Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17496 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17496 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
commissione di un fatto di reato, alla luce dell’autonomo sistema di qualificazione fornito dalla Convenzione. Per pervenire a tale conclusione si Ł valorizzato il terzo e necessario criterio c.d. Engel, del grado o severità della sanzione conseguente alla commissione del fatto vietato, affermandosi che, la serie di sanzioni previste dal codice deontologico, quali il divieto temporaneo o permanente di esercizio della professione – non ha un grado di incisività tale da consentire un paragone col rigore tipico della pena criminale. Di qui la conclusione per cui il verdetto emesso dall’Ordine dei medici contro i ricorrenti non Ł da considerare una ‘condanna’ per un ‘reato’ e, a monte, la relativa contestazione disciplinare non rappresenta una ‘accusa’ di stampo penalistico. La conclusione, pertanto, impone affermare che a fronte dell’accertata consumazione di un fatto costituente reato di rilevante gravità, quale il peculato commesso dal COGNOME, l’imputato non può invocare la violazione della Convenzione EDU in relazione al divieto di doppio giudizio ove sia stato destinatario di un provvedimento disciplinare di sospensione dall’attività professionale emesso dall’ordine di appartenenza per un limitato periodo temporale.
3.1 Nel caso preso in considerazione nella sentenza Corte EDU 8 ottobre 2020, Baji contro Croazia si Ł analogamente concluso per l’insussistenza della violazione del divieto di bis in idem a seguito del raffronto tra sanzione amministrativa e sanzione penale; nella fattispecie il ricorrente era stato multato in sede amministrativa per eccesso di velocità e, poi, condannato in sede penale per aver causato un incidente; la Corte ha ritenuto che i due procedimenti avessero finalità distinte, sanzionando rispettivamente l’eccesso di velocità e la causazione colposa della morte di un pedone e non potessero ritenersi esperiti in violazione del divieto sancito dai principi convenzionali. Per aversi violazione del divieto di bis in idem convenzionale, quindi, il procedimento penale e quello
amministrativo devono avere identica o quantomeno analoga finalità, tesa alla repressione e punizione della stessa condotta del soggetto incriminato, non potendo invece ritenersi sussistere detto presupposto ove la sanzione amministrativa miri al recupero di somme dovute dall’imputato a titolo di imposte e, quella penale, punendo invece la illecita condotta posta in essere con l’impossessamento di denaro pubblico.
3.2 L’applicazione dei principi affermati dalla suddette decisioni della Corte EDU deve portare a concludere per l’insussistenza nel caso di specie di una violazione del ne bis in idem così come interpretato dalla Corte EDU nel caso Engel e nella giurisprudenza successiva, avuto riguardo alla irrogazione nel procedimento penale in esame della pena di anni 3, mesi 4 di reclusione che dovrà essere solo parzialmente ridotta in sede di rinvio per effetto della declaratoria di parziale prescrizione che ricopre le condotte tra il 2009 ed agosto 2010 pur a fronte di illeciti perpetrati sino al successivo 2013 e definitivamente accertati; invero, certamente non sussiste alcuna duplicazione di sanzioni di natura penale a fronte della irrogazione di una sanzione limitativa della libertà personale in confronto con la sanzione disciplinare che si assume irrogata nel caso in esame nella misura di soli tre mesi di sospensione dall’esercizio della professione (Vedi Corte EDU 29 settembre 2020, Faller e COGNOME contro Francia cit.). E ciò essenzialmente perchØ nel caso in esame la sanzione disciplinare mirava alla punizione della condotta di omesso versamento dell’imposta dovuta per la registrazione degli atti che Ł dovere del Notaio. E parimenti non sussiste identità dei distinti procedimenti penale ed amministrativo-tributario alla luce di quanto stabilito nella sentenza Corte EDU 8 ottobre 2020, Baji contro Croazia cit., avendo, il primo, lo scopo specifico di reprimere la grave condotta di peculato costituita dall’impossessamento illecito da parte di un pubblico ufficiale di denaro pubblico, l’altro, quello amministrativo-tributario, la funzione specifica di recuperare l’imposta mai versata e cioŁ di obbligare il soggetto destinatario del provvedimento al versamento della tassa di registro dovuta a seguito della conclusione di atti soggetti a trascrizione. Ne deriva pertanto affermare che anche nel caso di irrogazioni di sanzioni amministrative tributarie che abbiano quale finalità la percezione di un’imposta evasa, mirando al recupero di somme dovute allo Stato, l’imputato non potrà invocare nel successivo procedimento penale la violazione del ne bis in idem previsto dalla C.E.D.U. e ciò perchØ oggetto dell’accertamento penale Ł l’illiceità della condotta posta in essere attraverso l’indebita acquisizione di una somma di denaro (nel caso di specie contestata nella misura di oltre 500.000 €) e non certamente il mancato versamento di una tassa.
