Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 757 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 757 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Messina il 17/07/1970 NOME COGNOME NOME nato a Palermo il 28/08/1965
PARTI CIVILI: RAGIONE_SOCIALE Messina, Comune di Messina avverso la sentenza del 29/11/2023 della CORTE di APPELLO di MESSINA
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto, riportandosi alla memoria depositata, sentito il difensore delle parti civili, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che deposita in udienza conclusioni scritte e nota spese a cui si riporta;
sentito il difensore della COGNOME, Avv. COGNOME del foro di Messina che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
sentito il difensore del COGNOME, Avv. NOME COGNOME del foro di Messina, in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME del foro di Palermo, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l’accoglimento, in subordine chiedendo l’intervenuta prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29/11/2023 la Corte di Appello di Messina, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Messina il 22/11/2019, appellata anche dagli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME ha assolto la COGNOME dai reati di cui ai capi d), g) (art. 346 bis cod. pen.) e f) (art. 353 cod.pen.), perché il fatto non sussiste; ha rideterminato la pena, in relazione al reato di cui all’art. 319-quater cod. pen., ad entrambi gli imputati contestato al capo h), in anni tre e mesi otto di reclusione per la Barrile ed in anni uno di reclusione per il De Almagro.
La corte territoriale ha confermato la qualificazione giuridica del reato sub h) nella sua originaria contestazione, condivisa dal primo giudice (induzione indebita a dare o promettere qualcosa – 319 quater cod. pen.), per avere la COGNOME posto in essere un’attività induttiva nei confronti del pubblico ufficiale COGNOME Daniele, all’epoca dei fatti direttore amministrativo dell’ATM di Messina, azienda pubblica che si occupa del trasporto di persone, attraverso la prospettazione di sostegno politico nell’ambito della riconferma nell’incarico o, comunque, nell’ambito della sua progressione di carriera, allo scopo di ottenere indebitamente l’assunzione, quale autista della predetta azienda di trasporti, di Macrì Francesco; condotta realizzata attraverso la segnalazione del suo nominativo al COGNOME che, in virtù della posizione, lo aveva comunicato ai responsabili della RAGIONE_SOCIALE, la società di lavoro interinale che si occupava delle fasi della procedura selettiva.
La sentenza rescindente (Corte di Cassazione del 02/03/2022) aveva annullato la precedente pronuncia della Corte di Appello di Messina, emessa il 16/12/2020, per un nuovo giudizio in ordine ai reati di cui ai capi d), f), g) e h) in ragione dell’accoglimento della censura difensiva sulla inutilizzabilità dei risultat delle intercettazioni di conversazioni; la sentenza annullata aveva altresì riqualificato il reato di cui al capo h) nel delitto di cui all’art. 346 bis cod. (traffico di influenze illecite).
Avverso la suddetta sentenza emessa in sede di rinvio hanno proposto nuovamente ricorso per cassazione COGNOME Emilia e COGNOME Daniele tramite i rispettivi difensori di fiducia.
Nell’interesse di COGNOME Emilia sono stati articolati cinque motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo di ricorso si eccepisce la violazione degli artt. 624 e 627 cod. proc. pen. in relazione all’art. 346-bis cod. pen. In particolare, i giudici di merito avrebbero erroneamente riqualificato il reato di cui al capo h) nel delitto di cui all’art. 319-quater cod. pen. ritenendo che, in sede di rinvio, si possa dare una diversa e più grave qualificazione giuridica al fatto, ove la questione sia
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connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione, senza perciò violare il divieto di reformatio in peius. Sul punto, si osserva che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità anche a sezioni unite, la mancata impugnazione della sentenza di appello da parte del Pubblico Ministero ha determinato il passaggio in giudicato della stessa nella parte relativa alla qualificazione giuridica attribuita al reato contestato al capo h), esaurendo ogni possibilità di decisione a riguardo da parte del giudice del rinvio; che non è consentito ritenere che il divieto di reformatio operi soltanto con riferimento al trattamento sanzionatorio in senso stretto, ossia alla specie e alla quantità della pena, trattandosi di un principio che trova applicazione nel giudizio di rinvio conseguente ad un annullamento della sentenza impugnata e che si estende a tutti gli eventuali, ulteriori giudizi di rinvio, rendendo immodificabile in peius l’esito più favorevole tra quelli intervenuti a seguito di esclusiva impugnazione dell’imputato; che, argomentando diversamente, verrebbe compromesso il diritto di difesa dell’imputato il quale, in presenza di una riqualificazione in appello del reato oggetto di contestazione più favorevole, non avrebbe interesse a contestare la responsabilità, posto che, l’impugnazione di tale profilo, in caso di accoglimento, potrebbe determinare in sede di rinvio un pregiudizio causato dalla possibile riqualificazione in peius.
