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Divieto di reformatio in peius: la Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello per violazione del divieto di reformatio in peius. I giudici d’appello, pur dichiarando un reato estinto, avevano confermato la pena originaria, di fatto peggiorando la posizione dell’imputato. La Corte ha anche censurato la motivazione sulla recidiva, ritenuta insufficiente.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Reformatio in Peius: Quando il Giudice non può Peggiorare la Pena

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 44812/2024) riafferma due principi cardine del nostro sistema processuale penale: il divieto di reformatio in peius e la necessità di una motivazione concreta per il riconoscimento della recidiva. Il caso analizzato offre uno spunto fondamentale per comprendere come, in assenza di un appello del Pubblico Ministero, la posizione dell’imputato non possa essere peggiorata in secondo grado, neanche per correggere una pena ritenuta illegale perché troppo mite.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado. L’imputato, giudicato colpevole, presenta appello. La Corte di Appello di Genova, nel riesaminare il caso, dichiara l’improcedibilità di uno dei reati contestati (un furto) per mancanza di querela. Nonostante l’eliminazione di questo capo d’imputazione, che in primo grado aveva comportato un aumento di pena di due mesi, i giudici di secondo grado confermavano integralmente la sanzione finale inflitta dal Tribunale.

Contro questa decisione, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due violazioni di legge:
1. La violazione dell’art. 597 del codice di procedura penale, che sancisce il divieto di peggiorare la sentenza per il solo appellante.
2. Un vizio di motivazione riguardo al riconoscimento della recidiva, basata esclusivamente sulla sussistenza di precedenti penali.

L’Analisi della Corte: Divieto di Reformatio in Peius e Recidiva

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi di ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio.

La Violazione del Divieto di Riforma in Peggio

Il primo punto, e il più significativo, riguarda il divieto di reformatio in peius. La Corte di Appello, pur avendo eliminato un reato dal computo della pena, ha lasciato invariata la sanzione finale. Questo comportamento, secondo la Cassazione, viola palesemente l’art. 597 c.p.p. La Suprema Corte sottolinea che la pena avrebbe dovuto essere ridotta del quantum relativo al reato estinto.

Il fatto che la pena base originaria fosse stata illegalmente determinata al di sotto del minimo edittale non può giustificare questa violazione. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: in assenza di un’impugnazione del Pubblico Ministero sul punto, il giudice d’appello non può correggere un’illegalità della pena se ciò comporta un danno per l’imputato. La tutela dell’imputato, unico appellante, prevale sulla necessità di ristabilire la legalità della pena.

La Motivazione sulla Recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto fondato. La Corte di Appello si era limitata a prendere atto dei precedenti penali dell’imputato per confermare la recidiva. Tuttavia, la giurisprudenza richiede molto di più. Il riconoscimento della recidiva è facoltativo e impone al giudice un onere di motivazione specifico.

Il giudice deve spiegare perché le precedenti condanne indichino una ‘più accentuata colpevolezza’ e una ‘maggiore pericolosità del reo’. Non basta un semplice elenco di precedenti; è necessaria una valutazione qualitativa e temporale dei fatti criminosi passati, che dimostri un concreto accrescimento della pericolosità sociale dell’imputato in relazione al reato per cui si procede. Nel caso di specie, questa valutazione era del tutto mancata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di annullamento sulla base della chiara violazione delle norme processuali e sostanziali. Ha affermato che il principio del favor rei e i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello impediscono al giudice di secondo grado di modificare la sentenza in peggio per l’imputato che ha proposto l’impugnazione, salvo che anche il Pubblico Ministero abbia impugnato la decisione. La mancata decurtazione della pena per il reato dichiarato improcedibile si è tradotta, di fatto, in un inammissibile aggravamento della posizione dell’imputato.

Inoltre, ha ribadito che la recidiva non è un automatismo legato ai precedenti penali, ma una valutazione discrezionale che esige un percorso argomentativo rigoroso, finalizzato a dimostrare come la reiterazione dei reati sia sintomo di una personalità più incline a delinquere e di una colpevolezza più grave.

Le Conclusioni

La sentenza in commento consolida due garanzie fondamentali per l’imputato. In primo luogo, il divieto di reformatio in peius agisce come un baluardo contro il rischio che l’esercizio del diritto di impugnazione si ritorca contro l’imputato stesso. In secondo luogo, si conferma che la valutazione sulla recidiva non può essere superficiale, ma deve fondarsi su un’analisi approfondita della storia criminale del reo e della sua attuale pericolosità. La causa è stata quindi rinviata alla Corte di Appello di Genova, che dovrà ricalcolare la pena tenendo conto di questi principi invalicabili, escludendo l’aumento per il furto e motivando adeguatamente l’eventuale riconoscimento della recidiva.

Se in appello un reato viene dichiarato estinto, la pena totale deve essere ridotta?
Sì, la pena deve essere decurtata del quantum relativo al reato estinto. La mancata riduzione viola il divieto di reformatio in peius se l’unico a impugnare la sentenza è l’imputato.

Un giudice d’appello può aumentare una pena se la ritiene troppo bassa, anche senza un ricorso del Pubblico Ministero?
No. Se l’unico appellante è l’imputato, il giudice non può modificare la sentenza in peggio per lui, nemmeno per correggere una pena che era stata illegalmente fissata al di sotto del minimo previsto dalla legge in primo grado.

Per riconoscere la recidiva, è sufficiente che l’imputato abbia precedenti penali?
No, non è sufficiente. Il giudice ha l’obbligo di motivare in modo specifico perché i precedenti penali indichino una ‘più accentuata colpevolezza’ e una ‘maggiore pericolosità del reo’ in relazione al nuovo reato commesso. Una semplice elencazione di precedenti non basta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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