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Divieto concessione benefici: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’affidamento in prova, dopo che un beneficio simile gli era già stato revocato per irreperibilità. La Suprema Corte ha applicato il principio del divieto di concessione benefici per tre anni, sancito dall’art. 58-quater dell’ordinamento penitenziario, rendendo irrilevanti le altre censure del ricorrente sulla motivazione. La condotta pregressa del condannato è stata ritenuta incompatibile con una nuova concessione.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto Concessione Benefici: la Cassazione chiarisce i limiti

L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un pilastro del sistema penitenziario moderno, volto alla risocializzazione del condannato. Tuttavia, tale accesso non è incondizionato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un punto cruciale: la revoca di un beneficio a causa di un comportamento inaffidabile del condannato, come rendersi irreperibile, innesca un divieto di concessione benefici per un periodo di tre anni. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato a una pena di tre anni e due mesi di reclusione per reati di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi e ricettazione, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta.

La motivazione del rigetto si basava su un precedente significativo: al condannato era già stato concesso l’affidamento in prova da un altro Tribunale nel 2021. Tuttavia, egli si era reso irreperibile, non aveva mai sottoscritto le prescrizioni previste dalla misura e, di conseguenza, il beneficio era stato revocato. Il Tribunale riteneva che, alla luce di ciò e dei numerosi illeciti commessi, non vi fossero elementi sufficienti a garantire un’attenuazione del pericolo di recidiva.

La difesa proponeva ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione carente e illogica. Sosteneva che il Tribunale avesse ignorato gli esiti positivi di un’indagine socio-familiare e la concessione della liberazione anticipata, focalizzandosi unicamente sulla gravità dei reati pregressi.

La Decisione della Suprema Corte e il divieto di concessione benefici

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo in toto. La decisione della Suprema Corte si è concentrata su un aspetto che la difesa non aveva adeguatamente affrontato: la precedente revoca dell’affidamento in prova.

I giudici hanno evidenziato come il comportamento del condannato – che, dopo aver ottenuto il beneficio, si era reso irreperibile senza fornire alcuna giustificazione – fosse il fulcro della questione. Tale condotta è stata giudicata assolutamente incompatibile con una nuova concessione di una misura alternativa.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza è netta e si fonda su una specifica norma di legge: l’articolo 58-quater, comma 3, della legge n. 354 del 1975 (Ordinamento Penitenziario). Questa disposizione stabilisce un chiaro divieto di concessione di nuovi benefici per un periodo di tre anni, a decorrere dalla data di ripresa dell’esecuzione della pena, per i condannati ai quali sia stata revocata una misura alternativa per un fatto imputabile alla loro condotta.

L’essersi reso irreperibile rientra pienamente in questa casistica. Di conseguenza, la posizione del ricorrente era giuridicamente preclusa dalla possibilità di accedere a un nuovo beneficio. La Corte ha sottolineato che, di fronte a questo divieto normativo, ogni altra presunta carenza motivazionale del provvedimento impugnato diventava del tutto irrilevante. Non aveva senso discutere della valutazione del pericolo di recidiva, dell’indagine familiare o della liberazione anticipata, quando una norma specifica e vincolante impediva a monte la concessione della misura richiesta.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: la fiducia è un prerequisito per l’accesso alle misure alternative. La legge prevede un percorso di reinserimento, ma esige in cambio serietà e affidabilità da parte del condannato. La violazione grave delle prescrizioni, come la fuga o l’irreperibilità, non è solo un’infrazione, ma la rottura di un patto fiduciario con lo Stato. La conseguenza, come chiarito dalla Cassazione, è un’automatica preclusione temporale all’accesso a nuovi benefici, una sorta di ‘periodo di riflessione’ imposto dalla legge prima di poter riconsiderare un percorso di recupero esterno al carcere.

È possibile ottenere una misura alternativa alla detenzione se un beneficio simile è stato revocato in passato?
No. La sentenza chiarisce che, ai sensi dell’art. 58-quater dell’Ordinamento Penitenziario, se una misura alternativa viene revocata per un comportamento imputabile al condannato (come l’irreperibilità), vige un divieto di concessione di nuovi benefici per tre anni a partire dalla ripresa dell’esecuzione della pena.

La concessione della liberazione anticipata per buona condotta influisce sulla possibilità di ottenere l’affidamento in prova?
In questo caso specifico, no. La Corte ha ritenuto che il divieto di legge derivante dalla precedente revoca fosse un ostacolo insormontabile, rendendo irrilevante la valutazione positiva che aveva portato alla concessione della liberazione anticipata per altri fini.

Quale comportamento del condannato è stato considerato decisivo per il rigetto della richiesta?
Il comportamento decisivo è stato il fatto che, dopo aver ottenuto in precedenza l’affidamento in prova, il condannato si era reso irreperibile, non aveva sottoscritto le prescrizioni e di conseguenza il beneficio gli era stato revocato. Questa condotta è stata giudicata incompatibile con una nuova concessione di fiducia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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