3.2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 125, 192 e 533 coi proc. pen., in relazione agli artt. 319-quater e 346-bis cod. pen. In particolare, la difesa lamenta la sussistenza di un errore tecnico giuridico nell’individuazione degli elementi strutturali della fattispecie di cui all’art. 319-quater cod. pen., consistito nell’avere la corte di merito ritenuto integrato il delitto de quo in ragione dell’esistenza di un accordo intercorso tra il COGNOME e la COGNOME, finalizzato al sostegno politico che sarebbe stato utile al primo per ottenere incarichi più ambiziosi, in cambio di informazioni riguardanti la procedura di selezione degli autisti, attivata dall’A.T.M.
Limitandosi a valutare la legittimità o meno dell’oggetto dell’accordo indebito, i giudici di merito non avrebbero spiegato in che termini fosse stata realizzata la condotta induttiva attribuita alla COGNOME, né avrebbero considerato che la richiesta di assunzione del Macrì aveva fatto seguito alle iniziative del soggetto indotto, ossia il COGNOME, ed era stato il risultato di un accordo paritetico, formatosi in un contesto in cui non si era ravvisato alcun atteggiamento di prevaricazione che avesse indotto il privato alla dazione o alla promessa dell’indebito. Il COGNOME, infatti, si sarebbe determinato a prestare acquiescenza alla richiesta avanzata dalla COGNOME in ragione del rapporto amicale che lo legava a quest’ultima e non per forme di pressione condizionanti la sua libertà di autodeterminazione.
3.3. Con il terzo motivo si censura la violazione degli artt. 125, 192 e 5:33 cod. proc pen. in relazione agli artt. 319-quater e 346-bis cod. pen., posto che la condotta tenuta dagli imputati non integrerebbe neppure il reato di cui all’art. 346bis cod. pen., non essendo possibile individuare l’atto contrario ai doveri d’ufficio realizzato dall’abusante o dall’indotto, né il vantaggio di carattere patrimoniale.
I giudici del rinvio avrebbero, infatti, erroneamente ritenuto sufficiente, ai fin della consumazione del reato, l’accordo intercorso tra la COGNOME e il COGNOME, avente ad oggetto la segnalazione del Macrì ai gestori della procedura, senza tener conto della circostanza che la procedura non fosse stata, poi, in concreto indirizzata in modo illecito verso l’assunzione. In mancanza di prove circa i profili di illegittimità ravvisabili nella procedura di selezione, essi avrebbero proceduto ad un censurabile ragionamento congetturale, consistito nel ritenere legittima l’assunzione del Macrì soltanto in ragione dell’adattamento della procedura di selezione alle esigenze degli imputati.
Qualora il Macrì fosse stato davvero meritevole, l’intervento manipolativo non avrebbe avuto, tuttavia, ragion d’essere. Sul punto, la difesa osserva che la modifica dei meccanismi di selezione dei canditati rispetto a quelli oggetto dell’offerta tecnica sulla base della quale l’appalto era stato aggiudicato e, in particolare, la sostituzione del criterio aziendale dell’esperienza di conducente di bus con il diverso criterio dell’esperienza quale conducente di mezzo di trasporto di persone, poteva essere dipesa dai fattori più disparati e non necessariamente dall’illecita iniziativa del COGNOME, tanto più se si considera che il nuovo criterio aveva consentito non solo al Macrì ma a numerosi altri candidati l’assegnazione del punteggio massimo.
3.4. Con il quarto motivo ci si duole della violazione del divieto di reformatio in pejus quoad poenam, avendo la sentenza impugnata irrogato per l’unico reato oggetto di condanna (sub h) una pena (anni tre e mesi otto di reclusione) superiore alla pena base determinata nella pronuncia annullata per il reato più grave di cui al capo i) (anni tre di reclusione), sulla quale era stato poi operato l’aumento di tre mesi di reclusione per ciascuno dei reati di cui ai capi d), f), g) e h) l’assoluzione per tutti i reati, ad eccezione di quello sub h), aveva causato il venir meno del cumulo giuridico, con conseguente illegalità della pena stabilita in sede di rinvio, perché superiore al limite massimo costituito dalla pena base prevista dalla sentenza annullata, nell’irrilevanza degli aumenti operati per la continuazione e, quindi, della pena complessivamente irrogata.
