Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato ad ALCAMO il 24/06/1975
avverso la sentenza del 25/03/2024 del TRIBUNALE di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e del difensore, avv.to NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 25/3/2024, il Tribunale di Milano ha condannato NOME alla pena di anni 1 e giorni 15 di reclusione, oltre pene access ritenendolo responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 d.lgs. 7 Sono stati, inoltre, disposti, ai sensi degli artt. 545 bis cod. proc. pen., e 56 ter I. 689/81, la sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità sos il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatri altro documento equipollente.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione degli a 545 bis cod. proc. pen., 20 bis cod. pen., 53, 56 bis e 56 ter I. 689/81 n l’erronea applicazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU in relazione alla statuizione relativa al ritiro del passaporto sostenendo che nelle “disposizi legge in ordine al divieto di espatrio che permeano l’ordinamento giuridico ne propria interezza e nella giurisprudenza sovranazionale” non si rinviene alc automatismo nell’applicazione del divieto di espatrio, che deve essere quin disposto caso per caso dall’autorità giudiziaria.
Tale conclusione, ad avviso del ricorrente, trova riscontro: nell’art. 3 lett. d) I. n. 1185 del 1967 che limita i casi di diniego del pas nell’art. 281 cod. proc. pen. che prevede il divieto di espatrio quale auton misura cautelare;
nella sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 31/3/1994, che dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 281 comma 2-bis cod. proc nella parte in cui prevedeva l’applicazione automatica del divieto di espatri caso di applicazioni di altre misure cautelari non rispondendo, tale automatis ai principi di proporzionalità e adeguatezza;
nella sentenza adottata il 20/9/2016 dalla Corte E.D.U. nella causa NOME COGNOME c. Russia, in cui è stata sancita l’illegittimità del diniego al rila passaporto in caso di pena condizionalmente sospesa sull’assunto che il divieto espatrio debba costituire oggetto di una specifica valutazione da parte dell’aut giudiziaria volta a verificare se la misura sia necessaria alla prevenzione di al mantenimento dell’ordine pubblico. In ordine al contenuto della pronuncia legge nel ricorso: “La Corte ha motivato ritenendo che …la libertà di movimen regolata dall’art. 2 Protocollo n. 4 CEDU può essere soggetta a restrizioni so giustificate e proporzionate e che rispettino l’equo bilanciamento degli inte pubblici con quelli privati dell’interessato: il divieto d’espatrio imposto i rigido ed automatico, ·senza valutare le singole situazioni e le circos individuali, costituisce un’illecita interferenza non necessaria in una s democratica. Pertanto, le autorità hanno l’obbligo di assicurare che la restri
del diritto di ciascuno di lasciare il proprio paese, dal principio e per tutt durata, sia giustificato e proporzionato. Tale valutazione deve essere sv dall’autorità giudiziaria, potere che offre le più elevate garanzie di indipend imparzialità e legalità delle procedure. L’oggetto della valutazione deve permett all’Autorità di considerare tutti i fattori coinvolti, inclusi quelli della propor della misura restrittiva”.
Da tali premesse, ad avviso del ricorrente, discende che:
la pena irrogata, in quanto differente dalla sanzione detentiva pura e sempli non può determinare automaticamente il ritiro del passaporto e il divieto espatrio;
una lettura conforme alla Costituzione dell’art. 56-ter L. 689/1981 avreb dovuto determinare la non obbligatorietà dell’applicazione automatica a Nobile de divieto di espatrio per effetto della condanna impugnata;
la decisione del Giudice di primo grado è da censurarsi avendo applicato divieto di espatrio oltre i limiti previsti dalla norma.
Il ricorrente chiede, anche, “qualora si ritenesse non percorribile l dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 56-ter L. 689/1981” si sollevi la questione di legittimità costituzionale “dell’anzidetta dispos normativa perché contrastante con gli artt. 3, 27, 35 e 117 Cost., in relaz all’art. 2 Protocollo n. 4 CEDU”.
Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione. La “lettu costituzionalmente orientata” dell’art. 56-ter della legge 689/81 illustra primo motivo, ad avviso del difensore, imponeva al Tribunale di motivare in ordine alle ragioni che avevano determinato l’imposizione del divieto di espatrio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Questa Corte ha precisato che, “in tema di sanzioni sostitutive di pene detent brevi, le prescrizioni previste dall’art. 56-ter della legge 24 novembre 1981, n – introdotto dall’art. 71 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – per la semi sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica sostitutivo non sono “pene accessorie” la cui applicazione dipende dal discrezionale valutazione del giudice, ma costituiscono contenuto necessario predeterminato della pena sostitutiva, da applicare obbligatoriamente anche i caso di patteggiamento”. (Sez. 6, n. 30768 del 16/05/2023 Cc. (dep. 14/07/2023) Rv. 284967 – 01).
In motivazione, la Corte ha precisato che la richiesta formulata dall’imput per l’applicazione di dette pene sostitutive, ovvero il consenso prestato
richiesta del pubblico ministero, implica necessariamente l’accettazione del prescrizioni che le connotano.
Manifestamente infondata, ancora, risulta la questione di legittimit costituzionale sollevata. Il ricorrente, infatti, non tiene conto che il la pubblica l’attività sostitutivo svolge una duplice funzione, rieducati risocializzante, mirante al reinserimento del reo nella collettività, ma a afflittiva, costituendo pur sempre una pena derivante dalla commissione di u reato, come d’altronde sottolineato dalla modifica del nome iuris disposto dal riforma Cartabia con l’introduzione dell’art. 20 bis cod. pen., e che l’applica della misura ha, quale necessario presupposto, l’assenso del condannato che quindi, ha la possibilità di valutare la congruità e la convenienza della sostitutiva rispetto alla pena comminata.
Le prescrizioni comuni previste dall’art. 56 ter citato, ancora, rispondon esigenze special preventive evidenti, come dimostrano la previsione del comma 2 della norma, e l’art. 58 che consente la sostituzione della pena detentiva quando le pene sostitutive assicurino “la prevenzione del pericolo di commission di altri reati” eventualmente anche mediante l’imposizione di obblighi ulteri rispetto a quelli preveduti dall’art. 56 ter.
Non è, poi, neanche necessario richiamare il risultato interpretativo cui so pervenute le Sezioni Unite in ordine all’estendibilità di principi enunciati dalla Edu a coloro che non abbiano attinto la giurisprudenza sovranazionale (Sez. U, n 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054) per escludere che la decisione richiamata nel ricorso possa spiegare effetti nel presente procediment E’ di tutta evidenza, infatti, che la vicenda in valutazione è del tutto differe caso esaminato dalla Corte EDU, risultando il divieto di espatrio potenzialmente i conflitto con il giudizio di non pericolosità che aveva permesso a NOME e COGNOME di usufruire della sospensione condizionale della pena mentre, nel caso di NOME è strumentale alla funzione specialpreventiva che la pena sostitutiva è destinat soddisfare.
Non sono, pertanto, sussistenti la violazione di legge e il deficit motivazion denunciati.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della caus di inammissibilità, la condanna al pagamento in favore della Cassa per le ammende di una somma che, considerato il profilo di inammissibilità rilevato, si stima e determinare in euro tremila.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14/11/2024