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Divieto di accesso: quando è legittimo il DASPO?

La Corte di Cassazione ha confermato un provvedimento di divieto di accesso (DASPO) nei confronti di un tifoso. Sebbene non vi fosse prova della sua partecipazione diretta a scontri, la Corte ha ritenuto sufficienti i comportamenti ‘prodromici’ e la sua presenza in un gruppo che aveva palesemente cercato la rissa, eludendo i controlli di polizia. La decisione sottolinea come, per le misure di prevenzione, non sia necessaria la certezza della colpevolezza, ma una elevata probabilità della pericolosità del soggetto.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Accesso (DASPO): Non Serve la Prova della Rissa

Il divieto di accesso alle manifestazioni sportive, comunemente noto come DASPO, è una delle misure di prevenzione più discusse nel contesto della sicurezza pubblica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per l’applicazione di tale misura non è necessaria la prova certa e diretta della partecipazione a episodi di violenza. Sono sufficienti, invece, comportamenti che dimostrino una chiara finalità di partecipare a scontri, evidenziando la pericolosità sociale del soggetto. Analizziamo insieme il caso.

I Fatti: La Trasferta Sospetta

Un tifoso veniva raggiunto da un provvedimento del Questore che gli imponeva il divieto di accesso per cinque anni ai luoghi dove si svolgevano manifestazioni sportive, con l’aggiunta dell’obbligo di presentazione presso la Questura durante le partite della sua squadra. Il provvedimento scaturiva da scontri avvenuti tra la sua tifoseria e quella locale.
Il tifoso, pur essendo stato identificato sul luogo degli scontri subito dopo il loro termine, sosteneva la propria estraneità ai fatti violenti. La difesa evidenziava come non vi fossero elementi diretti (immagini nitide, testimonianze) che lo collegassero alla rissa.
Tuttavia, le modalità con cui il suo gruppo di ultras aveva raggiunto la città ospite erano state considerate sospette. Il gruppo, infatti, aveva abbandonato il pullman a Padova per proseguire in treno, una mossa interpretata dalle autorità come un tentativo di eludere la scorta della polizia e raggiungere un punto di contatto con la tifoseria avversaria. Inoltre, una volta giunti a destinazione, i membri del gruppo si erano travisati e avevano impugnato cinture e un’asta con bandiera arrotolata, chiari segnali di preparazione a uno scontro.

La Decisione della Cassazione sul Divieto di Accesso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del tifoso, confermando la piena legittimità del provvedimento del Questore e della successiva convalida del GIP. Secondo la Suprema Corte, il ragionamento delle autorità di pubblica sicurezza era corretto e immune da vizi logici o violazioni di legge. La decisione si fonda sulla natura preventiva del DASPO, che non richiede gli stessi standard probatori di un processo penale.

Le Motivazioni: Il Valore delle Condotte Prodromiche

Il punto centrale delle motivazioni della sentenza risiede nel concetto di condotte prodromiche. La Corte ha spiegato che, ai fini dell’applicazione del divieto di accesso, si devono considerare non solo gli episodi di violenza conclamata, ma anche tutti quei comportamenti che, pur non essendo violenti in sé, sono potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico e chiaramente finalizzati alla partecipazione a scontri.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che elementi come:
– Il viaggio anomalo per eludere i controlli;
– Il fatto di muoversi in gruppo compatto verso il luogo dello scontro;
– L’essersi travisati e armati di oggetti contundenti (cinture, aste);
costituissero un quadro indiziario grave, preciso e concordante. Questi fatti dimostravano la volontà del gruppo, e quindi dei suoi singoli componenti, di cercare lo scontro.
La Corte ha ribadito che per le misure di prevenzione vige la logica del “più probabile che non”. Non è necessaria la certezza “oltre ogni ragionevole dubbio” che il soggetto abbia commesso un reato, ma è sufficiente una dimostrazione fondata su elementi di fatto che rendano la sua pericolosità altamente probabile. La spiegazione difensiva, secondo cui la sosta a Padova era per salutare amici, è stata giudicata “palesemente inverosimile”.

Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche del Provvedimento

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Dimostra che il divieto di accesso può essere legittimamente applicato anche a chi non viene colto in flagranza di reato durante una rissa. La semplice appartenenza a un gruppo e la condivisione di un percorso e di comportamenti chiaramente volti a creare disordini sono sufficienti a dimostrare una pericolosità sociale che giustifica l’intervento preventivo dello Stato.
Per i cittadini e, in particolare, per i tifosi, questo significa che la responsabilità non è limitata alla sola azione violenta, ma si estende a tutte quelle condotte preparatorie che manifestano un’intenzione aggressiva. Le autorità, d’altro canto, vedono confermata la possibilità di agire in via preventiva sulla base di una valutazione complessiva del contesto e del comportamento dei soggetti, senza dover attendere il compiersi dell’evento violento.

È necessario aver partecipato attivamente a una rissa per ricevere un divieto di accesso (DASPO)?
No, secondo la sentenza non è necessaria la prova della partecipazione diretta agli scontri. Sono sufficienti comportamenti preparatori (condotte prodromiche) che dimostrino chiaramente l’intenzione di partecipare a episodi di violenza e la pericolosità del soggetto per l’ordine pubblico.

Quale standard di prova è richiesto per l’applicazione di un DASPO?
Per le misure di prevenzione come il DASPO non si applica il principio della certezza “oltre ogni ragionevole dubbio”, tipico del processo penale. È invece sufficiente la logica del “più probabile che non”, basata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti che rendano altamente probabile la pericolosità del soggetto.

Cosa si intende per ‘comportamenti prodromici’ che possono giustificare un divieto di accesso?
Si tratta di tutte quelle azioni che, pur non essendo violente in sé, costituiscono una preparazione a uno scontro. Nel caso esaminato, esempi di tali comportamenti includono l’aver eluso la scorta della polizia, l’essersi travisati con cappucci in una giornata di sole e l’aver impugnato oggetti come cinture o aste, atti a offendere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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