Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9016 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9016 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 10/01/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Sost. Proc. NOME COGNOME per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, l’AVV_NOTAIO, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Assise di Palermo, con sentenza del 10/1/2023, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo il 23/3/2022, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo A) di cui all’a 416 cod. pen. poiché l’imputato risulta essere stato già giudicato per il medesimo fatto e, ridotta la pena in anni cinque, mesi due ed euro 88.33,00, ha confermato nel resto la condanna nei confronti di COGNOME NOME per due ipotesi di reato di cui agli artt. 12, commi 1, 3 lett. a) e d), 3 bis, 3 ter, lett. b) D.Lgvo 286/1998.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 649 cod. proc pen. con riferimento al capo C) dell’imputazione. Nel primo articolato motivo la difesa rileva che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un grave errore escludendo che i fatti oggetto del capo C) dell’odierno processo siano i medesimi in ordine ai quali il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha emesso sentenza il 20 dicembre 2018. Con riferimento a tale imputazione, infatti, si sarebbe verificata la stessa situazione che la Corte ha riconosciuto per il reato associativo, contestato sia nel presente processo che in quello celebrato e concluso il 20 dicembre 2018. Ciò in quanto i fatti oggetto dell’attuale capo C), nel quale è contestato il reato di cui all’art. 12 comma 1 D.Lgs. 286/2998, sarebbero sovrapponibili a quelli oggetto del diverso processo nel quale, al capo H), ci si riferiva al medesimo fatto, seppure il reato contestato era quello di cui all’art. 291 quate commi 1, 2 e 3, D.P.R. 43/1994. In tale processo, infatti, considerato che le prove erano le medesime e che la condotta sarebbe stata sovrapponibile a quella attualmente contestata, il giudice avrebbe avuto il potere, anzi il dovere, di qualificare diversamente fatto ai sensi dell’art. 12 Divo 286/1998 ovvero di trasmettere gli atti al pubblico ministe affinché provvedesse in tal senso. Situazione questa per la quale, in conclusione, la sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste pronunciata in quella sede imporrebbe ritenere che l’attuale contestazione determini una violazione del divieto di bis in idem.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità per tutti i reati in relazione agli artt. 192 e 195 cod. proc. pen. Nel second motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito non avrebbero adeguatamene e correttamente valutato l’attendibilità di NOME COGNOME, fonte dichiarativa posta fondamento dell’affermazione di responsabilità, soggetto le cui propalazioni, peraltro de relato, sarebbero rimaste prive di riscontri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.
La doglianza è infondata.
2.1. Il presupposto per l’applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen. è costituit dall’accertamento che le due pronunce si riferiscano al medesimo fatto.
Al fine di accertare tale identità, come chiarito anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016, si deve fare riferimento al fatto nella sua dimensione storiconaturalistica nel senso che per accertare se questo sia il medesimo si deve verificare se vi sia o meno la coincidenza degli elementi costitutivi, condotta, evento, nesso causale, con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (cfr. Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799 – 01; tra le tante Sez. 1, Sentenza n. 42630 del 27/04/2022, COGNOME, Rv. 283687 – 01; Sez. 2, n. 1144 del 06/12/2018, dep. 2019, COGNOME Vergini, Rv. 275068 – 01; Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, COGNOME, Rv. 274448 01; Sez. 6, n. 48691 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 268226 – 01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015 COGNOME, Rv. 263543 – 01).
Nel caso in cui i citati elementi siano solo parzialmente sovrapponibili, d’altro canto, il fatto oggetto del processo non è il medesimo e il divieto di bis in idem non opera.
2.2. Nel caso di specie la Corte territoriale si è conformata alla citata giurisprudenza di legittimità e ha correttamente evidenziato che non sussiste l’identità tra i fatti ogge del capo H) sui quali si è pronunciati la precedente sentenza e quelli contestati nel capo C) dell’attuale processo.
Come evidenziato dal secondo giudice con motivazione adeguata e coerente i due fatti, anche solo partendo dalla lettura dei due capi di imputazione, sono “storicamente” differenti in quanto gli elementi costitutivi degli stessi, atteso il diverso atteggiarsi sia condotte che dei risultati che attraverso di esse si intendeva perseguire, non sono sovrapponibili.