3.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, avendo i giudici del rinvio giustificato il diniego sulla base della gravità del fatto, senza tener conto della circostanza che l’imputata
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era incensurata e si era sottoposta ad un articolato esame, al fine di ricostruire il contesto interpersonale in cui erano maturati i fatti oggetto di imputazione.
Nell’interesse di COGNOME sono stati articolati quattro motivi di ricorso, sostanzialmente coincidenti con quelli proposti dalla COGNOME
4.1. Con il primo motivo ci si duole della violazione degli artt. 624 e 627 cod. proc. pen. in relazione all’art. 346-bis cod. pen. ed alla possibilità di riqualificare reato di cui al capo h) nel delitto di cui all’art. 319-quater cod. pen. escludendosi che, in sede di rinvio, si possa dare una diversa e più grave qualificazione giuridica al fatto, ove la questione sia connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione, senza perciò violare il divieto di reformatio in peius.
4.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 319-quater cod. pen. sotto il profilo della tenuta logica della motivazione. Anche in questo caso la difesa ritiene sussistente un errore tecnico giuridico nell’individuazione degli elementi strutturali della fattispecie di cui all’art. 319 quater cod. pen. co riferimento alle circostanze in fatto che la caratterizzano.
4.3. Con il terzo motivo si censura la violazione degli artt. 125, 192 e 533 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 319 quater e 346 bis cod. pen. posto che la condotta tenuta dagli imputati non integrava neppure il reato di cui all’art. 346bis cod. pen., non essendo possibile individuare l’atto contrario ai doveri d’ufficio realizzato dall’abusante o dall’indotto, né il vantaggio di carattere patrimoniale.
Oltre alle ragioni sintetizzate nel paragrafo 3.3. che precede, la difesa rileva che, anche sotto il profilo logico temporale, non era possibile ritenere provata la ricostruzione dei giudici di merito circa l’intervento del direttore amministrativo sui criteri selettivi indicati nella nota del 18 febbraio 2016. Posto che tale nota risultava redatta in esito ad una riunione avvenuta il medesimo giorno, i giudici di merito avrebbero dovuto dimostrare che il COGNOME fosse venuto a conoscenza dei nominativi suggeriti dalla COGNOME – oltre il COGNOME, anche quello del COGNOME e dell’COGNOME – al più tardi il 17 febbraio 2016. Contrariamente, né il Tribunale, né la Corte di Appello erano stati in grado di collocare in una data anteriore al 2 marzo 2016 l’indicazione dei tre nominativi.
4.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, avendo i giudici del rinvio giustificato il diniego sulla base della gravità del fatto, senza tener conto della circostanza che l’imputato sia incensurato e si sia sottoposto ad un articolato esame, al fine di ricostruire il contesto interpersonale in cui erano maturati i fatti oggetto di imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME è inammissibile, perché proposto per motivi manifestamente infondati ovvero reiterativi di censure già sottoposte al giudice di appello e in tale sede adeguatamente esaminate; il ricorso della COGNOME presenta, invece, un limitato margine di accoglimento, relativamente al trattamento sanzionatorio, e va rigettato per il resto.
Le triplici questioni che i ricorsi pongono, in relazione all’unica condotta delittuosa contestata, possono riassumersi nei seguenti termini.
La possibilità per il giudice del rinvio di riqualificare il reato di cui al capo secondo l’originaria imputazione di induzione indebita ex art. 319-quater cod. pen., condivisa dal primo giudice, in considerazione della diversa decisione a riguardo della Corte di appello nella sentenza annullata, che aveva qualificati i fatti come traffico di influenze illecite ai sensi dell’art. 346-bis cod. pen.; statuizion sul punto non impugnata dalla Pubblica Accusa e non travolta – ad avviso delle difese – dalla pronuncia rescindente, con conseguente impossibilità di mutare la qualificazione effettuata nella prima sentenza di appello, essendo il giudice del rinvio sotto tale profilo vincolato dalla formazione del cd. giudicato progressivo (primo motivo di entrambi i ricorsi).
