Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 34693 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 34693 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACERRA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso e l’annullamento nel resto.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli -nord, riqualificato il fatto contestato al capo a) nella fattispeci di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990/ha condannato, per quanto qui di rilievo, NOME COGNOME x’ alla pena, aumentata %az – Regia per effetto della continuazione con il reato di cui all’art. 337 cod. pen., di anni due di reclusione ed euro 2.000 di multa.
E’ stato proposto ricorso nell’interesse di COGNOME, articolato in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. poiché COGNOME avrebbe rivolto minacce agli operanti solo dopo il rinvenimento della sostanza stupefacente, dal che non si comprende come avrebbe potuto coartare l’azione dei pubblici ufficiali che avevano già concluso la perquisizione.
2.2. Con il secondo motivo si deducono i medesimi vizi con riferimento alla affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990. COGNOME non ha mai avuto la disponibilità dello stupefacente. La stessa Corte di appello ha specificato che la coimputata COGNOME, non ricorrente, ha , rovistato nel frigorifero e cercato d Lim. GLYPH rés:U4~tre la borsa contenente la droga. COGNOME, invece, è stato ritenuto colpevole del medesimo reato a dispetto delle dichiarazioni rese dalla COGNOME che non necessitano di alcun riscontro in quanto autoaccusatorie, per il fatto stesso di essere presente in casa e in virtù di una pregressa denuncia per un reato della stessa natura.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione di una pena superiore a quella stabilita nella sentenza di primo grado per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. per i reato satellite. La sentenza di primo grado ha considerato quale reato più grave quello di cui all’art. 73, co. 4, d.P.R. n. 309/1990, contestato al capo a). Ha così preso le mosse dalla pena base di anni quattro di reclusione ed euro 21.000 multa, aumentata di mesi sei di reclusione per effetto della continuazione con il reato di cui al capo b). Il giudice di appello, pur accogliendo le doglianze difensive, ha ritenuto l’ipotesi di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990 più grave e ha rideterminato la pena apportando un aumento per la continuazione con il reato di cui all’art. 337 cod. pen. in misura pari ad anni uno anziché di mesi sei come aveva fatto il primo giudice, con la conseguente violazione del divieto di reformatio in peius.
2.4. Con il quarto motivo si contesta l’illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello si è limitata a richiamare gli argomenti usati dal primo giudice per negare le circostanze attenuanti generiche benché la difesa avesse depositato all’udienza del 12 novembre 2024, ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli che concedeva a COGNOME la misura alternativa della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute. Su questo la Corte è rimasta silente.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente al terzo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato, per le ragioni che di seguito verranno spiegate,solo il terzo motivo di ricorso.
Il processo ha tratto origine dalla perquisizione eseguita, “non senza difficoltà dovuta all’atteggiamento degli imputati” e se “frenetico tentativo di occultare la sostanza e limitare, di conseguenza, le proprie responsabilità penali” (pag. 3 sentenza di primo grado), all’interno dell’abitazione del ricorrente e della madre, NOME COGNOME, in occasione della quale erano rinvenuti 73,85 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana dalla quale era possibile ricavare 518,4 dosi medie singole. L’atteggiamento del COGNOME* è stato descritto come caratterizzato da contorni minacciosi e violenti nei confronti degli operanti.
I primi due motivi di ricorso sono articolati su questioni non deducibili in questa sede, ovvero la prospettazione di aspetti di violazione di legge e vizi di motivazione da cui sarebbe affetta la sentenza che, in realtà, finiscono con il sollecitare questa Corte di legittimità a procedere a una non consentita rivisitazione delle emergenze istruttorie in vista di una diversa e alternativa ricostruzione della vicenda.
Inoltre, in presenza di una c.d. doppia conforme, i motivi di ricorso, peraltro, in rilevante parte costruiti in fatto, risultano meramente reiterativi delle censure già svolte in appello e adeguatamene valutate. Essi sono, pertanto, aspecifici, poiché non si confrontano in maniera puntuale e precisa con gli argomenti posti dai giudici di merito a sostegno del giudizio espresso in punto di affermazione della responsabilità.
Nel caso di specie, deve farsi applicazione del consolidato principio di diritto secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e
puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (così, tra Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 27771)
Più in particolare la difesa del COGNOME, per un verso, assume che la condotta tenuta da costui non sarebbe inquadrabile nella previsione di cui all’art. 337 cod. pen. poiché l’imputato avrebbe profferito le minacce agli operanti solo dopo il ritrovamento della sostanza stupefacente e, per altro verso, che non sarebbe dimostrata la responsabilità dell’imputato in relazione al reato di detenzione di droga, riqualificato ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.
