Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8872 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8872 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato il 04/12/1988
NOME nato il 10/05/1984
COGNOME nato a TARANTO il 02/02/1993
avverso la sentenza del 10/04/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio a nuovo esame limitatamente al trattamento sanzionatorio per COGNOME e il rigetto del ricorso di COGNOME
uditi l avv. COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
l’avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 10 aprile 2024, in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione di altra sentenza della stessa Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di condanna del Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Lecce:
nei confronti di NOME COGNOME ha escluso l’aumento per la recidiva e confermato la pena di anni 20 di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Taranto e sul territorio italiano fino al giugno 2018, (capo 1) e a plurimi delitti scopo di cui all’art. d.P.R. n. 309/90 commessi negli anni 2017 e 2018 (capi 2, 5, 6, 9, 10) e di cui agli artt. 10, 14 legge 497/74 (capo 16);
nei confronti di NOME COGNOME ha confermato la pena di anni 20 di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/90 (capo 1) e a plurimi delitti scopo di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 commessi negli anni 2017 e 2018 (capi 2, 3, 5, 7, 8, 9,10, 11);
nei confronti di NOME COGNOME ha confermato la pena di anni 10 di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 (capo 1) e al delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 commesso il 15 febbraio 2018 (capo 7).
1.1. La vicenda processuale, con riferimento ai summenzionati imputati, si è articolata nel modo seguente:
il Gup presso il Tribunale di Lecce aveva condannato i predetti imputati alle pene su indicate, riconoscendo nei confronti di COGNOME e COGNOME la recidiva;
la Corte di Appello di Roma, con una prima sentenza del 29 novembre 2021, GLYPH con riferimento a COGNOME e COGNOME aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 61 bis cod. pen. e confermato la pena irrogata; con riferimento a COGNOME, unificati i delitti di cui alla sentenza del 18 settem 2019 del GIP Tribunale di Taranto con i delitti di cui ai capi 1) e 7), aveva fissato l’aumento di pena per il precedente giudicato in anni 2 di reclusione e rideterminato la pena per i delitti oggetto del presente giudizio in anni 7 e mesi 4 di reclusione, per una pena complessiva di anni 9 e mesi 4 di reclusione;
la Corte di Cassazione, con sentenza del 10 marzo 2022, aveva annullato con rinvio la GLYPH sentenza GLYPH di appello GLYPH nei confronti di COGNOME limitatamente alla statuizione relativa alla recidiva, rilevando che la Corte di appello aveva adottato una motivazione solo apparente e ritenendo assorbita la censura in tema di omessa motivazione dei singoli aumenti di pena a titolo di continuazione; aveva annullato con rinvio la sentenza di appello nei confronti di
COGNOME con riferimento al trattamento sanzionatorio nel suo complesso e alla mancanza di specificazione dei relativi calcoli interni, rinviando a quanto già puntualizzato trattando della posizione di COGNOME; infine, aveva annullato con rinvio la medesima sentenza nei confronti di NOME COGNOME in relazione alla affermazione della penale responsabilità, con assorbimento dei restanti motivi;
la Corte di appello, in sede di rinvio, ha adottato le statuizioni su indicate.
Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso i summenzionati imputati, ciascuno a mezzo del proprio difensore.
2.1. COGNOME ha formulato due motivi.
comma il divieto di reformatio in peius, ma introduce al quarto comma una disposizione innovativa, in base alla quale, in ogni caso, se è accolto l’ appello dell’imputato relativo a circostanza o pene concorrenti anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è complessivamente diminuita. Tale principio è stato ripreso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16208 del 27 marzo 2014, con cui si è affermato che il divieto di reformatio in peius opera anche per il giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per Cassazione è stato proposto dall’imputato, essendo irrilevante per il verificarsi di questi effetti che la sentenza di primo grado stata appellata dal pubblico ministero, nonché recentemente dalla sentenza Sez. 1 n. 360 del 17/03/2023, COGNOME
Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi con riferimento ai reati avvinti dal vincolo della continuazione: qualora gli stessi non abbiano contribuito alla determinazione del trattamento sanzionatorio, in assenza di una specifica impugnazione dell’organo dell’accusa, il giudice dell’impugnazione non potrà annettere ai medesimi alcun incremento sanzionatorio.
