Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21589 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21589 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 11/03/2025
R.G.N. 660/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
NOME nato in Nigeria il 26/07/1970 avverso la sentenza del 13/11/2024 della Corte d’appello di Torino Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale che, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 13 novembre 2024 la Corte di appello di Torino, giudicando a seguito del rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 18902 emessa in data 08/04/2024 limitatamente al trattamento sanzionatorio, ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni otto di reclusione, e alle sanzioni accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale durante la pena, per il reato di cui all’art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 cod. pen., art. 4 legge n. 146/2006, per avere, unitamente a molti coimputati, giudicati separatamente, e ad altri soggetti rimasti ignoti, promosso, organizzato e diretto, dal gennaio 2013, un’associazione di tipo mafioso ed armata denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ovvero ‘RAGIONE_SOCIALE‘, facente parte di un piø ampio sodalizio radicato in Nigeria e diffuso in altri Paesi, caratterizzata da una struttura organizzativa di carattere gerarchico, suddivisa in Italia in varie sezioni denominate ‘famiglie’, dedite alla commissione di un numero indeterminato di delitti contro la persona, in materia di stupefacenti, di estorsione, di sfruttamento della prostituzione, di immigrazione clandestina, di detenzione di armi, delitti tutti commessi avvalendosi della condizione di assoggettamento ed omertà derivante dall’associazione stessa.
Il giudice di rinvio ha evidenziato che il giudice di primo grado aveva ritenuto l’imputato colpevole del reato indicato, qualificato però come violazione dell’art. 416 cod. pen., e lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione, comprensiva dell’aumento per l’aggravante della transnazionalità, ridotta ad anni quattro di reclusione in virtø della concessione delle attenuanti generiche, motivate dalla sua incensuratezza, dal buon comportamento processuale e dalle ammissioni rese. La sentenza di appello poi annullata, invece, aveva qualificato il delitto come
violazione dell’art. 416-bis cod. pen., aggravato dalla transnazionalità, aveva condannato il ricorrente alla pena di anni dieci e mesi otto di reclusione, diminuita ad anni sei e mesi otto di reclusione stanti le aggravanti generiche già concesse. La Corte di cassazione ha annullato tale pronuncia, limitatamente al trattamento sanzionatorio, perchØ, come sostenuto dall’COGNOME nel quinto dei suoi motivi di ricorso, in nessuna delle pronunce di merito era emerso che egli avesse tenuto le condotte contestate, almeno in parte, dopo l’entrata in vigore della legge n. 69/2015, con conseguente applicabilità della cornice edittale stabilita da tale normativa.
Il giudice del rinvio ha affermato che, in effetti, nonostante la contestazione aperta, non Ł emersa alcuna prova della prosecuzione dell’attività criminosa, da parte dell’Osemwegie, in epoca successiva al 14/06/2015, data di entrata in vigore della legge n. 69/2015, e che smentisca la sua affermazione di essere uscito dall’associazione stessa all’inizio o a metà dell’anno 2015, affermazione che, in assenza di prove diverse, deve essere interpretata in termini favorevoli al reo. Pertanto ha calcolato la pena irrogando quale pena-base quella di anni nove di reclusione, aumentata per l’aggravante della transnazionalità ad anni dodici di reclusione, ridotta, per la concessione del rito, ad anni otto di reclusione, con conseguente modifica delle sanzioni accessorie.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo dei suoi difensori avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 69 cod. pen.
La sentenza impugnata ha calcolato un separato aumento per l’aggravante della transnazionalità e una separata diminuzione per le attenuanti generiche, senza valutare la possibilità di un loro bilanciamento.
Il divieto di bilanciamento Ł stabilito dalla norma, ma questa richiede una interpretazione costituzionalmente orientata, dal momento che la finalità delle attenuanti generiche, di temperamento della dosimetria della pena, verrebbe svilita vietando il loro bilanciamento con alcune tipologie di aggravanti. La Corte costituzionale, in vari interventi, ha affermato che le deroghe al principio del bilanciamento sono legittime se non trasmodano nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, dovendo sempre mantenersi ferma l’esigenza di equilibrio tra la effettiva gravità del fatto commesso dall’imputato e la severità della risposta sanzionatoria. In questo caso la modesta partecipazione all’associazione accertata a carico del ricorrente, cioŁ la sua partecipazione ad un’unica riunione, in cui non vennero neppure pianificate azioni criminose, avrebbe potuto consentire una valutazione di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante. La Corte di appello, perciò, avrebbe dovuto quanto meno motivare la sua decisione di applicare il divieto di bilanciamento, dimostrando così di avere preso atto della problematica ad esso sottesa, essendo una sua applicazione rigida contraria alle finalità rieducative della pena.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deduce una violazione di legge nel trattamento sanzionatorio, per avere il giudice del rinvio applicato il divieto di bilanciamento tra le attenuanti generiche e l’aggravante di cui all’art. 4 legge n. 146/2006. Quest’ultima norma Ł stata sostituita nell’art. 61-bis cod. pen., dall’art. 8 d.lgs. n. 21/2018 che prevede il divieto di bilanciamento all’art. 5, comma 1, lett. a), l.cit. mediante il richiamo all’art. 416-bis.1 cod. pen., introdotto dal medesimo decreto legislativo. E’ appena il caso di ricordare che il divieto di bilanciamento era esplicitamente previsto anche con riferimento alla norma di cui all’art. 4 legge n. 146/2006, attraverso il richiamo all’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 152/1991.
