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Divieto di bis in idem: quando non si applica

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un individuo condannato per invasione di terreni. L’imputato lamentava la violazione del divieto di bis in idem, sostenendo di essere stato processato due volte per gli stessi fatti. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il divieto di bis in idem presuppone una sentenza definitiva (irrevocabile). In assenza di tale presupposto, si verte in un’ipotesi di litispendenza, dove il secondo procedimento, avviato successivamente, deve essere bloccato. La Corte ha inoltre respinto le censure relative alla buona fede e alla tenuità del fatto.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di bis in idem: la Cassazione chiarisce i limiti di applicabilità

Il principio del divieto di bis in idem, sancito dall’articolo 649 del codice di procedura penale, rappresenta un pilastro fondamentale del nostro ordinamento giuridico, garantendo che nessun cittadino possa essere processato due volte per il medesimo fatto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17848/2025) offre un’importante occasione per approfondire i confini applicativi di questa garanzia, distinguendola nettamente dalla diversa ipotesi della litispendenza.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di invasione di terreni. L’imputato aveva occupato un’area di circa mille metri quadrati, soggetta a vincolo paesaggistico, erigendo una recinzione. Contro la sentenza di condanna, confermata in appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione basato su tre motivi principali: la violazione del divieto di bis in idem, l’assenza dell’elemento psicologico del reato e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In particolare, la difesa sosteneva che per gli stessi fatti era stato avviato un altro procedimento penale, nel quale l’imputato era stato assolto con una sentenza non ancora divenuta irrevocabile.

La decisione della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le doglianze della difesa. La parte più significativa della pronuncia riguarda la corretta interpretazione e applicazione del principio del ne bis in idem.

La Corte chiarisce che il presupposto essenziale per invocare tale divieto è l’esistenza di una sentenza di proscioglimento o di condanna divenuta irrevocabile. Nel caso di specie, la sentenza di assoluzione menzionata dalla difesa non era ancora definitiva; pertanto, non poteva precludere lo svolgimento di un altro giudizio.

Altri motivi di ricorso rigettati

Oltre alla questione principale, la Cassazione ha ritenuto inammissibili anche gli altri motivi di ricorso:

* Elemento psicologico: La Corte ha stabilito che la valutazione della buona fede dell’imputato era già stata correttamente effettuata dai giudici di merito. La perseveranza nella condotta illecita, nonostante l’intimazione a rimuovere la recinzione da parte delle autorità, era stata considerata prova sufficiente della consapevolezza dell’abusività dell’occupazione.
* Tenuità del fatto: Anche su questo punto, la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta adeguata. La richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p. è stata respinta in considerazione del vincolo paesaggistico sull’area, della notevole estensione del terreno occupato e della condotta ostinata dell’imputato.

Le motivazioni: la distinzione tra divieto di bis in idem e litispendenza

Il cuore della motivazione della sentenza risiede nella distinzione tra il divieto di bis in idem e la litispendenza. La Corte spiega che quando due procedimenti per il medesimo fatto storico sono pendenti contemporaneamente e nessuno dei due si è concluso con una sentenza irrevocabile, non si è in presenza di una violazione del ne bis in idem. Si tratta, piuttosto, di una situazione di litispendenza.

In questo scenario, la legge prevede una soluzione diversa: il procedimento avviato per secondo deve essere bloccato attraverso una sentenza di non doversi procedere. La procedibilità è inibita dall’avvenuto esercizio dell’azione penale nel primo procedimento. Nel caso analizzato, il ricorrente avrebbe dovuto far valere la litispendenza nel secondo procedimento, non invocare il bis in idem nel primo.

Inoltre, la Corte ha osservato che i fatti contestati nei due procedimenti non erano nemmeno perfettamente sovrapponibili, poiché si riferivano a periodi temporali diversi. Questo dettaglio rafforza l’idea che potesse trattarsi di fatti distinti, seppur in eventuale continuazione, escludendo a priori l’identità del fatto storico richiesta per il bis in idem.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce con chiarezza i presupposti per l’applicazione del divieto di bis in idem: è necessaria una sentenza definitiva e l’assoluta identità del fatto storico. In assenza di una decisione irrevocabile, la contemporanea pendenza di due processi per lo stesso fatto configura una litispendenza, che va risolta bloccando il procedimento iniziato successivamente. Questa pronuncia offre un utile vademecum per distinguere due istituti procedurali che, sebbene mirino a evitare la duplicazione dei giudizi, operano su presupposti e con meccanismi differenti.

Quando si applica il divieto di bis in idem?
Il divieto di bis in idem si applica solo quando esiste una sentenza di condanna o proscioglimento per il medesimo fatto che sia diventata irrevocabile, cioè non più soggetta a impugnazioni ordinarie.

Qual è la differenza tra bis in idem e litispendenza nel processo penale?
Il ‘bis in idem’ presuppone una sentenza definitiva e impedisce un nuovo processo. La ‘litispendenza’ si verifica quando due processi per lo stesso fatto sono pendenti contemporaneamente senza una sentenza definitiva; in questo caso, il procedimento iniziato per secondo deve essere archiviato o dichiarato improcedibile.

La prosecuzione di un’occupazione abusiva dopo una condanna di primo grado costituisce un nuovo reato?
Sì. Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, il reato di invasione di terreni ha natura permanente e cessa con la condanna di primo grado. La successiva protrazione del comportamento illecito dà luogo a una nuova e autonoma ipotesi di reato, che può essere perseguita separatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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