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Divieto di reformatio in peius: il caso delle aggravanti

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d’appello che aveva riconosciuto un’aggravante (cosa destinata a pubblico servizio) per il furto di energia elettrica, non riconosciuta in primo grado. Poiché solo l’imputato aveva appellato, la Corte ha stabilito che il giudice d’appello non poteva peggiorare la sua posizione, in virtù del divieto di reformatio in peius. La mancata impugnazione da parte del pubblico ministero aveva creato una preclusione sul punto.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di reformatio in peius e aggravanti: la Cassazione fissa i paletti per il giudice d’appello

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 21666/2025) ha riaffermato un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il divieto di reformatio in peius. Questo principio fondamentale stabilisce che, se a impugnare una sentenza è solo l’imputato, il giudice del grado successivo non può peggiorare la sua posizione. Il caso in esame riguarda un furto di energia elettrica e offre spunti cruciali sul potere del giudice d’appello di riconsiderare le circostanze aggravanti del reato.

I Fatti del Caso

Il procedimento ha origine dalla condanna di una persona per il reato di furto di energia elettrica. In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto sussistente il reato, riconoscendo però una sola delle aggravanti contestate: quella della violenza sulle cose. Aveva invece escluso (o meglio, non riconosciuto) l’ulteriore aggravante dell’aver commesso il fatto su una cosa destinata a pubblico servizio.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto appello. È importante sottolineare che il pubblico ministero, invece, non ha presentato alcuna impugnazione, accettando di fatto la valutazione del primo giudice riguardo alle aggravanti.

La Corte d’Appello, nel giudicare il caso, ha confermato la condanna ma, a sorpresa, ha riconosciuto anche la seconda aggravante, quella della destinazione a pubblico servizio, che il Tribunale aveva tralasciato. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando proprio questa decisione.

Il divieto di reformatio in peius e il ruolo del principio devolutivo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato, ritenendo la decisione della Corte d’Appello illegittima. Il cuore della motivazione risiede nel corretto inquadramento del divieto di reformatio in peius, strettamente collegato al principio devolutivo dell’appello (art. 597, comma 1, cod. proc. pen.).

Questo principio stabilisce che il giudice di secondo grado può esaminare solo i punti della sentenza che sono stati oggetto dei motivi di appello. Poiché nel caso specifico solo l’imputato aveva appellato, la Corte territoriale non poteva andare oltre le sue richieste per peggiorarne la posizione.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito che, non avendo il pubblico ministero impugnato la sentenza di primo grado sul punto del mancato riconoscimento della seconda aggravante, si era formata una preclusione. In altre parole, quella parte della decisione era diventata definitiva e non poteva più essere messa in discussione a svantaggio dell’imputato.

La Corte d’Appello, riconoscendo un’aggravante in più, ha violato il divieto di peggiorare il trattamento sanzionatorio e la qualificazione giuridica del fatto a sfavore dell’unico appellante. Gli Ermellini hanno precisato che questa situazione è diversa dall’ipotesi in cui il giudice dell’impugnazione dà al fatto una definizione giuridica più grave (art. 597, comma 3, cod. proc. pen.). In questo caso, non si trattava di riqualificare il reato, ma di aggiungere una circostanza aggravante che il primo giudice non aveva ritenuto sussistente e sulla cui esclusione si era formato il giudicato parziale, data la mancata impugnazione del PM.

Le Conclusioni

La decisione ha implicazioni pratiche significative. L’aggravante della destinazione a pubblico servizio, infatti, rendeva il reato di furto procedibile d’ufficio. Escludendola, e alla luce delle recenti riforme (d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia), il reato diventa procedibile solo a querela di parte. In assenza di una querela, come nel caso di specie, l’azione penale non può proseguire.

Questa sentenza, quindi, non solo tutela le garanzie difensive dell’imputato attraverso il rigoroso rispetto del divieto di reformatio in peius, ma sottolinea anche l’importanza strategica delle scelte processuali delle parti. La mancata impugnazione del pubblico ministero ha consolidato una situazione più favorevole per l’imputato, che il giudice d’appello non aveva il potere di modificare in suo danno.

Un giudice d’appello può riconoscere un’aggravante che il giudice di primo grado non aveva considerato, se solo l’imputato ha presentato appello?
No. Se l’unico a impugnare la sentenza è l’imputato, il giudice d’appello non può peggiorare la sua posizione riconoscendo aggravanti non ritenute in primo grado, in applicazione del divieto di reformatio in peius.

Cosa accade se il Pubblico Ministero non appella una sentenza riguardo a un punto specifico, come il mancato riconoscimento di un’aggravante?
Su quel punto si forma una preclusione. Ciò significa che la decisione del primo giudice diventa definitiva su quell’aspetto e non può essere modificata in senso sfavorevole all’imputato nel successivo grado di giudizio.

Qual è stata la conseguenza pratica dell’annullamento dell’aggravante nel caso specifico?
L’esclusione dell’aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio ha reso il reato di furto procedibile solo a querela della persona offesa. Poiché nel caso di specie mancava la querela, il procedimento penale non ha potuto proseguire.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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