reputarsi “indagabile”, al momento delle deposizioni rese.
A fronte della motivazione offerta, la censura formulata dal ricorrente non è specifica, e risulta dunque inammissibile, posto che non illustra specificamente la ragione per cui la teste, alla data della deposizione, avrebbe dovuto assumere la veste di ind agata ed essere perciò sentita nelle forme di cui all’art. 210 cod. proc. pen.
In ogni caso, il motivo in esame risulta inammissibile sotto un secondo ed assorbente profilo. Quando il ricorso per cassazione lamenta l’inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento ( ex plurimis Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024 -02; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829 -01; Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303 01).
Il ricorrente, nel dedurre l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della teste COGNOME , non ha specificamente illustrato l’incidenza dell’eventuale eliminazione di tale elemento probatorio sull’esito del giudizio, in tal modo sottraendosi all’onere sul medesimo gravante, rendendo le proprie doglianze del tutto generiche sul punto.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente, invero, formula deduzioni affatto generiche che non si confrontano con la puntuale motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale ha esamiNOME il ruolo svolto da RAGIONE_SOCIALE con riguardo ad entrambe le società fallite.
Quanto alla condotta distrattiva posta in essere ai danni della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ contestata al capo 1 -a), i giudici del merito hanno fondato la qualificazione di amministratore di fatto ricoperta dal ricorrente sia sulle dichiarazioni della teste NOME COGNOME, alla quale l’imputato indicava a chi eseguire i pagamenti e le causali da specificare ai fini contabili, sia sulla documentazione dalla stessa prodotta, nonché sulle movimentazioni di denaro effettuate in favore della RAGIONE_SOCIALE Ca lcio di cui l’imputato era socio, e attraverso le quali egli disponeva della liquidità della società fallita, all’interno della quale all’epoca dei fatti egli non ricopriva alcun ruolo formale. Per tale ragione, la sentenza impugnata ha altresì ritenuto ch e le somme ricevute dall’imputato e riscontrate documentalmente, fossero sine titulo , dal momento che all’epoca egli non era né socio né dipendente della società fallita (p. 14 sentenza impugnata).
Con riguardo alla condotta distrattiva contestata in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE (capo 2-a), i giudici di entrambi i gradi del merito hanno escluso che l’ammanco di cassa denunciato potesse ricondursi al rimborso delle spese di gestione nonché allo stipendio percepito dal COGNOME quale socio dipendente, dal momento che mancava la specifica rendicontazione di dette spese, richiesta dalla delibera assembleare che istituiva un apposito fondo. Si è altresì evidenziato che le somme pagate dalla fallita per vitto e alloggio di COGNOME e di COGNOME presso l’hotel ‘Il RAGIONE_SOCIALE‘ erano versate a fronte di fatture emesse da una società, la RAGIONE_SOCIALE, che all’epoca non gestiva l’albergo.
Ebbene, la censura, non confrontandosi con le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata, risulta aspecifica e generica, e perciò inammissibile.
3.3. Il terzo motivo con cui si deduce la violazione del divieto di reformatio in pejus in ordine al trattamento sanzioNOMErio, nonché vizio di motivazione è fondato nei limiti di seguito specificati.
La sentenza di primo grado, riconosciuta la responsabilità di COGNOME per tutti i reati ascritti, lo aveva condanNOME alla pena di complessivi anni 4 e mesi 6 di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo 2-b) -recte 2-a) -considerato di pari gravità rispetto al reato di cui al capo 1-a), anni 3 e mesi 8 di reclusione, aumentata di mesi 6 in ragione della contestata aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1) legge fall, e ulteriormente aumentata di mesi 4 di reclusione per il reato di cui al capo 1).
La Corte territoriale, dichiarati i reati di cui ai capi 1-b) e 2-b) estinti per intervenuta prescrizione, ha escluso l’aumento ex art. 219 cit., e ha ridetermiNOME il trattamento sanzioNOMErio nei seguenti termini: partendo dalla pena base di anni 3 e mesi 8 di reclusione per il reato più grave di cui al capo 1-a), ha operato l’aumento ex art. 81 cod. pen. di mesi 6 di reclusione in relazione al reato di cui al capo 2-a), quantificando la pena in complessivi anni 4 e mesi 2 di reclusione.
Infondata risulta la censura formulata dal ricorrente con riguardo alla asserita modifica, da parte della sentenza impugnata, del reato più grave. In tal senso risulta dirimente la circostanza che già il giudice di primo grado aveva espressamente ritenuto che i reati di cui ai capi 1-a) e 2-a) fossero di pari gravità, motivando la individuazione della pena base con riguardo al reato di cui al capo 2a) unicamente in ragione della anteriorità temporale del fatto in esso contestato.
Corretta risulta altresì l’entità della pena base, pari ad anni 3 e mesi 8 di reclusione sulla cui base la Corte territoriale ha operato il successivo aumento, atteso che essa -a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente -non comprendeva alcun aumento per la continuazione interna per il delitto di bancarotta semplice, per il quale il Tribunale aveva riconosciuto l’aggravante di cui
all’art. 219, secondo comma, n. 1) legge fall., operando il successivo aumento di mesi sei di reclusione.
