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Divieto di accesso: non è reato vedere la partita

Due soggetti, destinatari di un divieto di accesso alle manifestazioni sportive (DASPO), sono stati assolti dalla Corte di Cassazione per aver assistito a una partita di calcio dal balcone di un’abitazione privata adiacente allo stadio. La Corte ha stabilito che la condotta non costituisce reato perché, trovandosi in un luogo privato, non sussisteva alcun concreto pericolo di contatto con gli altri tifosi, elemento necessario per configurare la violazione del divieto di accesso.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Accesso: Guardare la Partita dal Balcone di Casa Non è Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7531/2025, ha stabilito un importante principio in materia di divieto di accesso alle manifestazioni sportive (c.d. DASPO). Assistere a un evento sportivo dal balcone di un’abitazione privata adiacente allo stadio non costituisce reato, a meno che non vi sia un concreto pericolo di contatto con altri tifosi. Analizziamo insieme questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Due individui, già destinatari di un provvedimento di DASPO, erano stati condannati in primo e secondo grado per aver violato tale misura. La loro colpa? Aver assistito a una partita di calcio dal balcone di un’abitazione privata di un conoscente, situata nelle immediate vicinanze dello stadio.

I ricorrenti, attraverso il loro difensore, hanno impugnato la sentenza della Corte d’Appello sostenendo di non aver mai fatto accesso ai luoghi interdetti dal provvedimento, come lo stadio, le aree di sosta o di transito dei tifosi. La loro condotta si era limitata alla visione della partita da uno spazio privato, senza alcuna possibilità di interagire fisicamente con il pubblico presente all’evento.

Il Divieto di Accesso e la Decisione della Cassazione

La questione giuridica centrale ruotava attorno all’interpretazione dell’articolo 6 della Legge n. 401/1989, che sanziona la violazione del DASPO. L’obiettivo della norma è prevenire fenomeni di violenza negli stadi, impedendo a soggetti ritenuti pericolosi di entrare in contatto con la tifoseria.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna senza rinvio, con la formula “perché il fatto non sussiste”. Ciò significa che, secondo i giudici, la condotta tenuta dagli imputati non integrava gli estremi del reato contestato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su un principio di diritto già affermato in una precedente pronuncia (Cass. n. 43575/2018). La violazione del divieto di accesso non può consistere nella mera visione della competizione sportiva da un luogo privato, anche se adiacente allo stadio. Per configurare il reato è indispensabile accertare la sussistenza di un “concreto pericolo” di contatti personali con gli spettatori.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto che la vicinanza fisica allo stadio fosse di per sé sufficiente a creare un pericolo, ipotizzando che “qualsivoglia espressione verbale di tifoseria sarebbe stata nitidamente udita da chiunque”. La Cassazione ha respinto questa interpretazione, chiarendo che la possibilità di esternazioni verbali, da sola, non equivale al concreto pericolo di contatto fisico richiesto dalla norma.

Gli imputati si trovavano all’interno di un’abitazione privata, una posizione che, per sua natura, impediva qualsiasi interazione fisica con chiunque si trovasse all’esterno. Mancando l’elemento del pericolo concreto, viene meno il presupposto stesso del reato.

Conclusioni

Questa sentenza traccia un confine netto tra spazio pubblico e privato nell’applicazione del DASPO. Il divieto di accesso è finalizzato a proteggere l’ordine pubblico all’interno e nelle immediate adiacenze degli impianti sportivi, aree in cui è possibile il contatto tra tifoserie. Tale divieto non può essere esteso fino a sanzionare la condotta di chi assiste a un evento da una proprietà privata, da cui è materialmente impossibile generare scontri o disordini. La pronuncia ribadisce che la sanzione penale deve essere ancorata a un pericolo reale e non a mere supposizioni, garantendo così un corretto bilanciamento tra le esigenze di sicurezza pubblica e i diritti individuali.

Guardare una partita da un balcone privato viola il DASPO (divieto di accesso)?
No, secondo la Cassazione, la mera visione di una competizione sportiva da una casa privata adiacente allo stadio non costituisce violazione del DASPO, a meno che non si accerti un concreto pericolo di contatti personali con gli spettatori.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna?
La Corte ha annullato la sentenza perché il fatto non sussiste. Gli imputati si trovavano in un’abitazione privata, una posizione che rendeva impossibile il contatto fisico con i tifosi. La sola possibilità di esternazioni verbali non è sufficiente a integrare il pericolo concreto richiesto per la configurazione del reato.

Qual è il principio di diritto fondamentale stabilito dalla sentenza?
Il principio stabilito è che la violazione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive non si configura con la sola visione dell’evento da un luogo privato, se da tale condotta non deriva un pericolo concreto e accertato di contatto personale con gli altri spettatori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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