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Divieto di prevalenza: la recidiva e le attenuanti

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando la legittimità costituzionale del divieto di prevalenza della circostanza attenuante del risarcimento del danno sulla recidiva qualificata. La Corte stabilisce che tale regola valorizza correttamente la componente soggettiva del reato e la pericolosità sociale del reo, senza creare sproporzioni nella pena.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Prevalenza: Perché la Recidiva ‘Pesa’ di Più delle Attenuanti?

Il bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti è uno dei passaggi più delicati nella determinazione della pena. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: il cosiddetto divieto di prevalenza di alcune attenuanti sulla recidiva qualificata. Questo significa che, in certi casi, la condizione di recidivo di un imputato ha un peso tale da non poter essere superata da fattori che altrimenti alleggerirebbero la sua posizione, come il risarcimento del danno. Analizziamo questa importante ordinanza per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un imputato, già condannato in Corte d’Appello, ha presentato ricorso in Cassazione basando le sue doglianze su due motivi principali. Il primo riguardava una richiesta di derubricazione del reato di rapina nella sua forma tentata, un’argomentazione che la Suprema Corte ha rapidamente liquidato come inammissibile, in quanto mera ripetizione di motivi già respinti nel precedente grado di giudizio.

Il secondo motivo, ben più rilevante dal punto di vista giuridico, sollevava una questione di legittimità costituzionale riguardo all’articolo 69, quarto comma, del codice penale. L’imputato lamentava che questa norma, impedendo alla circostanza attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6 c.p.) di prevalere sulla recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, c.p.), avesse precluso alla Corte d’Appello la possibilità di applicare una riduzione di pena più consistente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile nel suo complesso. Sul punto cruciale, quello relativo al divieto di prevalenza, i giudici hanno ritenuto la questione di costituzionalità manifestamente infondata. La decisione conferma che il legislatore ha volutamente introdotto una deroga alla disciplina ordinaria del bilanciamento delle circostanze per dare maggior peso alla pericolosità sociale manifestata dal reo con la sua reiterata condotta criminale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Analisi sul Divieto di Prevalenza

Il cuore della pronuncia risiede nella spiegazione fornita dalla Corte per giustificare la legittimità del divieto di prevalenza. I giudici hanno chiarito che questa regola non crea una “manifesta sproporzione” nel trattamento sanzionatorio, come sostenuto dal ricorrente. Al contrario, essa rappresenta una scelta ponderata del legislatore finalizzata a valorizzare la “componente soggettiva del reato”.

In altre parole, la legge considera la plurima ricaduta in condotte penalmente rilevanti come un indicatore di maggiore gravità e pericolosità del reo. Pertanto, impedire che un’attenuante comune, seppur significativa come il risarcimento del danno, possa “cancellare” o superare il peso della recidiva qualificata è una scelta coerente con il sistema penale. La Corte ha richiamato un precedente orientamento giurisprudenziale (sentenza Giordano, n. 16487/2017) relativo alle attenuanti generiche, estendendone il principio al caso di specie. La deroga alla regola generale del bilanciamento è dunque giustificata dalla necessità di sanzionare più severamente chi dimostra una persistente inclinazione a delinquere.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un importante principio in materia di commisurazione della pena. Per gli imputati, essa sottolinea le gravissime conseguenze della recidiva: non solo comporta un aumento della pena, ma limita anche l’efficacia di eventuali circostanze attenuanti. Il divieto di prevalenza cristallizza l’idea che la storia criminale di una persona è un fattore determinante che il giudice non può ignorare o sminuire oltre certi limiti.

Per gli operatori del diritto, la decisione ribadisce la piena legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, riducendo le possibilità di successo per ricorsi fondati su questo specifico punto. La sentenza riafferma la discrezionalità del legislatore nel definire le priorità sanzionatorie, dando un chiaro segnale che la lotta alla recidiva passa anche attraverso un inasprimento normativo che incide direttamente sul calcolo della pena.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente perché il primo motivo era una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e respinti in appello, mentre il secondo motivo, relativo alla presunta incostituzionalità del divieto di prevalenza, è stato giudicato manifestamente infondato dalla Corte.

Cos’è il ‘divieto di prevalenza’ discusso nel caso?
È una regola prevista dall’articolo 69, quarto comma, del codice penale, che impedisce al giudice di considerare prevalente una circostanza attenuante (in questo caso, l’aver risarcito il danno) rispetto alla circostanza aggravante della recidiva qualificata. In pratica, la recidiva ha un peso maggiore nel calcolo della pena.

La Corte ha ritenuto incostituzionale la norma sul divieto di prevalenza?
No, la Corte di Cassazione ha confermato la piena legittimità costituzionale della norma. Ha stabilito che tale regola non è sproporzionata, ma rappresenta una scelta ragionevole del legislatore per dare il giusto peso alla gravità soggettiva del reato commesso da chi è recidivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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