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Divieto di reformatio in peius: Cassazione chiarisce

Un imputato, condannato per truffa, ha ottenuto in appello una pena inferiore ma ha comunque fatto ricorso in Cassazione lamentando la violazione del divieto di reformatio in peius. Secondo il ricorrente, il giudice d’appello aveva peggiorato la sua posizione modificando il bilanciamento delle circostanze attenuanti. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che il divieto si applica all’esito finale della pena, che in questo caso era più mite, e non ai singoli elementi del suo calcolo.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di reformatio in peius: pena più bassa ma calcolo peggiorativo? La Cassazione fa chiarezza

Nel processo penale, l’appello dell’imputato non può mai portare a una condanna più severa. Questo è il cuore del divieto di reformatio in peius, un principio fondamentale a tutela del diritto di difesa. Ma cosa succede se il giudice d’appello riduce la pena finale, modificando però in senso peggiorativo alcuni elementi del calcolo, come il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 27154/2025) offre un’importante delucidazione su questo tema, stabilendo che ciò che conta è il risultato finale.

I fatti del processo: dalla truffa aggravata alla pena ridotta in Appello

Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). L’imputato, tramite il suo difensore, presentava appello.

La Corte di appello di Messina, accogliendo parzialmente l’impugnazione, riformava la sentenza di primo grado. In primo luogo, riqualificava il reato in una fattispecie meno grave, quella di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, co. 2, n. 1 c.p.). In secondo luogo, pur concedendo le circostanze attenuanti generiche, le riteneva equivalenti all’aggravante contestata, mentre il primo giudice le aveva di fatto considerate prevalenti. All’esito di questa nuova valutazione, la Corte d’appello rideterminava la pena in un anno di reclusione e 350,00 euro di multa, una sanzione significativamente inferiore rispetto a quella iniziale di due anni e quattro mesi.

Il ricorso in Cassazione e l’applicazione del divieto di reformatio in peius

Nonostante la sensibile riduzione della pena, l’imputato ricorreva per Cassazione, lamentando proprio la violazione del divieto di reformatio in peius. La tesi difensiva sosteneva che, sebbene la pena finale fosse più mite, il giudice d’appello aveva peggiorato la sua posizione modificando il giudizio di bilanciamento delle circostanze da prevalenti (o comunque applicate in riduzione) a equivalenti. Secondo il ricorrente, il divieto non dovrebbe riguardare solo il risultato finale, ma tutti gli elementi che concorrono al calcolo della pena.

Inoltre, il ricorso contestava il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di particolare tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), sostenendo che il danno patrimoniale di circa 500 euro fosse esiguo e che il ‘danno all’immagine’ dell’ente pubblico, citato dalla Corte d’appello, non dovesse rientrare in tale valutazione.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati.

I giudici hanno innanzitutto confermato la corretta riqualificazione del fatto operata dalla Corte d’appello, specificando che la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis) costituisce una circostanza aggravante del reato di truffa e non una figura autonoma.

Sul punto cruciale, la Suprema Corte ha richiamato il principio consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite (sent. 40910/2005), secondo cui il divieto di reformatio in peius si riferisce all’entità complessiva della pena, e non necessariamente ai singoli passaggi del suo calcolo. Nel caso di specie, il giudice d’appello aveva irrogato una pena inferiore (un anno) rispetto a quella del primo grado (due anni e quattro mesi). Pertanto, non poteva ravvisarsi alcuna violazione del divieto. Il fatto che il bilanciamento delle circostanze fosse risultato meno favorevole era irrilevante, dato che il risultato finale era comunque migliorativo per l’imputato. La Corte ha inoltre precisato che il primo giudice non aveva operato un esplicito giudizio di prevalenza, limitandosi ad applicare la riduzione, quindi il giudice d’appello non era vincolato a un precedente giudizio di bilanciamento.

Infine, il motivo relativo al diniego dell’attenuante del danno lieve è stato giudicato generico e quindi inammissibile.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine della procedura penale: il divieto di reformatio in peius va valutato in concreto, guardando al dispositivo finale della sentenza. Un imputato non può lamentare un peggioramento della sua posizione se, all’esito del giudizio di appello da lui promosso, la pena inflitta è più bassa di quella precedente. Le modalità di calcolo, inclusa la valutazione delle circostanze, rientrano nell’autonomia del giudice d’appello, a condizione che il risultato finale rispetti il divieto di infliggere una pena più grave. Questa pronuncia consolida la giurisprudenza e offre un chiaro parametro interpretativo per avvocati e operatori del diritto.

Quando si viola il divieto di reformatio in peius?
Secondo la sentenza, il divieto è violato quando il giudice dell’impugnazione, su appello del solo imputato, irroga una pena complessivamente più grave di quella inflitta in primo grado. Non c’è violazione se, pur modificando in senso sfavorevole alcuni elementi del calcolo (come il bilanciamento delle circostanze), la pena finale risulta comunque inferiore.

Il giudice d’appello può modificare il giudizio sul bilanciamento delle circostanze in modo meno favorevole all’imputato?
Sì, il giudice d’appello può operare un nuovo e autonomo giudizio sul bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, anche ritenendole equivalenti quando il primo giudice le aveva considerate prevalenti o aveva applicato una riduzione. L’importante è che questa diversa valutazione non porti all’irrogazione di una pena finale più alta.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati. La Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione del divieto di reformatio in peius, dato che la pena finale era stata ridotta. Inoltre, il secondo motivo, relativo al diniego di un’attenuante, è stato considerato generico e non adeguatamente argomentato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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