In sostanza -argomenta il ricorrente- il divieto di reformatio in peius opera non solo con riferimento alla pena finale applicata all’imputato, ma anche a ciascuna componente del calcolo per determinare la stessa; opera anche nel giudizio di rinvio: in questo caso il giudice del rinvio dovrà applicare il suddett principio avuto riguardo alla precedente decisione di appello nel caso in cui il ricorso verso la stessa sia stato effettuato dal solo imputato; opera anche nei casi in cui, pur a fronte della riconosciuta sussistenza di una circostanza aggravante ovvero di un reato in continuazione, essa o esso non abbiano poi, per qualsiasi voglia motivo, concretamente operato nella determinazione della pena.
Nel caso di specie, la violazione del divieto di reformatio in peius risulta evidente, solo a voler considerare che la pena finale applicata è rimasta immutata, nonostante l’esclusione di due circostanze aggravanti ad effetto speciale rispetto alla sentenza di primo grado e di una circostanza aggravante ad effetto speciale rispetto alla sentenza di appello.
2.1.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione con riferimento alla entità degli aumenti per effetto della continuazione. La Corte territoriale ha applicato significativi aumenti di pena ai sensi dell’articolo 81 cpv cod. pen., limitandosi a richiamare, con formula di stile, la gravità dei reati, l rilevanza dei quantitativi di stupefacenti trattati, in contraddizione con l mancata contestazione della circostanza aggravante dell’ingente quantità, e la supposta estrema pericolosità sociale dell’imputato, in contraddizione con la
esclusione della recidiva motivata a ragione della scarsa significatività dei precedenti penali a suo carico.
2.2. COGNOME ha formulato due motivi, con cui ha dedotto la violazione di legge ed in specie la violazione degli artt. 627, comma 3, e 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen.. Il ricorrente lamenta che il giudice del rinvio, a seguito d sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, abbia affrontato il giudizio sul trattamento sanzionatorio, incorrendo nelle medesime omissioni rilevate nella prima sentenza della Corte di Appello di Lecce e censurate dalla Corte rescindente, consistenti nella mancata specificazione degli aumenti di pena per la recidiva e per la continuazione dei singoli reati scopo, nonché nella mancata diminuzione della pena per effetto del venir meno della circostanza aggravante ex art. 61 bis c.p. (già art. 4 L. 146/2006), esclusa dal primo Giudice di secondo grado.
2.3. NOME COGNOME ha formulato otto motivi.
2.3.1. Con il primo e il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’ identificazione dell’imputato. Il giudice d rinvio avrebbe colmato il vuoto motivazionale censurato dalla Corte rescindente facendo rinvio alla medesima nota della Guardia di Finanza, già invocata dalla prima sentenza, annullata. Da tale nota, invero, può trarsi esclusivamente il personale convincimento dei verbalizzanti formulato in termini probabilistici: l’identificazione del Circelli quale utilizzatore dei nickname NOME e NOME sarebbe incerta e fondata su mere congetture e non già su indizi gravi, precisi e concordanti. La sentenza, nel richiamare l’ informativa, sarebbe incorsa nel medesimo vizio della sentenza già annullata.
2.3.2. Con il terzo e il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’ affermazione della penale responsabilità in ordine al reato associativo. Gli elementi indicati dalla Corte quali indici dell partecipazione al sodalizio (i rapporti con COGNOME e con altri sodali e in particolare con NOME COGNOME, la condivisione con i sodali delle peculiari modalità di comunicazione fondate sull’utilizzo di chat crittografate col sistema di messaggistica BlackBerry; la partecipazione ad almeno due reati fine; l’esistenza di un rapporto fiduciario con i correi) sarebbero inconsistenti. Osserva, a tale fine, che COGNOME non aveva mai fatto parte dell’associazione; che Circelli comunicava attraverso la nnessaggistica crittograffata solo con NOME; che i rapporti di consuetudine con quest’ultimo non valevano a dimostrare uno stabile inserimento in un contesto associativo; che pure lo svolgimento dell’ attività di corriere per conto del gruppo non valeva quale prova della partecipazione al reato associativo.
2.3.3. Con il quinto e il sesto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione mancata derubricazione del reato contestato al capo 7 nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90. Il difensor rileva che la Corte di Appello, in maniera illogica, avrebbe tratto la prova che i quantitativi trattati dal ricorrente fossero non modesti dai sequestri di sostanza operati nei confronti dei correi in occasione di altri episodi a cui egli era rimast estraneo. Tale inferenza sarebbe in contrasto anche con il principio affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 27727/2024 per cui il medesimo fatto storico può configurare, in presenza di diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1, ovvero comma 4, d.P.R. n. 309/90 e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 7 comma 5, d.P..R. n. 309/90.
2.3.4 Con il settimo e l’ottavo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’aumento di pena operato per la continuazione esterna e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il difensore osserva che l’aumento di pena di anni 2 di reclusione in ordine al reato di cui al capo 10 sarebbe non proporzionato rispetto a quello di anni 1 e mesi 6 di reclusione applicato a COGNOME e che l’aumento di pena stabilito in ordine al reato di cui al capo 7 non sarebbe stato motivato in violazione di principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 47127 del 24.06.2021. Rileva, inoltre, che la Corte avrebbe motivato in maniera solo apparente il diniego delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen. con il richiamo all’assenza di elementi positivi da valorizzare in tal senso, senza tenere conto della complessiva condotta, sia infra che extra processuale, del ricorrente, il quale dall’epoca di commissione dei reati non aveva più riportato condanne, né era stato sottoposto ad altri procedimenti penali.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per un nuovo esame, e il rigetto del ricorso di NOME COGNOME
Il difensore di NOME COGNOME ha depositato memoria di replica con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso
Nel corso dell’udienza le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di COGNOME deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
1.1.1. La Corte di Cassazione GLYPH ha annullato con rinvio la precedente sentenza, rilevando che la Corte di appello aveva adottato una motivazione solo apparente quanto alla configurabilità nel caso di specie della recidiva, e ha ritenuto assorbita la censura in tema di omessa motivazione dei singoli aumenti di pena a titolo di continuazione. La Corte di Appello, in accoglimento della impugnazione, ha escluso la recidiva e, dopo che la sentenza annullata aveva già escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 61 bis cod. pen., ha precisato gli aumenti a titolo di continuazione nei seguenti termini: pena base per il reato di cui al capo 1), pari al minimo, anni 20 di reclusione, aumentata per il reato di cui al capo 2) di anni 3 di reclusione; ulteriormente aumentata per il reato di cui al capo 5) di anni 1 e mesi 6 di reclusione; ulteriormente aumentata per il reato di cui al capo 6) di anni 2 di reclusione; ulteriormente aumentata per il reato di cui al capo 9) di anni 1 e mesi 6 di reclusione; ulteriormente aumentata per il reato di quel capo 10) di anni 1 mesi 6 di reclusione; ulteriormente aumentata per il reato di cui al capo 16) di mesi 6 di reclusione per un totale di anni 30 d reclusione, ridotta per il rito ad anni 20 di reclusione.
1.1.2. La Corte, in tal modo, ha sì confermato la pena determinata, senza, tuttavia, incorrere nella lamentata violazione del divieto di reformatio in peius.
Com’è noto, l’appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice “ad quem” gli ampi poteri decisori delineati nell’art. 597, comma 2, cod. proc. pen., sicché, ove il gravame riguardi una sentenza di condanna, è possibile dare al fatto una qualificazione giuridica più grave (pur se nei limit della competenza del giudice di primo grado), mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare misure di sicurezza, nonché adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge e, ove riguardi una sentenza di proscioglimento, è possibile pronunciare condanna, se del caso emettendo alcune delle sopra indicate statuizioni, nonché confermare il primo esito anche modificando la formula; ove, infine, vi sia conferma della sentenza di primo grado è possibile applicare, modificare o escludere, nei casi previsti dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza. A norma dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen i , invece, ove il gravame sia proposto solo dall’imputato, opera il divieto di reformatio in peius. In tal caso, infatti, il Giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può dare al
fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado. L’art. 597, comma 4, c.p.p. non solo conferma il divieto di refornnatio in peius, ma ne rafforza l’efficacia sotto il profilo del contenuto, stabilendo che se viene accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere “corrispondentemente” diminuita.
