Divieto di Reformatio in Peius: I Limiti del Giudice d’Appello
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su due istituti fondamentali del diritto penale: la recidiva e il divieto di reformatio in peius. Quest’ultimo principio, sancito dall’art. 597 del codice di procedura penale, stabilisce che la posizione dell’imputato non può essere peggiorata nel giudizio di appello promosso unicamente da lui. La pronuncia analizza il caso di un condannato per tentata estorsione, il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile, fornendo spunti essenziali sui criteri di motivazione e sul calcolo della pena in secondo grado.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che confermava la responsabilità penale di un individuo per il reato di tentata estorsione. L’imputato decideva di ricorrere per Cassazione, lamentando due specifici vizi nella decisione dei giudici di secondo grado. Il primo motivo di ricorso contestava la motivazione con cui era stata applicata la circostanza aggravante della recidiva reiterata specifica; il secondo, invece, denunciava una presunta violazione del divieto di reformatio in peius.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
Il ricorrente ha articolato la sua difesa su due fronti principali:
1. Carenza di Motivazione sulla Recidiva: Secondo la difesa, la Corte d’Appello non aveva adeguatamente giustificato l’applicazione della recidiva, limitandosi a un generico riferimento alla pericolosità sociale del soggetto desunta dai precedenti penali. Si sosteneva che tale motivazione fosse insufficiente a dimostrare il necessario legame tra i precedenti reati e quello sub iudice.
2. Violazione del Divieto di Reformatio in Peius: Il secondo motivo di doglianza si concentrava sul calcolo della pena. L’imputato lamentava che i giudici d’appello, pur avendo ridotto la pena finale, avessero di fatto applicato un aumento per l’aggravante del cosiddetto ‘metodo mafioso’ in misura identica a quella del primo grado, violando così il principio che impedisce di peggiorare la condizione dell’appellante.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto entrambe le censure, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Le argomentazioni dei giudici di legittimità sono state chiare e puntuali su entrambi i punti.
La Sufficienza della Motivazione sulla Recidiva
In merito al primo motivo, la Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse pienamente legittima e sufficiente. I giudici di merito avevano correttamente ritenuto che il reato di tentata estorsione, messo in relazione con i precedenti specifici dell’imputato, fosse espressione di una ‘più intensa e allarmante pericolosità e capacità a delinquere’. Questa valutazione, secondo la Suprema Corte, costituisce un giudizio di fatto, basato su un apprezzamento discrezionale del giudice, che non può essere sindacato in sede di legittimità se, come in questo caso, è logicamente argomentato.
L’Insussistenza della Violazione del Divieto di Reformatio in Peius
Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo. La Corte ha chiarito che il divieto di reformatio in peius deve essere valutato con riferimento al risultato finale del calcolo della pena, ovvero alla sanzione complessivamente irrogata. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ridotto la pena totale inflitta in primo grado. Il fatto che, nel ricalcolare la pena, avesse applicato un aumento per una circostanza aggravante (il metodo mafioso) non costituisce una violazione del divieto, poiché l’esito finale è stato comunque più favorevole per l’imputato. La Corte ha agito nel rispetto dell’art. 63, comma 4, cod. pen., applicando prima la pena per la circostanza più grave (la recidiva) e poi, motivatamente, aumentando la pena per l’altra aggravante. Poiché la pena finale era inferiore, non vi è stata alcuna reformatio in peius.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce due principi cardine. In primo luogo, la valutazione sulla pericolosità sociale ai fini dell’applicazione della recidiva rientra nell’ambito del potere discrezionale del giudice di merito e, se motivata in modo logico, non è censurabile in Cassazione. In secondo luogo, e con maggiore impatto pratico, conferma che il divieto di peggioramento della pena si applica al risultato sanzionatorio complessivo. Un giudice d’appello può legittimamente rimodulare i singoli aumenti di pena per le circostanze aggravanti, a condizione che la pena finale inflitta all’imputato non sia superiore a quella decisa in primo grado. La decisione, quindi, consolida un’interpretazione che garantisce la sostanza del principio, senza ingessare il processo di determinazione della pena in secondo grado.
Quando la motivazione sull’applicazione della recidiva è considerata sufficiente?
La motivazione è sufficiente quando il giudice spiega che il nuovo reato, posto in relazione con le condanne precedenti, è espressivo di una maggiore e allarmante pericolosità e capacità a delinquere dell’imputato. Tale valutazione è un giudizio di fatto discrezionale non sindacabile in sede di legittimità se logicamente argomentato.
Il giudice d’appello può ricalcolare gli aumenti di pena per le aggravanti senza violare il divieto di reformatio in peius?
Sì, il giudice d’appello può ricalcolare gli aumenti di pena per le singole circostanze aggravanti a condizione che la pena finale complessivamente irrogata sia inferiore o uguale a quella inflitta dal giudice di primo grado. Il divieto si applica al risultato finale, non ai singoli passaggi del calcolo.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte nella sua decisione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 146 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 146 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Limbiate il 08/03/1971
avverso la sentenza del 11/01/2023 della Corte d’appello di Napoli dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta il vizio motivazionale in relazione all’applicazione della recidiva reiterata specifica, è manifestamente infondato, atteso che Corte d’appello (si veda, in particolare, la pag. 7 della sentenza impugnata) ha applicato tale circostanza aggravante ritenendo che il reato di tentata estorsione sub iudice, posto in relazione con le precedenti condanne riportate dall’imputato, si dovesse ritenere espressivo di una più intensa e allarmante pericolosità e capacità a delinquere dell’imputato, motivazione che si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità;
considerato che il secondo motivo di ricorsi:), con cui si lamenta la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., è manifestamente infondato, atteso che la Corte d’appello ha ridotto la pena che era stata complessivamente irrogata dal giudice di primo grado e, in particolare, nel rispetto dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., ha prima applicato la pena per la più grave circostanza della recidiva
reiterata specifica e, poi, ha facoltativamente – e motivatamente – aumentato la pena in relazione alla circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso, applicando per tale circostanza aggravante, secondo quanto afferma lo stesso ricorrente, un aumento «nella stessa misura in cui ha proceduto il Giudice di primo grado», senza, perciò, violare il divieto di reformatio in peius;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 21 novembre 2023.