Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4583 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 4583 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto dal COGNOME NOME nato a MONTESARCHIO il DATA_NASCITA
avverso la SENTENZA del 20/01/2023 del RAGIONE_SOCIALE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Procuratore Generale in persona del Sostituto NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
i
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Benevento, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui agli artt. 7 e 10 della legge n. 386 del 1990, per avere emesso un assegno dell’importo di euro 300,00 in violazione del divieto di emissione stabilito per 24 mesi con provvedimento della Prefettura di Perugia del 27 giugno 2018 e notificato all’imputato il 18 luglio 2018.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME, il quale svolge due motivi, con i quali denuncia erronea applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione, per avere affermato l responsabilità dell’imputato per l’emissione del titolo di credito in proprio, laddove il di imposto dall’autorità amministrativa era stato riferito alla sua qualità di rappresentant amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, con riflessi anche sull’elemento soggettivo de reato, sostenendosi che non sarebbe stata provata la conoscenza del divieto.
Il difensore del ricorrente avvocato NOME COGNOME ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.G. insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.11 ricorrente si duole della erronea valutazione sulla colpevolezza, con particolare riguardo a due aspetti, costituiti dalla asserita riferibilità del divieto di emettere esclusivamente alla qualifica di I.r. di società e non anche al destinatario quale persona fisi e alla non conoscenza del divieto di emettere assegni come conseguenza di una precedente sanzione amministrativa.
I rilievi difensivi non hanno pregio.
Come emerge, infatti, dal provvedimento prefettizio, con il quale veniva imposto il diviet di emettere assegni per due anni a decorrere dalla notifica avvenuta il 18 luglio 2018 l’inibitoria aveva riferimento all’imputato quale traente senza alcun riferimento alla ulte qualità di legale rappresentante di una società. Nessun riferimento a tale specifica posizione soggettiva si trae dal provvedimento prefettizio, né viene allegato dal ricorso che, sul punt si rivela generico, anche per omesso confronto con la motivazione della sentenza impugnata che ha correttamente valorizzato il dato che il provvedimento prefettizio ha natura personale. Invero, posto che ai sensi dell’art. 7 della legge n. 386 del 1990, “Ferma restando l’applicabilità delle sanzioni amministrative di cui agli articoli 1 e 2, chiunque trasgredi divieti conseguenti alle sanzioni amministrative accessorie di cui all’articolo 5 ed al com 2 del presente articolo è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”, non considera il ricorrente che, nel sistema sanzionatorio delineato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, l’art.3 sancisce il principio della natura personale della responsabilità: autore dell’illeci essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto e non anche un ente o una società, la cui responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai propri legali rappresenta
dipendenti è prevista soltanto in funzione di garanzia del pagamento della sanzione pecuniaria irrogata al traente.
3.Del pari infondato/il rilievo incentrato sull’elemento soggettivo del reato. La dedot inconsapevolezza del divieto si traduce, infatti, in un’irrilevante ignoranza del precet atteso che l’errore su legge diversa da quella penale di cui all’art. 47, comma terzo, cod pen’ non rileva nel caso di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le qual rientrano quelle in oggetto. L’ “errore” che viene invocato nel motivo (il fatto, cioè, il ricorrente, pur consapevole del provvedimento prefettizio non si fosse rappresentato di esserne destinatario in proprio, così da escludere il dolo del reato) non è un errore di fat ma, invece, un errore di diritto, irrilevante, dal momento che l’erronea valutazione interpretazione di una norma extrapenale (in base alla quale, nel caso di specie, era stato comminato il divieto violato dall’agente) si risolve in un errore sulla legge penale, che n discrimina (Sez. 6, n. 1211 del 09/10/1972 -(dep. 1973). Rv. 123164), non potendo avere efficacia scusante, al pari dell’errore sulla legge penale vera e propria. Si distingue, inf in giurisprudenza, tra norme extrapenali non integratrici del precetto, ossia disposizion destinate, in origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiama neppure implicitamente, dalla norma penale, e norme extrapenali integratrici del precetto, che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l’errore su di esse non scusa, ai sensi dell’art. 5 c.p., salvo che si tratti di errore inevit conformemente al dictum di Corte cost. 24-3- 1988, n. 364. Queste ultime sono quelle leggi extrapenali integratrici, che concorrono, con la norma incriminatrice, alla definizione d singolo tipo di illecito, integrandone la descrizione legale, mediante l’aggiunta o specificazione di elementi da intendere come essenziali; o che contribuiscono, in vario modo e in diversa misura, a determinare il contenuto del comando o del divieto (Cass., Sez. 5, del 01/07/1975, Sala, Rv. 132026); o che, anche se non richiamate espressamente da una norma penale, la integrano logicamente (Cass. Sez. 3,30-6- 1972, Lovatelli, Rv. 122205) o, infine, che vengono attratte nell’ambito di una norma penale, per effetto di un rinv recettizio (Cass., Sez. 6, 11-12-1970, Funaro, Rv. 116579). E vi sono, invece, leggi extrapenali non integratrici, le quali non aggiungono o specificano nulla al tipo di ille non lo arricchiscono di alcun contenuto, non contribuiscono ad esprimere il senso del divieto. Soltanto l’errore che cade sulle norme non integratrici esclude il dolo, trattandosi di err sul fatto, a norma dell’art. 47 cod. pen., comma 3 (ex plurimis, Cass., Sez 5, 20/02/2001, COGNOME; Sez 5, 11/01/2000, COGNOME; Sez 6. , 18/11/1998, COGNOME), non anche quello che cade su norme integratrici. Queste ultime, infatti, inserendosi nel precetto, ad integrazio della fattispecie criminosa, concorrono a formare l’obiettività giuridica del reato, co conseguenza che l’errore che ricade su di esse non può avere efficacia scusante, al pari dell’errore sulla legge penale vera e propria (Cass., Sez. 4, del 30/10/2003, n. 14819 Rv. 227875). In quest’ottica, l’errore dedotto dal ricorrente sulla conoscenza del divieto n assume efficacia scriminante, risolvendosi in ignoranza di legge che, pur non avendo Corte di Cassazione – copia non ufficiale
carattere penale, è richiamata e recepita dalla legge penale e, in definitiva, in un erro sull’antigiuridicità della condotta (Cass., Sez. 4, 20/4/1983, Bruno, Rv. 160995).
4.Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, addì 27 novembre 2023 I Consigliere estensore