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Divieto di bis in idem: quando il fatto è diverso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per immigrazione clandestina, il quale sosteneva la violazione del divieto di bis in idem. L’imputato asseriva che i fatti fossero identici a quelli di un precedente processo per contrabbando, ma la Corte ha chiarito che il ‘medesimo fatto’ richiede una perfetta coincidenza di condotta, evento e nesso causale, non bastando la parziale sovrapposizione delle prove. La sentenza conferma che reati con finalità e condotte diverse costituiscono fatti storicamente distinti.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Bis in Idem: la Cassazione chiarisce la nozione di “medesimo fatto”

Il principio del ne bis in idem, ovvero il divieto di bis in idem, rappresenta un cardine del nostro ordinamento giuridico, garantendo che nessun cittadino possa essere processato due volte per lo stesso reato. Ma cosa si intende esattamente per “medesimo fatto”? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9016/2024, offre un’importante chiave di lettura, distinguendo tra fatti solo parzialmente coincidenti e fatti storicamente identici. Il caso analizzato riguarda un imputato condannato per reati legati all’immigrazione clandestina che lamentava la violazione di tale principio, ritenendo che una delle accuse fosse sovrapponibile a un precedente procedimento per contrabbando di tabacchi.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalla condanna inflitta dalla Corte d’Assise di Palermo a un individuo per due ipotesi di reato connesse al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte aveva dichiarato il non doversi procedere per un’accusa di associazione a delinquere, riconoscendo che l’imputato era già stato giudicato per lo stesso fatto.

Tuttavia, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione sollevando due questioni principali:
1. La violazione del divieto di bis in idem (art. 649 c.p.p.) anche per un’altra imputazione. Secondo il ricorrente, i fatti contestati nel presente processo (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina avvenuto il 17 febbraio 2017) erano gli stessi per cui era già stato processato e assolto in un altro procedimento, sebbene l’accusa fosse diversa (associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri).
2. Un vizio di motivazione riguardo la valutazione di attendibilità di un testimone chiave, le cui dichiarazioni, definite de relato (per sentito dire), non sarebbero state adeguatamente riscontrate.

L’Analisi della Cassazione sul Divieto di Bis in Idem

La Suprema Corte ha respinto il primo motivo di ricorso, fornendo una rigorosa interpretazione del concetto di “medesimo fatto”. Richiamando la giurisprudenza consolidata, sia costituzionale che di legittimità, i giudici hanno ribadito che l’identità del fatto deve essere accertata nella sua dimensione “storico-naturalistica”.

Perché operi il divieto di bis in idem, non è sufficiente una parziale sovrapposizione degli elementi, ma è necessaria una piena coincidenza dei seguenti elementi costitutivi:
* Condotta: l’azione o l’omissione materiale compiuta.
* Evento: il risultato della condotta.
* Nesso causale: il legame che unisce condotta ed evento.

Il tutto va valutato alla luce delle specifiche circostanze di tempo, luogo e persona. Nel caso di specie, la Corte ha evidenziato come i due fatti fossero “storicamente” differenti. Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e quello di contrabbando di tabacchi, sebbene potessero condividere un contesto investigativo comune o alcune prove (come le intercettazioni telefoniche), presentavano condotte e finalità del tutto diverse. Il primo mirava a facilitare l’ingresso illegale di persone nel territorio nazionale, il secondo a commercializzare illecitamente prodotti di monopolio. Di conseguenza, non essendo i fatti sovrapponibili, il principio del ne bis in idem non poteva trovare applicazione.

La Valutazione della Prova Dichiarativa

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare il merito delle prove, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata.

I giudici di merito avevano fornito una motivazione congrua e non contraddittoria sull’attendibilità del testimone, basando il loro giudizio non solo sulle sue dichiarazioni, ma anche su riscontri oggettivi emersi dalle informative di polizia giudiziaria e dalle dichiarazioni parallele di un altro soggetto. La difesa, secondo la Corte, si limitava a proporre una lettura alternativa delle prove, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su due pilastri fondamentali della procedura penale. In primo luogo, viene riaffermata una concezione rigorosa del “medesimo fatto” ai fini dell’applicazione del divieto di bis in idem. L’identità deve essere totale e riguardare l’episodio storico nella sua interezza. La semplice comunanza di alcune fonti di prova o di un contesto investigativo non è sufficiente a far scattare la preclusione di un nuovo giudizio se le condotte e gli eventi perseguiti sono distinti. Questo approccio garantisce che condotte criminali diverse, anche se commesse dallo stesso soggetto in un arco temporale ravvicinato, possano essere perseguite singolarmente, senza che un’assoluzione per un reato impedisca la condanna per un altro. In secondo luogo, la sentenza ribadisce i confini del sindacato della Corte di Cassazione sulla motivazione. Il controllo di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. Se i giudici di merito hanno esaminato tutti gli elementi a disposizione, interpretandoli correttamente e fornendo una risposta logica e coerente alle argomentazioni delle parti, la loro valutazione è insindacabile.

Le Conclusioni

Con la sentenza n. 9016/2024, la Corte di Cassazione consolida l’orientamento secondo cui il principio del ne bis in idem richiede una verifica stringente sull’identità del fatto storico, escludendo la sua applicazione quando i reati, pur connessi, si differenziano per condotta e finalità. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di una motivazione adeguata da parte dei giudici di merito sulla valutazione delle prove, il cui apprezzamento, se immune da vizi logici, non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità. Il ricorso è stato quindi rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Quando si applica il principio del ‘divieto di bis in idem’?
Secondo la sentenza, il principio si applica solo quando un imputato viene processato nuovamente per lo stesso identico fatto storico-naturalistico. Questo richiede una perfetta coincidenza di tutti gli elementi costitutivi: la condotta, l’evento e il nesso causale, analizzati nelle specifiche circostanze di tempo, luogo e persona.

Se due reati diversi si basano in parte sulle stesse prove (es. intercettazioni), si può parlare di ‘medesimo fatto’?
No. La Corte chiarisce che la condivisione di alcune fonti di prova tra due procedimenti distinti è irrilevante per stabilire l’identità del fatto. Ciò che conta è la diversità delle condotte materiali e dei risultati perseguiti, non il materiale probatorio utilizzato per dimostrarli.

La Corte di Cassazione può riesaminare l’attendibilità di un testimone?
No, il suo compito non è quello di effettuare una nuova valutazione delle prove. La Cassazione può solo verificare se la motivazione del giudice di merito sull’attendibilità del testimone sia logica, coerente e completa. Non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno direttamente esaminato le prove nel corso del processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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