Divieto di Prevalenza: Quando le Attenuanti non Bastano
Nel diritto penale, la determinazione della pena non è un mero calcolo matematico, ma il risultato di un’attenta valutazione da parte del giudice, che deve tenere conto di molteplici fattori. Tra questi, un ruolo cruciale è svolto dal bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti. Tuttavia, esistono dei limiti a questa discrezionalità, come il cosiddetto divieto di prevalenza, un principio che la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito con l’ordinanza n. 7490/2024. Questo principio stabilisce che le circostanze attenuanti generiche non possono mai prevalere su alcune specifiche e gravi circostanze aggravanti.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava un errore nel ‘giudizio di comparazione’, sostenendo che i giudici di merito non avessero correttamente soppesato le circostanze a suo favore (attenuanti) rispetto a quelle a suo carico (aggravanti). L’obiettivo del ricorso era ottenere una riduzione della pena attraverso una diversa valutazione di questi elementi.
La Decisione della Corte e il Divieto di Prevalenza
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo ‘manifestamente infondato’ e quindi inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale. Questa norma introduce una deroga fondamentale al principio generale del libero bilanciamento delle circostanze da parte del giudice.
In particolare, la legge stabilisce un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante della recidiva qualificata, prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale. In altre parole, quando un imputato è un recidivo qualificato, il giudice non può considerare le attenuanti generiche più importanti di questa aggravante per diminuire la pena. Può al massimo dichiararle equivalenti, ma mai prevalenti.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la tesi del ricorrente si poneva in ‘palese contrasto’ non solo con il dato normativo, ma anche con la consolidata giurisprudenza di legittimità. I giudici di merito avevano, infatti, applicato correttamente la legge, riconoscendo l’esistenza di una preclusione normativa che impediva loro di far prevalere le attenuanti generiche. La richiesta del ricorrente era, quindi, giuridicamente impossibile da accogliere.
La decisione evidenzia la rigidità di questa norma, volta a garantire una risposta sanzionatoria più severa nei confronti di chi, nonostante precedenti condanne, commette nuovi reati di particolare gravità. Il divieto di prevalenza agisce come un baluardo che limita la discrezionalità del giudice in questi specifici contesti, assicurando che la recidiva qualificata abbia sempre un peso determinante nella commisurazione della pena.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio cardine del sistema sanzionatorio penale: la discrezionalità del giudice nel bilanciare le circostanze del reato non è illimitata. Il divieto di prevalenza previsto dall’art. 69, quarto comma, c.p. rappresenta una scelta precisa del legislatore di inasprire il trattamento sanzionatorio per i recidivi qualificati. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che in presenza di determinate aggravanti, la speranza di ottenere uno sconto di pena basato su attenuanti generiche è preclusa dalla legge stessa, con conseguenze dirette e significative sulla pena finale.
Cosa significa ‘giudizio di comparazione tra le circostanze’?
È il processo attraverso il quale il giudice valuta e confronta le circostanze aggravanti (che aumentano la pena) e quelle attenuanti (che la diminuiscono) relative a un reato, per decidere se la pena base debba essere aumentata, diminuita o rimanere invariata.
Perché in questo caso le attenuanti non sono state considerate più importanti dell’aggravante?
Perché la legge, all’articolo 69, quarto comma, del codice penale, stabilisce un ‘divieto di prevalenza’. Questa regola vieta espressamente al giudice di considerare le circostanze attenuanti generiche come più importanti (prevalenti) rispetto alla specifica circostanza aggravante della recidiva qualificata (art. 99, quarto comma, c.p.).
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, non solo la decisione della Corte d’Appello è diventata definitiva, ma il ricorrente è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7490 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7490 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta il giudizio di comparazione tra le opposte circostanze, è manifestamente infondato perché si prospettano enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 16487 del 23/03/2017, Giordano, Rv. 269522);
che, invero, i giudici del merito hanno correttamente considerato la preclusione di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., a norma della quale vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. (si veda, in particolare, pag. 4);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato irammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.