La effettiva sussistenza del reato di induzione, per il quale gli imputati sono stati condannati in primo grado, il COGNOME quale soggetto indotto dalla COGNOME a far assumere alcune persone presso l’azienda municipale quali autisti (ciò che in effetti avvenne per uno dei soggetti segnalati), con contropartita consistita nell’appoggio per gli sviluppi di carriera, garantito dalla COGNOME e da mantenere segreto; i ricorrenti contestano a riguardo la ricostruzione in fatto ed in diritto dell condotta delittuosa contestata (secondo e terzo motivo di entrambi i ricorsi).
Le questioni attinenti al trattamento sanzionatorio, con riferimento alla corretta determinazione del trattamento sanzionatorio per la COGNOME (quarto motivo di ricorso) ed al rigetto della richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (quinto motivo del ricorso della COGNOME e quarto motivo del ricorso del De Almagro).
Per quanto riguarda la condanna dei ricorrenti per il reato di cui all’art. 319quater cod. pen. e, quindi, la qualificazione dei fatti, il motivo proposto dal COGNOME è manifestamente infondato.
Risulta, infatti, dal testo della sentenza rescindente che l’imputato con il secondo motivo di ricorso aveva lamentato la violazione dell’art. 597, cod. proc. pen. e dell’art.6, CEDU, per avere la Corte di appello proceduto alla riqualificazione dei fatti sub h) – unico reato a lui contestato – in una fattispecie ritenuta più grave senza invitare le parti a discutere sul punto, con conseguente violazione del diritto
di difesa e del contraddittorio (par. 5.2.2., pag. 12); a seguito dell’annul per la verifica dell’utilizzabilità o meno dei risultati delle intercettazioni per dei reati, la Corte di cassazione aveva altresì ritenuto superflue le altre do rassegnate dagli imputati in ordine alle imputazioni in discussione, considerand relativi motivi dì ricorso assorbiti.
Orbene, in tema di giudizio di rinvio, la cognizione del giudice riguarda il nu esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dal sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiar assorbite nella pronuncia di annullamento (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/201 COGNOME, Rv. 277438).
Se ciò è vero per entrambi gli imputati – anche per le ragioni che per la Bar saranno meglio specificate in seguito – ancor di più il principio va applicat confronti del COGNOME che ha reso la questione sulla qualificazione priva qualsiasi accertamento definitivo, impugnando proprio il diverso inquadramento giuridico della fattispecie effettuato dalla corte territoriale, ritenen sfavorevole rispetto alla contestazione originaria, recepita dal tribun confermata dalla sentenza odiernamente impugnata, per cui non è dato intendere come possa ritenersi il perimetro decisionale del giudice di rinvio delimitat motivi di impugnazione (pag. 4 del ricorso) e non considerare che sul punto vi e stata specifica censura di parte avverso la sentenza di secondo grado.
3.1. Per quanto riguarda la COGNOME, che non ha proposto un motivo d impugnazione sulla qualificazione giuridica effettuata dalla Corte di appello n sentenza annullata e che riterrebbe per questo formato il giudicato sulla questi lamentando la violazione del divieto di reformatio in pejus e richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di fattispecie a formazione progressiva c il potere decisorio del giudice della cognizione, valgono le seguenti considerazi
I concetti di “capi” e “punti” della decisione, non definiti dal codi procedura ma fondamentali nel sistema del diritto delle impugnazioni, sono ormai individuati in modo univoco dalla stratificazione della giurisprudenza di legitti Già Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 rilevò che la nozione capo della sentenza «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulat caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascu decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato».
Nel precisare questo concetto Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017 COGNOME, Rv. 268823 aggiunse che si tratta di “un atto giuridico completo, tal poter costituire anche da solo, separatamente, il contenuto di una sentenza”.
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Sui punti della decisione la pronuncia COGNOME affermò che “ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto) l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, l colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio”. Il concetto è stato ribadito dalla pronuncia Galt secondo cui il punto della decisione ha una portata più ristretta di quella di capo, in quanto riguarda “tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione”.
Una più recente messa a fuoco degli stessi concetti in termini sovrapponibili è stata effettuata da Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, rv. 280261, che ha ulteriormente precisato che il giudicato progressivo si forma sui capi, laddove l’effetto preclusivo dell’impugnazione opera, invece, sui punti della decisione (si richiama a riguardo la puntuale ricostruzione contenuta nella motivazione della sentenza della Sez. 1, n. 45466 del 06/10/2022, COGNOME, Rv. 284354).
