Il Divieto di Reformatio in Peius: Come si Calcola la Pena in Appello?
La determinazione della pena in appello è un processo delicato, governato da principi fondamentali volti a tutelare i diritti dell’imputato. Uno dei cardini è il divieto di reformatio in peius, una regola che impedisce di peggiorare la condanna di un imputato quando è l’unico a presentare ricorso. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre spunti preziosi su come questo principio si applica in concreto, specialmente quando il giudice di secondo grado deve correggere un errore commesso dal tribunale.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per furto aggravato, inflitta dal Tribunale di primo grado. La pena stabilita era di un anno e sei mesi di reclusione, oltre a una multa. L’imputato, ritenendo la pena eccessiva, ha presentato appello, lamentando una errata applicazione della legge penale e un vizio di motivazione riguardo alla mancata applicazione della pena minima.
La Corte d’Appello, nel riesaminare il caso, ha rilevato un errore nel calcolo della pena effettuato dal primo giudice. Quest’ultimo, infatti, aveva erroneamente bilanciato un’attenuante con un’aggravante, cosa che non avrebbe dovuto fare, e aveva individuato una pena base troppo alta. Pur correggendo questo errore, la Corte d’Appello ha determinato una pena finale sì ridotta, ma in misura inferiore a quanto l’imputato si aspettava, applicando una riduzione minima per le circostanze attenuanti generiche.
Il Ricorso in Cassazione e il Divieto di Reformatio in Peius
L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello, pur riducendo la pena, avesse violato le regole sulla sua determinazione, non concedendo il minimo edittale. La questione centrale sollevata dinanzi alla Suprema Corte era se la decisione dei giudici di secondo grado violasse, di fatto, il divieto di reformatio in peius.
Il ricorrente contestava che la nuova determinazione della pena, sebbene formalmente più bassa, non fosse sufficientemente favorevole, data la correzione dell’errore iniziale. In sostanza, si chiedeva se un giudice d’appello, nell’esclusivo interesse dell’imputato, potesse ricalibrare gli elementi del calcolo della pena in modo meno vantaggioso (come una riduzione minore per le attenuanti) pur giungendo a un risultato finale migliorativo.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva agito correttamente. La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio consolidato: il divieto di reformatio in peius non è violato se la decisione del giudice d’appello, pur ricalcolando diversamente la pena, porta a un risultato complessivo più favorevole per l’imputato.
Nel caso specifico, la Corte di merito ha fornito una motivazione logica e puntuale, spiegando che l’imputato aveva già beneficiato di un trattamento sanzionatorio ‘pro reo’ (a favore del reo), seppur riformato. La riduzione per le attenuanti generiche è stata applicata in misura minima proprio per tenere conto dell’errore di calcolo del primo giudice, che aveva portato all’irrogazione di una pena di partenza illegale. Richiamando una precedente sentenza (Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020), la Cassazione ha ribadito che il giudice di appello può operare una minore riduzione per le attenuanti già concesse, a condizione che l’entità della pena complessiva risulti diminuita e la decisione sia supportata da una motivazione adeguata. Poiché la pena finale inflitta dalla Corte d’Appello era inferiore a quella del primo grado, non vi è stata alcuna violazione.
Conclusioni: Le Implicazioni della Decisione
Questa ordinanza conferma un importante principio di procedura penale. Il divieto di peggiorare la posizione dell’imputato che ricorre da solo non implica che ogni singolo passaggio del calcolo della pena debba essere più favorevole. Ciò che conta è il risultato finale. Un giudice d’appello ha il potere di correggere errori e di ricalibrare i vari fattori che compongono la pena (pena base, aggravanti, attenuanti), purché il risultato finale non sia peggiorativo per l’imputato. La decisione sottolinea l’importanza di una motivazione solida e coerente, che giustifichi ogni passaggio del ragionamento del giudice, garantendo così sia la legalità della pena sia il rispetto dei diritti della difesa.
Cosa si intende per ‘divieto di reformatio in peius’?
È il principio processuale che vieta al giudice dell’impugnazione di emettere una decisione che peggiori la situazione dell’imputato, qualora sia stato solo quest’ultimo a impugnare la sentenza.
Un giudice d’appello può ridurre la pena in misura minore rispetto alle aspettative dell’imputato senza violare tale divieto?
Sì, può farlo. Secondo la Cassazione, non c’è violazione se il giudice, pur operando una riduzione per le attenuanti inferiore a quella che si sarebbe potuta applicare, giunge a una pena complessiva più bassa di quella inflitta in primo grado e fornisce una motivazione adeguata per la sua decisione.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi sulla determinazione della pena. Aveva ridotto la pena finale rispetto al primo grado, fornendo una motivazione logica per il suo calcolo, e quindi non aveva violato il divieto di ‘reformatio in peius’.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33299 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33299 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CATANIA il 07/07/1997
avverso la sentenza del 19/03/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza emessa dal locale Tribunale in data 16.5.2019 che aveva condannato COGNOME NOME alla pena di anni uno e mesi 6 di reclusione ed euro 300,00 di multa per il reato di cui agli artt. 624 bis e 625 n. 2 cod.pen.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, con l’unico motivo l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod.proc.pen. e la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod.proc.pen. con riferimento alla mancata applicazione del minimo della pena.
Si censura la sentenza impugnata in quanto nel ritenere che la determinazione della pena da parte del giudice di primo grado sia stata frutto di un errore (e ciò in quanto non avrebbe dovuto applicare l’attenuante in equivalenza all’aggravante contestata individuando altresì una pena base inferiore) giunge alla determinazione di una pena ridotta ma in misura inferiore in ragione dell’errore.
Il ricorso é manifestamente infondato.
La Corte di merito con motivazione logica e puntuale ha dato conto che l’imputato aveva già ricevuto un trattamento sanzionatorio che, seppur riformato, era già pro reo, da ciò l’impossibilità di ridurre ulteriormente la pena.
Quanto alla riduzione per le concesse circostanza attenuanti generiche é avvenuta nel minimo tenuto conto dell’errore che ha fatto il primo giudice nella determinazione della pena che ha comportato l’irrogazione di una pena illegale.
Va a riguardo richiamato il principio secondo cui non viola il divieto di “reformatio in peius” la decisione del giudice di appello che, nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, avendo riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante, operi una minore riduzione per le già applicate attenuanti generiche, purchè l’entità della pena complessiva irrogata risulti diminuita e la decisione sia sorretta da adeguata motivazione (Sez. 5 , n. 19366 del 08/06/2020,
Rv. 279107).
Il ricorso manifestamente infondato deve essere pertanto dichiarat inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in GLYPH ma, il 17.9.2025