Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26187 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26187 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/09/2023 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette k la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio limitatamente alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata, la Corte di appello di Milano – in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Monza in data 17 gennaio 2023 rideterminava la pena nei confronti del coimputato e confermava la condanna nei
confronti di NOME COGNOME alla pena di anni due e di mesi sei di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali.
Evidenziava la Corte territoriale come il giudice di primo grado, pur avendo concesso le circostanze attenuanti generiche ad entrambi gli imputati, avesse erroneamente operato il bilanciamento con la circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 2, cod pen., che era stata contestata in relazione al solo reato satellite e non al reato più grave, posto a base della continuazione. Tuttavia, la Corte distrettuale concludeva nel senso di ritenere l’imputato COGNOME non meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche, così rideterminando per la pena finale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’NOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto la violazione di legge in relazione agli artt. 69 e 62-bis cod. pen., 597 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello violato il divieto di reformatio in peius, non potendo, in assenza di una impugnazione del pubblico ministero, negare all’imputato le circostanze attenuanti che erano state già riconosciute dal giudice di primo grado.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera dì consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, essendo fondato il motivo dedotto.
Per inquadrare correttamente la questione portata all’odierna attenzione di questo Collegio, va evidenziato che, nel caso di specie, la Corte di appello di Milano, pur correttamente correggendo la sentenza di primo grado nella parte in cui era stato effettuato il giudizio di bilanciamento tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante contestata in relazione al reato satellite del capo b) posto in continuazione, senza operare alcuna riduzione della pena stabilita per il reato più grave del capo a), a differenza di quanto stabilito per altro coimputato, valorizzando un precedente penale di cui l’NOME era gravato, ha escluso per tale imputato le attenuanti genericheche allo stesso erano state già riconosciute dal Tribunale di Monza (v. pag. 6 sent. impugnata; pag. 6 sent. primo grado).
Tale statuizione si pone in evidente contrasto con la disposizione dettata dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui « quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado».
E’ pacifico, infatti, che se il pubblico ministero non impugna la sentenza di primo grado presta ad essa acquiescenza, cosicchè se a proporre appello è il solo imputato, il giudice, con l’unica riserva della diversa qualificazione giuridica del nomen iuris del fatto, non può, se non violando la regola del ne eat judex ultra petita che nell’appello si innesta con quella del tantum devolutum quantum appellatum, aggravare la pena alla quale l’imputato era stato condannato per specie o quantità o revocare i benefici concessigli. Ne consegue dunque che l’impugnazione proposta dal solo imputato, in relazione al divieto di reformatio in peius, dà luogo ad una sorta di regiudicata condizionale in ordine ai punti della decisione che riguardino la pena applicata e i benefici concessi dal giudice a quo.
Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno evidenziato come il divieto in parola non sia una eccezione nella materia delle impugnazioni, ma espressione di un principio di carattere generale ( Sez. U, n 16208 del 27/03/2014, C., non mass.) La Corte costituzionale ha incluso tale divieto tra i principi fondamentali del processo penale (Corte cost., n 3 del 9.01.1974) e il relativo principio è stato ribadito anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha precisato che l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. può «essere considerato una disposizione di diritto penale materiale, in quanto vede unicamente sulla severità della pena da infliggere quando l’appello viene unicamente interposto dall’imputato» (Corte EDU, sent. 07/07/2015, Greco c. Italia).
Alla stregua di tale regula iuris, va cassata la decisione della Corte di appello di Milano, che ha proceduto alla rideterminazione in peius del trattamento sanzionatorio in assenza di gravame da parte del pubblico ministero.
La sentenza va, dunque, annullata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla esclusione dell’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente all’applicazione dell’art. 62 bis cod.pen. con rinvio, per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 2S1/05/2024.