Impropriamente, quindi, la ricorrente richiama i principi in tema di giudicato progressivo, posto che la questione sulla qualificazione giuridica della fattispecie non può ritenersi un capo della sentenza, nel senso evidenziato, proprio perché difetta quella completezza suscettibile di definitività della pronuncia, peraltro relativa ad un unico reato e non ad una pluralità di rapporti processuali.
Ritiene il Collegio che non ricorra altresì una preclusione, escludendosi che la questione stessa costituisca un punto della decisione ossia un passaggio obbligato per il giudizio del rinvio al fine della completa definizione dell’imputazione; il poter giurisdizionale non poteva, cioè, considerarsi esaurito sulla specifica questione ma, al contrario, era suscettibile di autonoma considerazione, necessaria per ottenere una decisione completa sul capo.
Una prima indicazione in tal senso viene proprio dalla sentenza di annullamento che ha sottolineato come “la ricostruzione dei fatti al lume del materiale probatorio effettivamente utilizzabile” sia necessaria per decidere sull’imputazione, determinando l’annullamento per un nuovo giudizio che investa
non solo l’esatta individuazione delle prove e della loro tenuta dimostrativa, ma anche le conseguenze in punto di responsabilità (pag. 25).
Scindere il giudizio sulle prove da quello sulla responsabilità, rendendo immodificabile la qualificazione giuridica della condotta delittuosa contenuta nella sentenza annullata, significherebbe rendere obbligata la conclusione pur in assenza di verifica delle premesse; la condanna va rapportata, infatti, ad una determinata fattispecie di reato, sì che il nuovo giudizio consentiva alla Corte territoriale di trarre dal quadro istruttorio – previamente ricostruito conseguenze sul piano giuridico, nei limiti consentiti (divieto di reformatio in pejus del trattamento sanzionatorio), e di confermare la qualificazione effettuata dal primo giudice per il capo h), così come contestato.
In definitiva, l’ambito del giudizio di rinvio risulta rispettato, perc circoscritto alla parte annullata (sulla valutazione delle prove) ed a quella che con essa si trovava in un rapporto di connessione essenziale, tanto da determinare l’assorbimento per il De COGNOME del relativo motivo di ricorso.
La censura in esame proposta della COGNOME deve, quindi, ritenersi infondata.
4. Il secondo e il terzo motivo di entrambi i ricorsi, relativi alla ricostruzion in fatto della fattispecie ed alla sua riconducibilità all’ipotesi delittuosa previ dall’art. 319-quater cod. pen. (induzione indebita a dare o promettere utilità), non sono consentiti in sede di legittimità sia perché attinenti a valutazione squisitamente di merito sia perché reiterativi di censure, anche in diritto, correttamente definite in sede di rinvio.
È appena il caso di ribadire che il principio “dell’oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519).
Ciò ribadito, deve affermarsi in una valutazione di sintesi che la sentenza impugnata contiene una esatta ricostruzione in fatto della vicenda, della quale coglie gli aspetti più qualificanti, alla stregua degli elementi di prova ritenu utilizzabili (e, fra essi, le intercettazioni, senza ulteriori contestazioni a riguard ampiamente richiamati a confutazione anche dei rilievi di merito delle difese.
4.1. I rapporti tra il COGNOME e la COGNOME sono stati ricostruiti in manier puntuale e ne viene sottolineata la proficuità al fine dell’assunzione del Macrì presso l’ATM di Messina, con particolare riferimento alla modifica dei requisiti di assunzione per agevolarlo.
I punti fondamentali in fatto, riportati alle lettere da a) a e) di pagina 53 hanno consentito di accertare che gli imputati conclusero un accordo sinallagmatico avente ad oggetto, da un lato, gli esiti della procedura ATM, e, dall’altro e in cambio, il sostegno politico della COGNOME al direttore amministrativ COGNOME per la sua progressione in carriera: in particolare, i giudici di merito hanno fatto riferimento alle diverse conversazioni telefoniche intrattenute tra i due, dai contenuti vaghi e allusivi, sempre seguite da incontri in presenza, funzionali a discorrere più liberamente i termini della questione; ad uno di tali incontri partecipò addirittura il Macrì, la cui presentazione al COGNOME non era affatto necessaria ed è stata spiegata in modo del tutto plausibile nell’ottica dell’interferenza a suo favore nella procedura, evidenziandosi altresì il sentimento di gratitudine che costui manifestò nei confronti della COGNOME stessa all’esito dell’interessamento (avrebbe dovuto farle una statua).