Le Sezioni Unite GLYPH della Corte di GLYPH Cassazione con la sentenza n. 40910 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232066, ponendosi espressamente in linea con le sentenze Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196894 e Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 201034, hanno affermato che nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado. E ciò in quanto il divieto di “reformatio in peius” investe anche i singoli elementi che compongono la pena complessiva e riguarda non solo il risultato finale di essa, ma tutti gli elementi del calcolo relativo: la disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In applicazione di tale principio è stato ritenuto che vi sia violazione di tal divieto nel caso in cui, in presenza di impugnazione da parte del solo imputato di una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, non si diminuisca l’entità della pena originariamente inflitta pur pronunciandosi l’assoluzione per un reato-satellite (Sez. 5, n. 31998 del 06/03/2018, COGNOME, Rv. 273570 – 01; Sez. 3, n. 17731 del 15/02/2018, COGNOME, Rv. 272779 – 01; Sez. 5, n. 50083 del 29/09/2017, COGNOME, Rv. 271626 – 01; Sez. 3, n. 17113 del 16/12/2014, dep. 2015, C., Rv. 263387 – 01; Sez. 3, n. 38084 del 23/06/2009, COGNOME, Rv. 244961 – 01).
A ciò deve aggiungersi che la sentenza Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660 ha affermato che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto
di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione. La pronuncia, pur riferendosi al giudizio di bilanciamento, afferma che:
-l’obbligo di corrispondente diminuzione della pena di cui al comma 4 dell’art. 597 cod. proc. pen. è limitato all’accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o reati concorrenti, ossia solo – come è lecito desumere dalla stretta correlazione tra la locuzione finale («la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita») ed il precedente riferimento ai motivi accolti («se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se 3 unificati per la continuazione») – ad ipotesi interessate da un metodo di calcolo comportante mere operazioni di aggiunta od eliminazione di entità autonome di pena rispetto alla pena-base”;
-“la innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicché una “alterazione” dei termini in comparazione non comporta GLYPH necessariamente GLYPH una GLYPH “alterazione” GLYPH altresì GLYPH del GLYPH giudizio precedentemente espresso)»;
«una logica rigidamente ed esclusivamente matematica, comportante l’automatica riduzione della pena inflitta in primo grado, porterebbe a snaturare il giudizio di appello ed il potere di valutazione della gravità del fatto attribuit relativo giudice».
La sentenza delle Sezioni Unite n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652 ha affermato che, non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 59 cod. proc. pen., il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene quando la regiudicanda satellite diventa quella più grave o quando cambia la qualificazione giuridica), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore
In base a tale ricognizione, dunque, può affermarsi che la regola dettata dalle Sezioni Unite Morales, riguarda tutte le ipotesi in cui i parametri e la sequenza di raffronto rimangano identici; quando, invece, mutano i parametri e/o la sequenza, il mero raffronto “matematico” tra le componenti della pena non riesce più a fornire un adeguato criterio di verifica di una eventuale reformatio in peius, poiché, modificandosi i reciproci rapporti ponderali dei singoli elementi, salta il presupposto stesso per effettuare un utile confronto (Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107).
Alla stregua del principio enunciato, si rileva, dunque, che nel caso di specie la Corte distrettuale si è mantenuta entro i confini dei poteri decisori che competono al giudice di appello e la denunciata violazione del divieto di “refornnatio in peius” non sussiste. La Corte, dopo aver escluso la circostanza aggravante ad effetto speciale, non ha corrispondentemente diminuito la pena irrogata dal giudice di primo grado, ma solo perché sulla pena base per reato più grave, determinata nel minimo edittale, ha calcolato gli aumenti di pena per i reati satelliti, che in precedenza non avevano potuto operare in ragione della previsione del limite massimo di cui all’art. 78 cod. pen., già raggiunto per effetto del riconoscimento della circostanza ad effetto speciale. Una volta esclusa tale circostanza e, dunque, rientrata la pena al di sotto del limite di cui all’art. 78 cod. pen., il giudice di secondo grado ha doverosamente operato gli aumenti di pena per i reati satelliti in continuazione: in tal modo non ha irrogato una pena superiore a quella del giudice di primo grado, ma solo individuato gli aumenti di pena, prima rimasti non operativi.
Né può dirsi che l’esclusione della recidiva avrebbe dovuto riverberarsi anche in relazione alla pena per i reati satelliti, in quanto il primo giudice no aveva indicato quale in astratto sarebbe stata l’entità degli aumenti virtuali, sicché anche sotto tale profilo la Corte non è incorsa nella violazione dell’art. 597 cod. pen.
2.2 II secondo motivo, attinente alla mancata motivazione in ordine agli aumenti di pena a titolo di continuazione, è infondato.