Sia l’uno che l’altro argomento non si confrontano con l’apparato argomentativo approntato /dato che, quanto al primo motivo, la Corte territoriale, con congrui richiami giurisprudenziali, ha rilevato che, in ossequio al principio di offensività, la ,violenza o la minaccia devono essere idonee a costituire effettivamente un ostacolo all’attività del pubblico ufficiale, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione. E’ stato evidenziato che, come risultava dagli atti a firma degli operanti, utilizzabili in ragione della scelta del abbreviato, l’imputato non appena rinvenuto lo stupefacente e mentre l’attività investigativa era ancora in corso, assumeva un contegno minaccioso e violento sia auto che eterodiretto, colpendo ripetutamente il muro con la testa, nell’intento di distrarre l’attenzione degli agenti dalla loro attività e poi minacciando di lanciarsi dalla finestra sporgendosi dal balcone. E,. mentre gli agenti e la madre riuscivano a calmarlo l’imputato inveiva contro uno degli operati minacciandolo.
La Corte, poi, contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, ha valutato le dichiarazioni rese dalla madre del ricorrente, per la quale la sentenza è divenuta 1 . definitiva, ritenendo che le stesse non consentissero di concludere l’estraneità del COGNOME ai fatti, trattandosi di dichiarazioni di coimputata nel medesimo processo del tutto prive di riscontri. Tutto ciò senza considerare che a pag. 5 della sentenza di primo grado, che va letta in uno alla sentenza impugnata trattandosi di c.d. “doppia conforme”, si evince che “lo stesso COGNOME ha ammesso gli addebiti in sede di spontanee dichiarazioni”. Con tutto quanto esposto il ricorso non si confronta.
4. Del pari manifestamente infondato il quarto motivo con cui la difesa si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche laddove le sentenze conformi hanno valorizzato l’atteggiamento tenuto dal COGNOME durante la perquisizione, i suoi precedenti penali, il fatto che lo stesso si trovasse sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione per un reato della stessa natura commesso solo una settimana prima. A fronte di ciò il motivo è affrontato con doglianze del tutto aspecifiche e generiche. Né è spiegato come il generico “decadimento fisico” del COGNOME, che avrebbe indotto il Tribunale di Sorveglianza
a concedergli la detenzione domiciliare, avrebbe dovuto o potuto incidere sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da parte della Corte di appello.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652 ha è affermato che non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, mutata la struttura del reato continuato, come nel caso in esame, allorquando la regiudicanda satellite diventa ‘ quella più grave o quando muta la qualificazione giuridica, apportà per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente t-A frl maggiore. E’ stato, (Q~2, chiarito che «la regola dettata dalle Sezioni Unite Morales, riguarda tutte le ipotesi in cui i parametri e la sequenza di raffronto rimangono identici; quando, invece, mutano i parametri e/o la sequenza, il mero raffronto “matematico” tra le componenti della pena non riesce più a fornire un
adeguato criterio di verifica di una eventuale reformatio in peius, poiché modificandosi i reciproci rapporti ponderali dei singoli elementi, salta il presupposto stesso per effettuare un utile confronto» (Sez. 4, n’. 8872 del 28/01/2025 in motivazione; Sez. 5, n. 34497 del 07/07/2021, Rv. 281831 – 01; Sez. 5 n. 19366 del 08/06/2020, Rv. 279107).
5. Nel caso in esame la Corte territoriale, pur avendo riqualificato il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, nel determinare la pena ha continuato a prendere le mosse da detto reato benché ratione temporis la pena prevista all’epoca della commissione del fatto fosse inferiore a quella prevista per l’art. 337 cod. pen. Ha poi proceduto all’aumento per la continuazione con il reato di cui all’art. 337 cod. proc. pen i ritenendolo satellite in ( misura superiore a quella che era stata determinata dal primo giudice (anni uno di reclusione piuttosto che mesi sei di reclusione) pur rimanendo al di sotto della pena come determinata dal primo giudic4.
Da quanto detto discende che la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo esame sul punto t GLYPH n a tit i à). GLYPH 1 jCorte di appello di Napolii pizrsi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara l’irrevocabilità della declaratoria responsabilità.
Deciso il 26 giugno 2025