Le letture alternative fornite dalla difesa – reiterate in questa sede – sono state esaurientemente esaminate e ritenute non convincenti, specie in relazione a un aspetto sui quali si è insistito: la richiesta di assunzione di più soggetti ad opera della COGNOME, in parte vanificata, a riprova della mancata esistenza di un accordo con il COGNOME. Si è spiegato, invece, come la contestazione di cui al capo h) riferisse con puntualità la segnalazione di tre soggetti di interesse della COGNOME e la circostanza che solo rispetto al Macrì l’intervento fosse andato a buon fine, con complessivo inquinamento della procedura; si è evidenziato, inoltre, con quale sistema il Macrì fu agevolato sì da rendere lecita la sua assunzione alla stregua dei modificati criteri di selezione, riconducibili al COGNOME, Direttore Amministrativo dell’RAGIONE_SOCIALE, tramite la RAGIONE_SOCIALE, società incaricata della procedura di selezione, secondo le direttive ricevute dall’azienda committente; si è individuata, infine, la contropartita del COGNOME che necessitava di un appoggio politico qualificato per assicurarsi una progressione in carriera o quanto meno il rinnovo della carica, in vista della sua scadenza triennale, ragione per la quale riuscì a mettersi in contatto con la COGNOME, mostrandosi accondiscendente nei suoi confronti, nella consapevolezza che in tal modo avrebbe avuto, in cambio, il sostegno desiderato.
4.2. La ricostruzione giuridica della fattispecie è altrettanto corretta.
Innanzitutto, l’induzione indebita a dare o promettere utilità può essere alternativamente esercitata dal pubblico agente mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero con l’abuso della qualità, consistente nella
strumentalizzazione GLYPH della GLYPH posizione GLYPH rivestita GLYPH all’interno GLYPH della GLYPH pubblica amministrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (Sez. 6, n. 7971 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 278353), per cui, nel caso in esame, la COGNOME, abusando proprio della sua qualità di Presidente del Consiglio Comunale di Messina, promise al COGNOME di agevolarne la carriera, in cambio dell’assunzione del COGNOME presso l’azienda di cui il coimputato era responsabile amministrativo, in tal modo convincendolo (non costringendolo) e realizzando l’abuso induttivo.
Secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, infatti, i delitto di induzione indebita, di cui all’art. 319-quater cod. pen., è caratterizzato, sotto il profilo oggettivo, da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatari un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un indebito vantaggio per lo stesso.
Si consideri, inoltre, che il destinatario di tale abuso può essere, oltre al soggetto privato, anche un soggetto titolare di una qualifica di natura pubblicistica, con l’effetto che l’intrinseca potenzialità persuasiva della condotta abusiva non può che essere apprezzata in correlazione con la peculiare posizione rivestita da quest’ultimo (Sez. U., n. 1228 del 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258475, in motivazione, par. 10, pag. 39); ne deriva che il rapporto fra l’induttore e colui verso il quale l’attività induttiva si rivolge va valutato alla stregua de caratteristica soggettiva delle parti e della condotta posta in essere.
Non è richiesto, in particolare, che fra le parti stesse sussista un rapporto di subordinazione – come erroneamente ritenuto dalla sentenza di appello annullata e dalla COGNOME, a pag. 11 del ricorso – bensì che, per effetto dell’induzione, l’indott sia posto in uno stato di potenziale soggezione, che lo spinga a cedere alle richieste insistenti nell’ottica di trarre un indebito vantaggio (Sez. 6, n. 21943 del 07/02/2024, COGNOME, Rv. 286510).
Si aggiunga che in tema di indebita induzione ex art. 319-quater cod. perii., l’abuso della qualità che connota la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale comprende la spendita o la prospettazione, da parte dell’agente, di un efficace potere di ingerenza nel compimento di atti formalmente estranei alle proprie competenze, ma pur sempre spettanti alla pubblica amministrazione cui egli è preposto, in modo da procurare nel soggetto interessato la percezione di poter subire conseguenze ingiustamente favorevoli (Sez. 3, n. 29321 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 280439 – 02), situazione verificatasi nell’ipotesi in esame, caratterizzata dall’interessamento prospettato dalla COGNOME, presidente del Consiglio comunale, di condizionare positivamente la carriera del COGNOME
nell’ambito della stessa pubblica amministrazione, in cambio dell’assunzione del COGNOME, insistentemente richiesta.