La contestazione oggetto dell’attuale processo, anche per come ritenuta in sentenza, infatti, riguarda l’ipotesi di cui all’art. 12, commi 1, 3 lett. a) e d), 3 bis lett. b) D.Lgvo 286/1998 in ordine al reato all’immigrazione clandestina con specifico riferimento a una condotta posta in essere il 17 febbraio 2017.
La contestazione contenuta nel capo H) dell’imputazione in ordine alla quale si è pronunciato il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo, invece, è relativa al reato di cui all’art. 291 quater, commi 1, 2 e 3, D.P.R. 43/1994 e la condotta è costituita dall’essersi associato con altri soggetti al fine di commettere più reati di contrabbando di tabacchi lavorati esteri.
A fronte di tali evidenti differenze d’altro canto, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la circostanza che alcune delle prove, le conversazioni intercettate, siano coincidenti -rectius siano tali per cui la loro efficacia rappresentativa possa essere utilizzata a dimostrare la sussistenza di entrambi i reati- o che le indagini sia siano sviluppate i unico più contesto investigativo, non assume alcun rilievo ed è inconferente ogni ulteriore considerazione sul punto, quale quella sulla presunta violazione dell’art. 516 cod. proc. pen. in cui sarebbe incorso il giudice delle indagini preliminari.
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità per tutti i reati in relazione agli artt. 192 e 19 cod. proc. pen. evidenziando che i giudici di merito non avrebbero adeguatamene e correttamente valutato l’attendibilità di NOME COGNOME, fonte dichiarativa posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità, soggetto le cui propalazioni, peraltro de relato, sarebbero rimaste prive di riscontri.
Le doglianze sono manifestamente infondate.
La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha fornito congrua risposta alle analoghe critiche contenute nell’atto di appello e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.
Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di verificare e stabi se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla credibilità delle dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME, verificate sulla base del contenuto delle informative della polizia giudiziaria e riscontrate dalle parallele dichiarazioni rese da NOME, e agli ulteriori elementi emersi in merito ai capi C) ed F), ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell’istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente (“esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell – iter” argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione”, in questo senso Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
Nell’articolata motivazione sul punto, infatti, il giudice dell’appello si è confrontat con le censure contenute nell’atto di appello e ha dato puntuale conto degli elementi sui quali ha fondato il giudizio di attendibilità del dichiarante evidenziando le ragioni per l quali ha ritenuto che il contributo da questi fornito, certificato dagli esiti delle indagini, lineare e genuino (cfr. pagine da 24 a 29).
La Corte territoriale, poi, facendo riferimento alle indagini effettuate e alle fonti d prova acquisite, ha indicato gli elementi specifici, ulteriori e diversi rispetto a dichiarazioni del collaboratore, in base ai quali ha ritenuto di confermare la sentenza di primo grado.
Nelle pagine da 29 a 38 della sentenza impugnata è ricostruito in modo dettagliato l’episodio occorso tra il 21 e il 22 ottobre 2018, oggetto del capo F), e sono illustrati gl elementi dai quali si evince che questo era stato preparato con la piena e fattiva partecipazione del ricorrente, poi costretto a non intraprendere la traversata a causa dei controlli effettuati dalla polizia tunisina, prima, e di un’avaria alla propria imbarcazione poi. La motivazione così resa, fondata su elementi che entrambi i giudici di merito hanno correttamente ritenuto inequivoci in ordine alla responsabilità dell’attuale imputato, non è sindacabile in questa sede.
Ad analoga conclusione si deve pervenire quanto ai fatti contestati nel capo C). Anche in ordine a quanto avvenuto il 17 febbraio 2017 e nei giorni immeditatamente precedenti, infatti, i secondi giudici, con i puntuali riferimenti contenuti da pagina 38 a pagina 44 della sentenza impugnata alle intercettazioni telefoniche e alla circostanza che il ricorrente è stato fermato in prossimità di Marsala su di un gommone, hanno dato adeguato e coerente conto delle ragioni poste a fondamento della decisione.
Ragioni queste per le quali le attuali censure, peraltro reiterative degli argomenti già spesi nell’atto di appello e con le quali nella sostanza si sollecita una lettura alternativ delle prove, non sono consentite e, comunque, risultano manifestamente infondate.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 novembre 2023
Il Presidente