Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22603 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22603 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a Veglie il 01/01/1955
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, nel riportarsi alla propria requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell ‘ Avv. NOME COGNOME che si è associato alle conclusioni del P.G. e si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1° luglio 2024, la Corte d’appello di Lecce , in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lecce in data 17 gennaio 2023, appellata da NOME COGNOME revocava la sospensione condizionale della pena in favore di quest’ultimo, confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato edilizio di cui al capo 1) della rubrica, commesso secondo le modalità esecutive e spazio -temporali meglio descritte nel predetto capo di imputazione, condannandolo alla pena
di 4 mesi di arresto ed euro 4000,00 di ammenda, con il concorso di attenuanti generiche e con il riconoscimento dei doppi benefici di legge.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando due distinti motivi, di seguito sommariamente enunciati ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla corretta applicazione dei canoni valutativi della prova ex art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. ed il correlato vizio motivazionale quanto al metodo legale utilizzato dal giudice per valorizzare gli indizi a carico dell’imputato in ordine all’asserito cambio di destinazione d’uso dell’immobile oggetto di contestazione , oltre al travisamento della prova per omissione quanto a una serie di dati decisivi.
In sintesi, si sostiene che i giudici di appello avrebbero tratto da una presunzione un’ulteriore presunzione trascurando che tale operazione contrasta con la regola generale della certezza de ll’ indizio. Richiamata la giurisprudenza riguardante i principi che regolano la prova indiziaria, si sostiene che i giudici avrebbero incredibilmente fondato la responsabilità dell’imputato su un’ipotesi del tutto congetturale, alternativa a quella concreta proposta dalla difesa, pure in mancanza di prova sul fatto che la sala oggetto di contestazione fosse destinata alla somministrazione al pubblico. La sentenza non riporterebbe alcun elemento grave, preciso e concordante, circa la destinazione del vano garage ad un uso diverso dal mero deposito di tavoli e sedie, non potendosi certamente ritenere tali gli elementi del tutto astratti ed ipotetici rilevati dai giudici di merito. La Corte d’appello avrebbe valorizzato dei dati inconsistenti e presunti, ed avrebbe invece omesso ogni tipo di valutazione su dati incontrovertibili che avevano categoricamente escluso la diversa destinazione del vano garage. Richiamati i principi in materia di travisamento probatorio, si osserva come, nel caso in esame, non si è in presenza di una difforme lettura delle dichiarazioni dei testi (che invece sarebbero state evidentemente ignorate e pretermesse dalla Corte d’appello), ma di un vero e proprio travisamento della prova per omissione. A ciò si aggiunga che la documentazione fotografica prodotta nel corso dell’istruttoria dibattimentale (e riconosciuta dai testi), aveva riscontrato l’utilizzo dei tavoli e delle sedie all’esterno del locale, il cui numero poteva essere compensato solo da quelli stipati nel garage. Anche su tale dato la sentenza non avrebbe svolto alcuna valutazione, trattandosi di circostanze incompatibili con la ricostruzione effettuata nella motivazione. Con riferimento poi alla posizione processuale del ricorrente, la Corte d’appello ha ritenuto che la difesa non avesse articolato alcun motivo rispetto al suo personale concorso nel reato contestato ciò esimendo la Corte d’appello da ogni valutazione sul punto. La difesa, invece, sostiene che, nella contestazione della sussistenza del cambio di destinazione d’uso, aveva rilevato nei motivi di appello che
l’attuale ricorrente, tecnico, non aveva mai indicato nel titolo edilizio il sub 3), facente riferimento a garage e patio, ciò che ne evidenziava l’estraneità dal reato come contestato nell’imputazione. È evidente, secondo la difesa, che tale affermazione avesse riguardato la sua specifica posizione processuale, essendo contestato al medesimo di aver commesso il reato nella sua qualità di progettista e direttore dei lavori, quando in realtà nessuna difformità strutturale risultava dall’imputazione, né alcun cambio di destinazione d’uso era stato rilevato per il sub 3) nei titoli edilizi. Anche su tale rilievo difensivo la Corte avrebbe dovuto esprimere le proprie valutazioni, senza trincerarsi dietro la barriera del principio devolutivo, trattandosi di una considerazione essenzialmente connessa alla condotta contestata all’imputato all’intervento edilizio, eventualmente e materialmente posta in essere dal coimputato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. ed il correlato vizio di motivazione, per aver violato la Corte d’appello il divieto di reformatio in peius , quanto alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena in mancanza di impugnazione del pubblico ministero.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello revocato d’ufficio la sospensione condizionale della pena concessa con la sentenza di primo grado, alla luce di due precedenti condanne per reati contravvenzionali incompatibili con una terza sospensione. Richiamati i precedenti giurisprudenziali contrastanti sul punto, la difesa ricorda come le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 36460 del 2024, hanno preso posizione sul problema della revoca disposta nella fase di cognizione, nella specie nel caso in cui vi provveda la Corte d’appello in ipotesi in cui non sia stata devoluta la causa ostativa alla concessione del beneficio. Nel ripercorrere i passaggi fondamentali della motivazione delle Sezioni Unite, si osserva come la Corte d’appello sarebbe andata oltre il devoluto in quanto avrebbe revocato il predetto beneficio in assenza della impugnazione del pubblico ministero, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius .
In data 08/04/2025 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, cui il predetto si è riportato in sede di trattazione orale. Il secondo motivo di ricorso appare per il P.G. fondato e va accolto. Il motivo riguarda la violazione del principio del divieto di reformatio in pejus della sentenza di primo grado da parte di quella di appello in assenza di impugnazione del PM. Invero la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena è avvenuta in assenza dell’impugnazione del PM. La difesa correttamente richiama la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.36460 del 30.05.2024.