Vero è che le Sezioni Unite hanno chiarito che è necessaria la specifica indicazione degli aumenti di pena per i reati satelliti e che sussiste uno specifico onere di motivazione in merito alla misura dell’aumento, così da rendere «conoscibili gli elementi che hanno condotto alla definizione di quel valore». Tuttavia, il Supremo Collegio ha anche precisato che l’onere motivazionale è variabile, ovvero debba essere rapportato all’entità della pena e, soprattutto, al discostamento rispetto al minimo edittale, in base ai parametri affermati dalla consolidata giurisprudenza con riguardo alla determinazione della pena base: la motivazione, pertanto, deve essere idonea a far ritenere “«che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen.; che non si sia operato surrettiziamente u cumulo materiale di pene; che sia stato rispettato, ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna agli illeciti accertati” (Sez. U , n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Nel caso di specie, la Corte ha dato giustificazione dell’entità dei singoli aumenti, peraltro contenuti, richiamando la gravità dei reati sotto il profilo dei quantitativi di sostanza stupefacente oggetto delle contestazioni (nell’ordine di chilogrammi con riferimento alla cocaina e di centinaio di chilogrammi con
riferimento alla marijuana) e la estrema pericolosità sociale dell’imputato, adottando, pertanto, un percorso argonnentativo congruo e rispettoso dei principi su indicati. Sotto tale profilo nessuna contraddizione sussiste fra la valutazione in termine di gravità della condotta di reato e la mancata contestazione della circostanza aggravante della ingente quantità cui all’art. 80 d.P.R. n. 309/90, così come non è contraddittoria la valutazione della spiccata pericolosità dell’imputato, dimostrata anche con la commissione dei reati in esame, e la esclusione della recidiva, che fonda il suo presupposto in una “accresciuta pericolosità” e che, dunque, deve essere valutata anche in ragione della natura dei precedenti penali.
2. Il ricorso di COGNOME deve essere rigettato.
2.1.La Corte di Cassazione aveva ritenuto fondato il motivo di ricorso con il quale si era censurata la mancata esplicitazione degli aumenti di pena quanto alla recidiva e ai singoli reati fine, rinviando a quanto già puntualizzato trattando della posizione di COGNOME
La Qorte territoriale, in sede rescissoria, come detto, ha confermato la pena base, pari al minimo edittale, di anni 20 di reclusione in ordine al reato di cui a capo 1) e ha quantificato gli ulteriori aumenti nel modo seguente: anni 30 per la contestata recidiva reiterata (nella misura massima consentita considerando che l’imputato ha a suo carico ben due precedenti specifici), aumentata di anni 3 per il reato di quel capo 2), di anni 2 per il reato di cui al capo 3), di anni mesi 6 per il reato di quel capo 5), di 1 anno per il reato di cui al capo 7), di anno per il reato di quel capo 8), di 1 anno e 6 mesi per il reato di cui al capo 9), di 1 anno e 6 mesi per il reato di cui al capo 10), di 2 anni per il reato di cui capo 11), per un totale di 33 anni e 2 mesi ricondotto, ex art. 78 cod. pen. al limite di 30 anni ridotto per il rito ad anni 20.
Contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, la Corte ha osservato il dictum della sentenza rescindente e ha dato conto dell’entità degli aumenti di pena individuati per la recidiva e per i reati satelliti, indicando anche le ragion di tale individuazione, con un richiamo alla gravità dei precedenti con riferimento alla recidiva e ai quantitativi di sostanza stupefacente, oggetto dei reati in continuazione.
Anche in questo caso, per le ragioni già individuate trattando della posizione di COGNOME non vi è stata alcuna violazione del divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 cod. proc. pen.
3. Il ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere rigettato.
3.1 La Corte di Cassazione ha rilevato il vizio di motivazione, sub specie della apparenza, in merito alla sua identificazione e alla affermazione della responsabilità in ordine al reato associativo con assorbimento del motivo relativo alla mancata derubricazione nella fattispecie di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309/90 del reato contestato al capo 7 e del motivo relativo all’omessa motivazione con riguardo all’aumento di pena a titolo di continuazione e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Sotto il primo profilo, GLYPH ha osservato che, secondo la decisione di primo grado, il ricorrente aveva utilizzato, nelle conversazioni, numerosi nickname (“NOME“, “NOME“, “NOME“), ma in realtà era stato individuato un solo nome (“NOME“) come attribuito al Circelli con piena certezza. Il Giudice del gravame aveva riferito al ricorrente anche gli altri due nickname, ma solo perché nella informativa in atti allo stesso erano stati attribuiti anche due codici IMEI (ossia due apparecchi) utilizzati, per l’appunto, da “NOME” e “NOME“, senza però spiegare quali atti di indagine avessero consentito tale abbinamento. Sotto il secondo profilo, la sentenza rescindente ha osservato che la Corte di Appello si era limitata a richiamare le considerazioni già espresse su COGNOME, che, tuttavia, non riguardano in alcun modo il ricorrente, e una intercettazione attribuita a soggetto con il nickname di NOME, senza specificare gli argomenti a sostegno della identificazione di tale soggetto nel ricorrente.
3.2. Così perimetrato il dictum della sentenza rescindente, il primo e il secondo motivo, inerenti alla identificazione del ricorrente, sono manifestamente infondati.
La Corte di Appello ha richiamato la nota della Guardia di finanza datata 15 novembre 2019 e gli atti ad essi allegati e ha chiarito che :
-la riconducibilità a NOME COGNOME del nickname COGNOME era stata accertata in occasione dell’arresto del ricorrente in data 29 maggio 2018, allorquando, a seguito dell’ascolto di numerose conversazioni in chat tra i sodali, era stato trovato in possesso di 1200 grammi di cocaina e di tre cellulari, tra cui uno marca LG modello 160 avente codice Imei n. NUMERO_DOCUMENTO, utilizzato dal soggetto avente nickname COGNOME monitorato tramite il pin abbinato a tale codice Imei;
-l’esame delle conversazioni nel loro sviluppo cronologico avevad6 consentito di provare che il soggetto avente nickname NOME, per le ragioni già dette identificato in Circelli, aveva utilizzato i nicknanne NOME e NOME COGNOME Invero nelle varie conversazioni intercettate tra i pin in uso a COGNOME e i pin associati ai nickname NOME, NOME COGNOME e NOME, gli interlocutori, oltre a discutere dei vari clienti da contattare per il recupero dei soldi o per la vendita delle sostanze stupefacenti, avevano effettuato riferimenti a circostanze personali. In
particolare l’utilizzatore dei codici pin abbinati ai nickname NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME nel conversare con NOMECOGNOME più volte faceva riferimento ad un’attività di allevamento di cavalli nella quale era impegnato all’epoca.
Il ricorrente, GLYPH di contro, nel formulare una critica generica, secondo la quale i giudici di merito avrebbero formulato mere congetture, GLYPH non si è confrontato con il percorso argomentativo della sentenza impugnata, chiaro nella individuazione delle fonti di prova rilevanti al fine di attribuire al ricorren vari nickname intercettati e non illogico nella interpretazione di dette fonti. L Corte ha sì desunto gli elementi rilevanti dalla stessa informativa già richiamata nella sentenza annullata, ma ha anche chiarito che tali elementi, di natura oggettiva e non valutativa, non erano stati valorizzati ed evidenziati dal primo giudice.
3.3. Il terzo e il quarto motivo, relativi all’affermazione della responsabilit in ordine al reato associativo, sono inammissibili e, comunque, manifestamente infondati.
La Corte di appello, chiarito che a COGNOME erano riconducibili tutti i nickname su indicati, ha desunto il suo coinvolgimento nel sodalizio dedito al narcotraffico da plurimi e convergenti elementi, quali la partecipazione ad almeno due reati fine per conto del gruppo e cioè il trasporto, in concorso con COGNOME e COGNOME, di oltre un chilogrammo di stupefacente del tipo cocaina il 29 maggio 2018 e il trasporto, in concorso con COGNOME, di un quantitativo di eroina il 15 febbraio 2018; i rapporti diretti non soltanto con il cap dell’associazione COGNOME ma anche con altri sodali; la condivisione delle peculiari modalità di comunicazione adottate, che si fondavano sull’utilizzo da parte di ciascuna associato di chat crittografate con il sistema messaggistica BlackBerry. Tutti tali elementi – hanno osservato i giudici- valevano a provare l’inserimento dell’imputato nell’associazione e la consapevolezza in merito alla sistematicità dei traffici e all’apporto concreto da lui apportato.
Venendo in rilievo una doppia sentenza conforme di condanna (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218), tale percorso argomentativo deve essere letto congiuntamente con quello della sentenza di primo grado, nella quale si dà atto che RAGIONE_SOCIALE operava in veste di corriere, curando personalmente le cessioni di sostanze stupefacenti agli acquirenti tarantini e provvedendo al ritiro del denaro provento di tali cessioni, nella consapevolezza di aderire ad un gruppo organizzato (pag. 19 sentenza Gup).