Va escluso, infine, che la COGNOME si sia limitata a porre in essere un tentativo di reato, in quanto all’induzione è seguita non solo una promessa da parte del destinatario ma l’attuazione dell’impegno stesso (il reato si considera perfetto, infatti, quando la richiesta del pubblico agente sia stata accolta anche con la sola promessa da parte dell’indotto).
Il quinto motivo del ricorso della COGNOME e il quarto motivo del ricorso del COGNOME, relativi entrambi al diniego delle circostanze attenuanti, sono generici e reiterativi, avendo la corte territoriale spiegato esaurientemente le ragioni del rigetto, in linea con i consolidati principi giurisprudenziali in materia, co riferimento alla personalità negativa degli imputati, desumibile dalla peculiare spregiudicatezza da essi dimostrata nella vicenda e dalla conseguente particolare gravità dei fatti (v. pag. 54 della sentenza impugnata, anche per la sintesi delle specifiche modalità della condotta delittuosa).
È, infine, fondato il quarto motivo del ricorso della COGNOME, con il quale si denuncia l’irrogazione di una pena complessiva superiore alla pena base prevista nella sentenza di appello annullata: per il reato più grave di cui al capo i) era stata inflitta la pena di tre anni di reclusione, aumentata di mesi tre di reclusione per ciascuno dei reati posti in continuazione di cui ai capi d), f), g) e h), cos determinandosi la pena finale in quattro anni di reclusione.
L’assoluzione in sede di rinvio per i reati di cui ai capi d), f), g), i) ha implica il venir meno del cumulo giuridico e la condanna per l’unico reato sub h). Ha ritenuto la sentenza impugnata (pag. 54) che il limite non superabile in virtù del divieto di reformatio in peius quoad poenam fosse quello di quattro anni di reclusione (pena finale determinata con la precedente pronuncia di appello), pervenendo alla determinazione della pena per il reato sub h) in tre anni e otto mesi di reclusione.
Tale conclusione è erronea.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, infatti, in caso di impugnazione del solo imputato, il divieto di reformatio in peius, operante anche nel giudizio di rinvio, si estende a tutti gli eventuali, ulteriori giudizi di rinvi senso che la comparazione fra sentenze necessaria all’individuazione del trattamento meno deteriore per l’imputato deve essere eseguita tra quella di primo grado e quelle rese in detti giudizi, restando immodificabile in peius l’esito per lui più favorevole tra quelli intervenuti, a seguito di sua esclusiva impugnazione, con le varie decisioni di merito succedutesi nel corso del processo (Sez. 1, sent. n.
5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801 – 04). Ne consegue che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato più grave, il giudice del rinvio, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non è vincolato alla quantità di pena individuata quale aumento ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. ma , per la regola del divieto di reformatio in peius, non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione (Sez. 4, sent. n. 13806 del 7/03/2023, Clemente, Rv. 284601). Del resto, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice del rinvio, anche quando irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può determinare la pena in misura superiore alla pena base prevista per il reato più grave sulla quale, nel giudizio precedente all’annullamento, sono stati effettuati gli aumenti per la continuazione.
In definitiva, la pena per il reato di cui al capo h) non poteva essere superiore a tre anni di reclusione, stabilita quale pena base per il cumulo giuridico nella sentenza annullata.
La sentenza va, dunque, annullata per la COGNOME, limitatamente al trattamento sanzionatorio, senza rinvio, potendosi procedere in sede di legittimità alla rideterminazione della pena, senza margini di discrezionalità, ai sensi dell’art. 623, lett. I), cod. proc. pen., in quanto tre anni di reclusione costituisce il limite massim – per le ragioni evidenziate – e, al contempo, minimo, perché inferiore a quello edittale previsto dall’art.319-quater cod. pen. (sei anni).
L’inammissibilità del ricorso del COGNOME determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
Entrambi gli imputati sono altresì condannati in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civile costituite ATM Messina e Comune di Messina, attinenti al reato di cui al capo h), nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Emilia limitatamente al trattamento sanzionatorio che determina in anni 3 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civile ATM Messina e Comune di Messina che liquida in complessivi euro 5000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 29/10/2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente