Divieto di Reformatio in Peius: Quando il Giudice Può Cambiare il Reato?
Il divieto di reformatio in peius rappresenta una garanzia fondamentale per chi decide di impugnare una sentenza di condanna. Significa che, se solo l’imputato presenta appello, la sua situazione non può peggiorare. Ma cosa succede se il giudice d’appello, pur non aumentando la pena, cambia la definizione giuridica del reato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo delicato equilibrio tra le garanzie difensive e i poteri del giudice, analizzando il caso di una riqualificazione da rapina a estorsione.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente sollevava due principali questioni. La prima contestava la valutazione delle prove testimoniali, ritenendola errata e illogica. La seconda, ben più rilevante sul piano del diritto, denunciava la violazione del divieto di reformatio in peius. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva illegittimamente riqualificato il reato da rapina (art. 628 c.p.) a estorsione, pur essendo stato solo l’imputato a presentare impugnazione.
L’Analisi della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato separatamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni diverse ma ugualmente importanti per la comprensione dei principi del nostro ordinamento processuale.
La Valutazione delle Prove: Competenza Esclusiva del Giudice di Merito
Per quanto riguarda la prima censura, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La Cassazione non può riesaminare le prove, né sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare che la motivazione della sentenza sia coerente, logica e priva di vizi evidenti. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la valutazione delle testimonianze fatta dalla Corte d’Appello fosse adeguatamente argomentata e coerente, rendendo le critiche del ricorrente semplici ‘doglianze in punto di fatto’ e, come tali, inammissibili.
La Riqualificazione del Fatto e il Divieto di Reformatio in Peius
Il cuore della decisione riguarda il secondo motivo. La Corte ha dichiarato la censura manifestamente infondata. Ha chiarito che la riqualificazione giuridica del fatto è un potere che spetta al giudice anche in sede di appello e non viola, di per sé, il divieto di reformatio in peius. Il limite invalicabile, stabilito dall’art. 597, comma 3, del codice di procedura penale, è che tale operazione non deve comportare un trattamento sanzionatorio complessivamente più gravoso per l’imputato.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione precisa della legge e della giurisprudenza consolidata. I giudici hanno specificato che, per valutare se vi sia stata una violazione del divieto, non basta guardare al cambio di ‘nomen iuris’ (da rapina a estorsione). È necessario un controllo concreto degli effetti della decisione. Nel caso esaminato, la riqualificazione non aveva prodotto alcun effetto peggiorativo: né la pena irrogata era stata aumentata, né erano state modificate in peggio le condizioni per il calcolo della prescrizione, né erano state toccate le misure non custodiali applicate in primo grado. Di conseguenza, la garanzia per l’imputato era stata pienamente rispettata e la riqualificazione operata dal giudice d’appello è stata ritenuta legittima.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma con chiarezza due pilastri del processo penale. In primo luogo, la netta distinzione tra il giudizio di merito, incentrato sui fatti, e quello di legittimità, focalizzato sul diritto. In secondo luogo, essa precisa i contorni del divieto di reformatio in peius: non è un ostacolo assoluto alla riqualificazione del reato, ma un presidio a tutela dell’imputato contro ogni effettivo peggioramento della sua posizione. La decisione del giudice di dare una corretta qualificazione giuridica al fatto, se non si traduce in un danno concreto per l’imputato appellante, è pienamente legittima.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove testimoniali?
No, il giudizio della Corte di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non valuta nuovamente le prove (come le testimonianze), ma si limita a controllare che la sentenza impugnata abbia applicato correttamente la legge e che la sua motivazione sia logica e non contraddittoria.
È possibile per un giudice modificare la qualificazione giuridica di un reato in appello se a ricorrere è solo l’imputato?
Sì, è possibile. La riqualificazione giuridica del fatto (ad esempio, da rapina a estorsione) è legittima anche se l’unico a impugnare la sentenza è l’imputato, ma a una condizione fondamentale: che questa modifica non comporti un trattamento sanzionatorio più grave per lui.
Cosa si intende esattamente per trattamento sanzionatorio più grave in relazione al divieto di reformatio in peius?
Significa che la posizione dell’imputato non deve essere peggiorata sotto nessun profilo rilevante. Questo include non solo un aumento della pena detentiva o pecuniaria, ma anche effetti negativi sul calcolo della prescrizione del reato o un peggioramento delle misure cautelari o alternative applicate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26517 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a CASABLANCA( MAROCCO) il 19/04/2001
avverso la sentenza del 14/01/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta violazione di legge e vi di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità per il reato di cui all comma 1 cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità pe costituito da mere doglianze in punto di fatto;
che, con riguardo alla censura concernente l’asserita erroneità d valutazione delle prove dichiarative, occorre ribadire il principio conso secondo cui, in sede di legittimità, il giudice è chiamato unicamente a verifi il significato probatorio attribuito dal ricorrente alle dichiarazioni testimo contrasto con quanto ritenuto nel provvedimento impugnato – presenti un gra di verosimiglianza non immediatamente smentibile e non richieda, per la s valutazione, ulteriori accertamenti sul complesso dell’esame del dichiarante. ipotesi non ricorre nella specie, dovendosi riaffermare che non possono form oggetto di ricorso per cassazione la valutazione dei contrasti tra depos testimoniali, la scelta tra versioni divergenti o l’indagine sull’attendi testimoni, salvo che non emergano vizi di manifesta illogicità o incongruità motivazione (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362). Nel caso esame, la motivazione adottata dal giudice di merito si presenta coerente, l e adeguatamente argomentata, oltre che coerente con le linee ermeneutic tracciate dalla Corte di legittimità in materia di attendibilità c.d. “fraziona inoltre ribadirsi che il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle font compete in via esclusiva al giudice di merito, e le scelte da questi comp quanto alla prevalenza accordata a determinati elementi rispetto ad altri, o alla credibilità degli assunti difensivi – non sono sindacabili in sede di le a meno che non si fondino su affermazioni apodittiche o illogiche; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
osservato che è manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione del divieto di reformatio in peius in relazione alla riqualificazione del fatto da rapina ad estorsione. Tale censura si pone in contrasto con il disposto dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. e con il conso orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 5083 del 14/01/2 Prundu, Rv. 278143), secondo cui la riqualificazione giuridica del fa legittimamente esperibile anche in presenza della sola impugnazio dell’imputato, purché non comporti un trattamento sanzionatorio più gravos Nel caso di specie, la riqualificazione non ha determinato alcun aggravamento sotto il profilo della pena irrogata, né ai fini del calcolo della prescri rispetto alla misura non custodiale applicata in primo grado;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 3 giugno 2025.