La censura del ricorrente si limita a sindacare la valutazione del materiale probatorio, senza, tuttavia, rilevare alcuna illogicità e/o travisamento e in ta modo sottopone a questa corte una inammissibile lettura alternativa delle fonti di prova. A tale fine sin deve ribadire che il contenuto essenziale dell’atto
d’impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con l argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584) e che esulano, pertanto, dai poteri della Corte di legittimità la rilettura della ricostruzi storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, nonché l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa.
3.4. Il quinto e il sesto motivo, con cui si censura la mancata derubricazione della fattispecie di cui al capo 7) in quella di cui all’art. 7 comma 5, d.P.R. n. 309/90, è infondato. In proposito occorre ricordare che, ai fini del riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, il giudice è tenuto a valutare tutt gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) (Sez. 6 n. 29132 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270562; Sez. 6 n. 38606 dell’08/02/2018, Sefar, Rv. 273823). L’orientamento è stato ribadito dalle Sezioni Unite, secondo cui il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, deve dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Con la conseguenza, precisata dal Supremo Collegio, che “il percorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma, altresì, di quelli per cui la carica negativa non può riteners bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività” (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte, in proposito, ha osservato che, pur in difetto di prova in ordine la quantitativo trasportato, l’ipotesi attenuata poteva escludersi alla luce del contesto organizzato in cui il fatto si inseriva, dimostrativo della capacità del Circelli e dei computati di diffondere in modo non episodico, né occasionale sostanza stupefacenti e di movimentare ingenti quantitativi, in un ristretto arco temporale, come comprovato dai sequestri effettuati in occasione di altri episodi oggetto delle ulteriori imputazioni elevate a carico dei coimputati, tutti i relativi a “carichi” di stupefacente che andavano da 1 chilogrammo, fino a giungere a 170 chilogrammi o addirittura a 670 chilogrammi.
In sostanza, dunque, la Corte, con inferenza non illogica, ha desunto la prova della significatività del quantitativo trasportato e ceduto dal ricorrente nella occasione descritta al capo 7, dal complessivo compendio indiziario da cui era emerso che l’associazione in esame movimentava partite di droga di differente tipologia in quantitativi assai rilevanti.
La censura si limita a contestare in maniera generica la motivazione e a richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 27727 del 14/12/2023 , dep. 2014, COGNOME, Rv. 286581 (secondo cui in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, de medesimo d.P.R.) del tutto inconferente rispetto alla argomentazione della Corte.
3.5. Il settimo e l’ottavo motivo, con cui si censurano l’aumento di pena operato per la continuazione esterna e il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sono infondati.
La Corte in proposito ha osservato che non si ravvisano elementi che giustificano il riconoscimento delle circostanze attenuanti, al di là del mero dato della incensuratezza dell’imputato, dovendosi considerare ostativi in tal senso l’assoluta gravità dei fatti evidenziata dal livello di organizzazione raggiunto dal gruppo; l’aumento in misura pari a 2 anni di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo 10, per il quale COGNOME è stato giudicato separatamente in via definitiva appare congruo tenuto conto del consistente quantitativo e trasportato e della natura della sostanza.
La motivazione adottata appare esente da censure sotto entrambi i profili.
In tema di circostanze attenuanti generiche, infatti, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, peraltro, il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli rite decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691) e potendo il diniego essere legittimamente motivato con
l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Anche l’aumento per la continuazione è stato adeguatamente motivato, con richiamo agli indici di cui all’art. 133 cod. pen. ovvero alla gravità concreta della condotta di reato contestata nel reato satellite, in coerenza con i principi dettati da Sez. U , n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269, su cui ci si è già soffermati trattando della posizione di COGNOME.
Infine, nessun rilievo può essere attribuito alla diversità del trattamento sanzionatorio del coimputato, alla luce del principio per cui in tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (ex plurimis Sez. 3,n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839): la doglianza è stata prospettata in maniera generica e apodittica, senza riferimenti concreti ed individualizzanti, e, come tale, deve essere ritenuta, sotto tale profilo, inammissibile.
4.AI rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 28 gennaio 2025
Il Consigliere
Il Presidente