Fondata è invece la censura con cui si denuncia la violazione del divieto di reformatio in pejus in relazione all’aumento operato ex art. 81 cod. pen. su detta pena base in relazione al reato di cui al capo 2-a). Tale aumento è stato infatti quantificato dalla Corte territoriale in mesi 6 di reclusione, laddove, invece, la sentenza di primo grado aveva operato un aumento di mesi 4. Valgono al riguardo le considerazioni svolte al precedente paragrafo 2.1., da intendersi qui integralmente richiamate.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzioNOMErio irrogato a COGNOME, il quale deve essere ridetermiNOME nella misura di anni 4 di reclusione, così determinata: pena base anni 3 e mesi 8 di reclusione per il reato di cui al capo 1-a), aumentata di mesi 4 ex art. 81 cod. pen. per il reato di cui al capo 2-a).
Deve essere altresì disposta l’applicazione delle pene accessorie fallimentari per la durata della pena principale inflitta, nonché l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
4.1. Il primo motivo, con cui deduce l’intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi 1-a) e 2-a), è manifestamente infondato.
Come si è già ricordato al precedente paragrafo 2.6, il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria. Ne consegue che nella specie detto termine non risulta decorso. Infatti, il fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ è stato dichiarato con sentenza in data 6 maggio 2015, sicché il termine di prescrizione della bancarotta fraudolenta per distrazione contestato al capo 1a) matura il 6 novembre 2027; il fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ è stato dichiarato con sentenza in data 3 febbraio 2015, sicché il termine di prescrizione matura il 3 agosto 2027.
4.2. Non sussistono i presupposti per riconoscere l’attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, legge fall., della speciale tenuità del danno, così come correttamente affermato dalla sentenza impugnata.
Questa Corte regolatrice ha affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta, per distrazione e documentale, il giudizio relativo alla speciale tenuità del danno deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, causata dal comportamento del fallito alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti e al pregiudizio
causato ai creditori, con riferimento alla possibilità di esercitare le azioni poste a tutela dei loro interessi. (Sez. 5, n. 45136 del 27/06/2019, Tirone, Rv. 277541 01). Ha affermato altresì che la speciale tenuità del danno, integrativa dell’attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, va valutata in relazione all’importo della distrazione, e non invece all’entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658 – 01).
La doglianza mossa al riguardo dal ricorrente risulta generica in quanto non si confronta con le specifiche argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata, che -conformandosi ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità -ha evidenziato l’impo rto considerevole della diminuzione patrimoniale complessivamente cagionata alla massa attiva da ripartire.
4.3. Il secondo motivo è del tutto generico e perciò inammissibile.
Invero il ricorrente affastella le proprie argomentazioni critiche in ordine alla assenza di prova dell’elemento soggettivo del reato non solo senza distinguerle in relazione ai due reati a lui ascritti, ma soprattutto senza confrontarsi con le analitiche argomentazioni svolte dalla Corte d’appello con riguardo al ruolo dal medesimo svolto in ciascuno dei due fallimenti.
Quanto alla bancarotta contestata al capo 1-a), la sentenza impugnata ha evidenziato come le distrazioni più consistenti in danno della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sia sono verificate proprio nel corso del 2014, quando amministratore della fallita era il COGNOME. Inoltre, con ragionamento logico e coerente, ha escluso che la asserita mancanza di capacità tecniche e professionali in capo al ricorrente -ribadita anche in questa sede -fosse tale da escluderne la responsabilità, comprovando al contrario che egli si era prestato a ricoprire il ruolo di amministratore a fini di lucro.
Con riguardo alla bancarotta contestata al capo 2-a), la Corte territoriale ha ritenuto l’imputato responsabile a titolo di concorso con COGNOME e COGNOME nelle condotte distrattive poste in essere tra il 2013 e il 2014, nonché successivamente quale amministratore di fatto, in quanto, essendo egli formalmente estraneo alla fallita, la ragione delle somme dal medesimo incassate è stata rinvenuta negli interessi illeciti che egli condivideva con i due coimputati.
4.4. Manifestamente infondata è infine la censura con cui si lamenta il riconoscimento dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tale aggravante non solo non è stata allo stesso contestata, ma neppure è stata ritenuta dai giudici del merito. L’unica circostanza aggravante riconosciuta dal giudice di primo grado era quella prevista dall’art. 219, secondo comma , n. 1) legge fall., ricorrendo l’ipotesi
di più fatti di bancarotta commessi all’interno del medesimo fallimento; nel giudizio di appello, tuttavia, i reati di cui ai capi 1-b) e 2-b) erano stati dichiarati estinti per prescrizione, cosicché la Corte territoriale aveva escluso detta aggravante.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzioNOMErio che ridetermina, quanto al primo, in anni tre e mesi otto di reclusione oltre alle pene accessorie fallimentari per la durata della pena principale ed alla interdizione temporanea dai pubblici uffici e, quanto al secondo, in anni quattro di reclusione oltre alle pene accessorie fallimentari per la durata della pena principale ed alla interdizione temporanea dai pubblici uffici. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME e rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/09/2025.
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME