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Divieto di accesso: basta entrare per il reato

Un soggetto condannato per la violazione di un divieto di accesso emesso dal Questore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua semplice presenza, senza un effettivo “stazionamento”, non fosse sufficiente per configurare il reato. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che per la violazione del divieto di accesso è sufficiente il mero ingresso nell’area proibita, rendendo irrilevante la distinzione tra transito e sosta, soprattutto quando il provvedimento originale prevedeva percorsi alternativi.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violazione del Divieto di Accesso: Quando Scatta il Reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30087 del 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale sul reato di violazione del divieto di accesso (noto anche come DASPO urbano). La pronuncia stabilisce un principio netto: per commettere il reato è sufficiente il semplice ingresso nell’area interdetta, senza che sia necessario dimostrare una sosta prolungata o ‘stazionamento’. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dal Tribunale alla Cassazione

Il caso riguarda un individuo condannato sia in primo grado dal Tribunale sia in appello dalla Corte d’Appello per aver violato un provvedimento del Questore. Tale provvedimento gli vietava l’accesso a determinate aree del centro cittadino, essendo stato emesso per impedirgli di continuare l’attività di posteggiatore abusivo.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. La difesa sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente verificato se la sua presenza nell’area vietata fosse un semplice transito o un vero e proprio stazionamento, elemento che, a suo dire, sarebbe stato cruciale per valutare la sussistenza del reato.

La questione sul divieto di accesso e la tesi difensiva

Il cuore dell’argomentazione difensiva si basava sulla finalità del provvedimento del Questore. Se lo scopo era impedire l’attività di posteggiatore abusivo, secondo la difesa, solo uno ‘stazionamento’ nell’area – e non un mero passaggio – avrebbe potuto essere considerato funzionale a tale attività e, quindi, penalmente rilevante. In pratica, si sosteneva che senza la prova di una sosta, non vi fosse prova della volontà di contravvenire allo scopo del divieto.

La Decisione della Suprema Corte sul divieto di accesso

La Corte di Cassazione ha respinto completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la questione sollevata dalla difesa è irrilevante ai fini della configurazione del reato.

Le motivazioni

La norma incriminatrice punisce chi contravviene al ‘divieto di accesso’ in sé. Il reato si perfeziona nel momento stesso in cui il soggetto entra nell’area che gli è stata interdetta. Non è richiesta alcuna ulteriore condotta. La Corte ha osservato che, nel caso specifico, l’individuo non era stato colto in un mero transito, ma si trovava fermo presso una fermata dell’autobus in compagnia di altre persone. Questo dettaglio, sebbene non decisivo, smentiva già di per sé la tesi del semplice passaggio.

Inoltre, la Corte ha valorizzato un elemento cruciale: il provvedimento del Questore, in conformità con la legge, aveva specificato i percorsi alternativi che il soggetto avrebbe potuto utilizzare per legittime esigenze di mobilità, salute o lavoro. La presenza di queste alternative rendeva la sua presenza nell’area vietata una scelta consapevole e ingiustificata, integrando pienamente la violazione del precetto.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce la natura formale del reato di violazione del divieto di accesso. La legge intende creare una barriera preventiva, e la sua efficacia risiede proprio nella semplicità dell’accertamento: la presenza fisica in un’area proibita è, di per sé, sufficiente a far scattare la sanzione penale. Per i destinatari di tali misure, ciò significa che è necessario un rigore assoluto nell’evitare le zone interdette, poiché qualsiasi giustificazione legata alla durata o allo scopo della presenza rischia di essere considerata irrilevante dal giudice.

Per violare un divieto di accesso è necessario fermarsi o ‘stazionare’ nell’area vietata?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il semplice accesso all’area interdetta è sufficiente per integrare il reato, a prescindere dal fatto che il soggetto si fermi o stia solo transitando.

Qual è lo scopo del divieto di accesso previsto dall’art. 10 d.l. n. 14 del 2017?
Lo scopo è quello di prevenire la commissione di reati o comportamenti pericolosi per la sicurezza urbana, impedendo a determinati soggetti di accedere a specifiche aree dove potrebbero reiterare tali condotte, come nel caso di un posteggiatore abusivo.

La presenza di percorsi alternativi indicati nel provvedimento del Questore ha qualche rilevanza?
Sì, è molto rilevante. La Corte ha sottolineato che il provvedimento indicava percorsi alternativi che l’interessato avrebbe potuto utilizzare per le sue esigenze. Questo dimostra che la violazione non era dovuta a necessità, ma a una scelta consapevole, rafforzando la colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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