La questione relativa alla correttezza e legittimità dell’applicazione del divieto di bilanciamento
tra circostanze, però, non Ł stata mai avanzata nei gradi di giudizio precedenti. La sentenza emessa dal Tribunale di Torino in data 29 maggio 2021, che qualificò il reato come violazione dell’art. 416 cod. pen., ritenne sussistente a carico del ricorrente l’aggravante in questione, e pur concedendo le attenuanti generiche applicò il divieto di bilanciamento, calcolando separatamente l’applicazione dell’aumento sulla pena base, e la diminuzione conseguente alle predette attenuanti sulla pena derivante da tale aumento. Analogamente, la sentenza della Corte di appello di Torino emessa in data 20 giugno 2023, poi annullata dalla Corte di cassazione, applicava separatamente l’aumento per l’aggravante della transnazionalità e calcolava la riduzione per le attenuanti generiche sulla pena così aumentata. Le impugnazioni avverso tali pronunce, però, non contenevano motivi relativi all’applicazione di tale divieto: l’Osemwegie risulta avere proposto appello chiedendo l’assoluzione dal delitto come qualificato, e in subordine l’esclusione dell’aggravante della transnazionalità e la riduzione della pena nel minimo edittale. Il ricorso da lui proposto contro la sentenza di appello contestava, in relazione al trattamento sanzionatorio, solo l’erronea applicazione delle pene introdotte dalla legge n. 69/2015, benchØ la sua attività criminale fosse cessata in epoca anteriore.
La Corte di cassazione, respingendo tutti i motivi di ricorso ad eccezione di quest’ultimo, motivi relativi, peraltro, solo alla sussistenza del reato e alla responsabilità del ricorrente, ha pertanto reso definitivo sia l’accertamento della sussistenza dell’aggravante in questione, sia l’applicabilità del divieto di bilanciamento tra questa e le concesse attenuanti generiche.
Al giudice del rinvio Ł stato infatti demandato un nuovo giudizio «limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio», con specifico riferimento alla questione decisa dalla Corte di cassazione circa la normativa da applicare sulla base dell’epoca di commissione del delitto ritenuto sussistente.
L’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. impone al giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza rescindente per ogni questione di diritto in essa decisa, e limita i confini del suo esame alle sole questioni per le quali il rinvio Ł stato disposto, al punto che, come stabilito dal successivo quarto comma della norma citata, non possono essere eccepite, nel giudizio di rinvio, eventuali nullità o inammissibilità verificatesi nei giudizi precedenti. Il giudice del rinvio, pertanto, non avrebbe potuto in alcun caso valutare la corretta applicazione del divieto di bilanciamento ovvero pronunciarsi su tale questione, trattandosi di una questione di diritto, per come prospettata dal ricorrente, in relazione alla quale il giudice di legittimità non aveva annullato la sentenza di merito.
Il giudice del rinvio non poteva valutare l’applicabilità o meno del bilanciamento tra la circostanza aggravante ritenuta sussistente e le circostanze attenuanti generiche concesse, stante anche il limite imposto dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. Il giudizio di appello, infatti, Ł regolato dal principio devolutivo, in ragione del quale al giudice di appello Ł attribuita «la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti».
Non vi Ł dubbio che la questione del bilanciamento tra circostanze costituisca un autonomo «punto» di decisione, non compreso in un generico motivo di impugnazione relativo al trattamento sanzionatorio (cosi, ad esempio, Sez. 3, n. 23946 del 11/05/2021, Rv. 281416), per cui già il giudice del primo giudizio di appello non era tenuto ad esaminarla, mancando uno specifico motivo di impugnazione relativo ad essa, benchØ il divieto di bilanciamento, come detto, fosse stato già applicato dal giudice di primo grado. Il giudice del rinvio, pertanto, non aveva il potere di prendere in esame tale questione, perchØ essa non poteva essere ritenuta assorbita, in quanto mai sollevata di fronte al giudice di merito e, come detto, neppure davanti al giudice di legittimità.
Pertanto Ł insussistente anche il dedotto di vizio di motivazione, asserito dal ricorrente per non avere il giudice del rinvio valutato la correttezza e legittimità dell’applicazione del divieto di bilanciamento, essendo tale omessa motivazione conseguente non ad un esame non approfondito, bensì conseguente al doveroso rispetto dei limiti stabiliti sia dal principio devolutivo, sia dai poteri
attribuiti al giudice di rinvio.
E’ appena il caso di evidenziare, in ultimo, che non può essere dedotta come un vizio motivazionale l’omessa proposizione di una questione di legittimità costituzionale del combinato disposto che determina il divieto di bilanciamento tra l’aggravante di cui all’art. 4 legge n. 146/2006, ovvero dell’art. 61-bis cod. pen., e le circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente stesso non sollecita la proposizione di una simile questione, nØ afferma esplicitamente che tale divieto violi le norme costituzionali. Una eventuale questione, peraltro, appare manifestamente infondata sia alla luce delle valutazioni di questa Corte in tema di analogo divieto stabilito dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. (Sez. 5, n. 17954 del 18/02/2020, Rv. 279207) e dall’art. 590-quater cod. pen. (Sez. 4, n. 49919 del 18/10/2018, Rv.274046), sia alla luce della condotta tenuta dal ricorrente che, diversamente da quanto affermato nel ricorso, non Ł stata valutata come occasionale ovvero di gravità limitata, essendo stato attribuito al medesimo un ruolo apicale all’interno dell’associazione criminale di appartenenza, ed avendo la Corte di cassazione, con la sentenza n. 18902 di annullamento parziale, respinto perchØ «manifestamente infondato» il quarto motivo di ricorso, con il quale egli contestava il riconoscimento di tale ruolo.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME