Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34071 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34071 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/01/2024 del TRIBUNALE di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 12 gennaio 2023, il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva accolto l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME avente ad oggetto l’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. tra i reati di cui alle sentenze: a) del Tribunale di Busto Arstizio in data 7 aprile 2014, irrevocabile il 15 dicembre 2015, di condanna alla pena di 7 anni e 8 mesi di reclusione e di 30.000 euro di multa per i delitti di estorsione in concorso, acquisto detenzione e offerta illeciti di sostanze stupefacenti, violazione delle disposizioni sul controllo delle armi, ricettazione, possesso di segni distintivi contraffatti, commessi il 13 settembre 2011; b) della Corte di assise di appello di Milano in data 8 maggio 2018, irrevocabile il 12 marzo 2019, di condanna alla pena di 26 anni di reclusione per i delitti di cui agli artt. 575 cod. pen., 4 e 7, legge 2 ottobre 1967, n. 895, commessi il 10 gennaio 2012. Per l’effetto, già ragguagliata la pena pecuniaria nel calcolo della pena detentiva, aveva rideterminato la pena per i reati accertati con la sentenza sub a) in 3 anni e 10 mesi di reclusione, rideterminando la pena in 29 anni e 10 mesi di reclusione.
1.1. Con sentenza n. 41950 in data 28 giugno 2023, la Prima Sezione della Corte di cassazione annullò la predetta ordinanza, osservando che il Tribunale aveva operato un unico aumento per i cinque reati satellite di cui alla prima sentenza in contrasto con il principio secondo cui il giudice dell’esecuzione che debba rideterminare la pena per la continuazione fra reati separatamente giudicati con sentenze e già unificati a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e successivamente, sulla pena determinata per quest’ultimo in sede di cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo.
1.2. Con ordinanza in data 25 gennaio 2024, il Tribunale di Brescia, in sede di rinvio, in accoglimento dell’istanza ha dichiarato i reati oggetto della sentenza emessa il 7 aprile 2014 dal Tribunale di Busto Arsizio, già unificati a quello previsto dagli artt. 110 e 367 cod. pen. accertato con sentenza emessa il 24 febbraio 2016 dalla Corte di appello di Milano, irrevocabile il 10 aprile 2016 (per il quale era stato disposto un aumento di 7 mesi di reclusione e 200 euro di multa), uniti dal vincolo della continuazione con quelli oggetto della sentenza in data 8 maggio 2018 della Corte di assise di appello di Milano, irrevocabile il 12 marzo 2019 e, per l’effetto, ha rideterminato la pena complessiva inflitta con le predette sentenze in 31 anni di reclusione, ridotti a 30 anni ex art. 78 cod. pen.
NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che il Giudice del rinvio, pur avendo proceduto allo scorporo dei reati oggetto dei provvedimenti esecutivi, tuttavia sarebbe giunto a una pena finale, pari a 31 anni di reclusione, superiore a quella di 29 anni e 10 mesi di reclusione nel primo provvedimento, in violazione del divieto di reformatio in pejus. A fronte della totale mancanza di motivazione rispetto all’aumento, il Giudice dell’esecuzione parrebbe avere erroneamente ritenuto che l’iniziale provvedimento non comprendesse anche la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano in 24 febbraio 2016, posta in continuazione con la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio. In realtà, come emergerebbe dal nuovo provvedimento di cumulo, la sentenza della Corte di appello di Milano del 24 febbraio 2016 sarebbe già stata posta in continuazione con quella del Tribunale di Busto Arsizio fin dal 20 luglio 2017, sicché la dicitura «la condanna del reato meno grave può essere ridotta ad anni 3 mesi 10 di reclusione» sarebbe da intendersi, in ossequio al principio del favor rei, come inerente ai reati di cui a entrambe le sentenze.
Sotto altro profilo, la determinazione della pena dei reati fine non avrebbe rispettato la logica interna dell’ordinanza, avendo il Tribunale ridotto la sola pena prevista per il reato di cui all’art. 367 cod. pen. accertato con la sentenza della Corte di appello di Milano del 24 febbraio 2016 «in considerazione della minore gravità edittale del reato», senza che tale criterio sia stato applicato nella determinazione delle pene inerenti agli altri reati fine, di cui all’art. 497-ter cod. pen. e di cui agli artt. 2 e 7, legge n. 895 del 1967, che prevedendo una pena edittale da 1 anno a 8 anni di reclusione avrebbe dovuto essere parificata alla pena inflitta per la ricettazione. Inoltre, vi sarebbe totale sproporzione tra l’aumento in continuazione dei reati di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti, pari a 2 anni di reclusione, rispetto a quella di 1 anno e 4 mesi di reclusione previsto per il delitto di cui agli artt. 2 e 4, legge n. 895 del 1967, pur avendo, quest’ultimo, una pena edittale inferiore di circa un terzo rispetto a quella prevista per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
In data 17 giugno 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
Il Giudice dell’esecuzione, dovendo procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., ha correttamente scorporato, dapprima, tutti i reati che il Giudice della cognizione aveva riunito in continuazione, ha, poi, individuato quello più grave ai sensi dell’art. 137 disp. att. cod. proc. pen., attraverso il riferimento alla pena più grave inflitta in concreto dal giudice della cognizione; e, successivamente, ha operato, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal Giudice della cognizione, operato autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (per tale modus procedendi cfr. Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259030 – 01; Sez. 1, n. 38244 del 13/10/2010, COGNOME, Rv. 248299 – 01; Sez. 1, n. 49748 del 15/12/2009, COGNOME, Rv. 245987 – 01), senza potere, comunque, quantificare gli aumenti per i reati satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna (Sez. U n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Nel caso esaminato il Giudice dell’esecuzione proceduto, effettivamente, secondo le scansioni stabilite in sede rescindente, individuando la pena inflitta in sede di cognizione per la violazione più grave e procedendo, indi, ai singoli aumenti per i reati satellite.
Tuttavia, nel determinare il complessivo trattamento sanzionatorio, l’ordinanza impugnata è pervenuta a una pena finale superiore a quella che era stata individuata all’esito del primo pronunciamento, poi annullato dalla richiamata pronuncia rescindente. Infatti, mentre con l’ordinanza in data 12 gennaio 2023 la pena era stata determinata, in esito ai vari aumenti, in misura pari a 29 anni e 10 mesi di reclusione, in sede di giudizio di rinvio essa è stata, invece, computata nella misura di 31 anni di reclusione, ridotti a 30 anni ex art. 78 cod. pen. Ciò che configura una violazione del principio, affermato dal consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in caso di annullamento con rinvio, a seguito di ricorso del solo condannato, dell’ordinanza di applicazione della disciplina del reato continuato ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione di rinvio è vincolato al divieto di reformatio in peius sui punti della decisione annullata già favorevoli al ricorrente, sicché la pena non può essere rideterminata in aumento (Sez. 5, n. 38740 del 10/07/2019, COGNOME, Rv. 277747 – 01; Sez. 5, n. 39373 del 21/09/2011, COGNOME, Rv. 251521 – 01; Sez. 1, n.
e
36414 del 19/09/2007, COGNOME, Rv. 237682 – 01). Ciò anche alla luce del rilievo secondo cui il divieto della reformatio in peius è un principio di portata generale, che va applicato anche nel giudizio di rinvio rapportando la pena inflitta con la sentenza annullata e quella inflitta dal giudice del rinvio, non potendosi in nessun caso ammettere che l’imputato veda aggravarsi una posizione che non aveva accettato e che possa essere peggiorata in forza di un atto che mirava, invece, a rimuoverla (Sez. 1, n. 9861 del 29/09/1993, Rv. 195434 – 01).
Né potrebbe ritenersi che la maggiore entità della pena determinata in occasione del secondo pronunciamento sia legittima conseguenza dell’inserimento, nel computo, dell’aumento disposto in relazione al reato di cui all’art. 367 cod. pen. accertato con la sentenza della Corte di appello di Milano del 24 febbraio 2016, atteso che, per esso, era stato disposto un aumento di 7 mesi di reclusione e 200 euro di multa, sicché anche ipotizzando che di esso il Giudice dell’esecuzione non avesse tenuto conto in occasione della prima ordinanza, poi annullata, la pena detentiva determinata con il provvedimento impugnato in relazione ai titoli residui sarebbe stata di 30 anni e 5 mesi di reclusione, comunque superiore a quella in origine computata.
Generico, invece, deve ritenersi l’argomento difensivo secondo cui, con riferimento ai reati di cui all’art. 497-ter cod. pen., agli artt. 2 e 7, legge n. 895 del 1967 e di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, l’istante avrebbe dovuto beneficiare di riduzioni della pena in ragione del relativo regime edittale e in rapporto a quello previsto per altri reati avvinti dalla continuazione. Infatti, l’aumento per ciascun reato satellite deve essere determinato in concreto dal giudice, ovvero in rapporto alle peculiari connotazioni del singolo episodio, sicché la relativa entità non deve essere necessariamente parametrata alla cornice edittale delle singole violazioni.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto in relazione al profilo della violazione del divieto di reformatio in pejus, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di Brescia.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia.
GLYPH Il Presidente
Così deciso in data 4 luglio 2024 Il Consigliere estensore