I n data 23 aprile 2025, l’avv. NOME COGNOME ha fatto perv enire istanza di trattazione orale, accolta con provvedimento del presidente titolare della sezione, concludendo il sostituto processuale di udienza per l ‘ accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di cui si dirà infra .
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. E’ anzitutto inammissibile perché generico per aspecificità, non confrontandosi minimamente con le argomentazioni svolte alle pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata che, con dovizia argomentativa e prendendosi carico di confutare le identiche doglianze difensive mosse in sede di appello -replicate in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica -hanno chiarito le ragioni per le quali gli elementi acquisiti consentissero di ritenere realizzato il mutamento della destinazione d’uso del garage e del patio e l’accorpamento al locale commerciale, con conseguente integrazione dell’illecito penale oggetto di contestazione.
2.2. Sotto tale profilo, dunque, la censura di violazione della disciplina in tema di prova indiziaria e di asserita manifesta illogicità e mancanza di motivazione, cui si sarebbe accompagnato un travisamento probatorio per omissione, non ha all’evidenza alcun pregio, risolvendosi, infatti, nella mera contestazione dell’approdo valutativo cui sono pervenuti i giudici di merito fondato sulla ricostruzione oggettiva dei fatti. Il giudizio di legittimità, invero, rimane stretto essenzialmente negli angusti limiti del vizio di motivazione essendo deducibile, ex art. 606 cod. proc pen., comma 1, lett. e), solo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
A questa Corte, cioè, non è rimesso affatto un giudizio sul dissenso, pur motivato, del ricorrente in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dal giudice di merito. A ciò va aggiunto che in tema di prova indiziaria, alla Corte di cassazione compete il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonché la verifica della completezza, della correttezza e della logicità del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non, anche, un nuovo accertamento che ripeta l’esperienza conoscitiva del giudice del merito (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258677 – 01).
2.3. Quanto, poi, al dedotto vizio di travisamento probatorio per omissione, lo stesso è palesemente privo di pregio, anzitutto per non aver provveduto il ricorrente ad indicare in maniera specifica in cosa sarebbe consistita la dedotta pretermissione degli elementi dichiarativi (non è chiaro, del resto, nemmeno di quali testimonianze i giudici di
merito non avrebbero tenuto conto), ma, soprattutto, per non averne indicato la decisività.
Deve, invero, essere ribadito che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
2.4. Infine, la doglianza difensiva di mancato esame della questione dell’estraneità del ricorrente è superata dalla motivazione svolta a pag. 7 della sentenza, in cui si chiarisce come il COGNOME non aveva articolato alcun motivo di appello specifico inerente alla sua posizione, contestando solo la sussistenza del reato edilizio e non anche il concorso nel reato.
Correttamente, dunque, i giudici di appello hanno evidenziato come il motivo sulla sussistenza del fatto non potesse estendersi al concorso dell’appellante nel predetto reato, ciò in chiara applicazione del principio devolutivo di cui all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen, come del resto confermato dalla giurisprudenza richiamata in ricorso. La questione degli elementi da cui desumere il concorso dell’allora appellante nel reato edilizio, si legge in sentenza, non era assolutamente legata da vincoli di connessione essenziale, pregiudizialità, dipendenza e inscindibilità rispetto a quella che riguardava l’avvenuta esecuzione di interventi edilizi senza permesso di costruire, sicché correttamente i giudici territoriali hanno affermato che il principio devolutivo li esimeva da ogni ulteriore motivazione sul punto.
3. Il secondo motivo è invece fondato.
3.1. La revoca d’ufficio del beneficio della sospe nsione condizionale della pena, riconosciuto dal giudice di primo grado, in violazione del disposto dell’art. 164, cod. pen. per averne già beneficiato il ricorrente in altre due precedenti occasioni, avrebbe infatti richiesto l’impugnazione del pubblico ministero.
Quanto sopra discende, come correttamente rileva la difesa del ricorrente, dalla chiara esegesi normativa operata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 36460 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 287004 -01).
In particolare, dirimente è sia il § 9.4. della sentenza (laddove si chiarisce come ‘ 9.4. In materia di benefici, sospensione condizionale e non menzione e di attenuanti, il giudice di appello ha un potere di concessione al di là del devoluto, per espressa previsione di legge contenuta nell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. La disposizione, però, è di stretta interpretazione nella misura in cui comporta una eccezione alla regola generale dell’effetto devolutivo e, come tale, non può essere applicata oltre i casi in essa considerati, come compiutamente argomentato da ultimo da Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125- 01. Non può dunque farsi leva su questa disposizione per argomentare che, come il giudice di appello può concedere la sospensione, pur quando la cognizione sul punto non gli sia stata devoluta, così può revocarla oltre il devoluto quando sia stata illegittimamente applicata ‘ ), sia, soprattutto, il § 10. in cui si specifica che ‘ Se il punto della sospensione condizionale è devoluto al giudice di appello, a fronte di una illegittimità della concessione operata con la sentenza di primo grado, non può che esser conseguenza di una impugnazione del pubblico ministero, non potendosi ravvisare un interesse all’impugnazione dell’imputato che abbia beneficiato, al di fuori delle condizioni di legge, della sospensione condizionale ‘.
L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio , limitatamente alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto dalla sentenza di primo grado in favore del ricorrente, con conseguente eliminazione di tale statuizione.
Il parziale accoglimento dell’impugnazione preclude l’irrogazione della condanna alle spese ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, pur essendo inammissibile nel resto il ricorso (arg. ex Sez. 1, n. 1531 del 06/04/1994, COGNOME, Rv. 197657 -01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, statuizione che elimina. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso, il 20/05/2025