4. Il principio della impossibilità di ritenere la violazione del divieto di bis in idem nel caso di susseguirsi di distinti procedimenti risulta ribadito anche dalla giurisprudenza civile della Corte di legittimità proprio con riguardo alla posizione del Notaio; si Ł difatti affermato che in tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, Notaio), in caso di sanzione penale per i medesimi fatti, non può ipotizzarsi la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in relazione al principio del ‘ne bis in idem’, – secondo le statuizioni della sentenza della Corte EDU 4 marzo 2014, COGNOME ed altri c/o Italia – in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed Ł preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicchŁ ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale (Cass. Civ. Sez. 2, 03/02/2017, n. 2927, Rv. 643161 01); il principio Ł stato ribadito anche in relazione a diverse figure professionali per le quali si Ł stabilito come in tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, medico odontoiatra), va esclusa la sussistenza delle stesse garanzie, per l’incolpato, previste dalla CEDU a favore dell’imputato in un giudizio penale, poichØ la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti a un ordine professionale ed Ł preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicchØ ad essa non può attribuirsi – secondo le statuizioni della sentenza della Corte EDU 4 marzo 2014, COGNOME ed altri c/o Italia – natura
sostanzialmente penale (Cass. civ. Sez. 2, Ordinanza 31/03/2023, n. 9114, Rv. 667519 – 01).
4.1 Tali conclusioni non paiono confliggere con la pronuncia della Corte costituzionale n. 149 del 2022 lungamente richiamata nella memoria di replica della difesa; in tale occasione la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge. Nella suddetta pronuncia infatti il giudice delle leggi ha preso in considerazione differenti sanzioni aventi entrambe chiara ed inequivocabile natura afflittiva sostanzialmente penale; il citato art. 174-bis infatti prevede che :«Ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione Ł punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non Ł facilmente determinabile, la violazione Ł punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto». A fronte di tale previsione che già richiamava le sanzioni penali previste dalla stessa disposizione legislativa l’art. 171-ter cit. stabilisce che: «Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati ((ai sensi della presente legge)), Ł soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni». Dal confronto operato tra le due norme la Corte costituzionale traeva la conclusione che:’ non c’Ł dubbio che il sistema normativo congegnato dalla legge n. 633 del 1941 consenta al destinatario dei suoi precetti di prevedere la possibilità di essere soggetto a due procedimenti distinti, e conseguentemente a due distinte classi di sanzioni. Tuttavia, non può ritenersi che i due procedimenti perseguano scopi complementari, o concernano diversi aspetti del comportamento illecito. Quanto allo scopo perseguito dal legislatore mediante la sanzione amministrativa, si Ł già osservato come i lavori preparatori della legge n. 248 del 2000, che introdusse l’art. 174-bis nella legge n. 633 del 1941, dichiarino l’intenzione di potenziare l’efficacia generalpreventiva dei divieti già contenuti nella legge, compresi quelli per i quali erano già previste sanzioni penali: queste ultime anch’esse finalizzate, strutturalmente, a dissuadere potenziali autori dal commettere gli illeciti in parola. Quanto poi alla condotta sanzionata, si Ł parimenti sottolineato come i fatti puniti dagli artt. 171-ter e 174-bis della legge n. 633 del 1941 siano esattamente i medesimi..’. Le conclusioni cui perveniva il giudice delle leggi sono quindi fondate sulla anomalia di un sistema sanzionatorio che all’interno della stessa previsione legislativa stabilisce sanzioni amministrative pecuniarie e penali, anche pecuniarie, per le stesse condotte, mentre, ben differente Ł il caso in esame in cui l’imputato ricorrente Ł stato sottoposto a giudizio penale di condanna per le condotte di illecita appropriazione di denaro pubblico ed a distinti giudizi, uno disciplinare, per la violazione delle disposizioni incombenti sui Notai ed altro, amministrativo-tributario, per il recupero dell’imposta mai versata.
Alla luce delle predette considerazioni deve, pertanto, essere affermato che le sanzioni inflitte in sede fiscale e disciplinare aventi ad oggetto somme pecuniarie ovvero limitazioni all’esercizio dell’attività professionale non possono essere equiparate a quella penale irrogata nella reclusione e nella multa all’esito del giudizio penale nei confronti del COGNOME ritenuto definitivamente responsabile del delitto di impossessamento di rilevanti somme di denaro per diverse centinaia di migliaia di euro.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchØ al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/04/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME