Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata a Reggio Calabria il 25.2.1961
avverso la sentenza in data 4.5.2018 del Tribunale di Locri visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 4.5.2018 il Tribunale di Locri ha condannato NOME COGNOME alla pena di C 200 di ammenda ritenendola responsabile dei reati, tra loro unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 659 e 674 cod. p per detenzione fino al 7.7.2014 di sette cani e ventisei gatti all’interno del propr appartamento che, a causa del continuo abbaiare e strepitare in tutte le ore del giorno e della notte, disturbavano gli altri condomini e che, in ragione dell’incuri e delle precarie condizioni igieniche in cui venivano tenuti sia gli animali, lasci liberi di circolare anche nel condominio, quanto l’abitazione della prevenuta
provocavano odori nauseabondi costantemente avvertiti dai residenti nello stabile e dagli abitanti degli immobili limitrofi
Avverso il suddetto provvedimento l’imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, atto di appello innanzi alla Corte di Appello di Reggio Calabria, debitamente riconvertito, in ragione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda ex art. 593, 3 comma cod. proc. pen., in ricorso per Cassazione con il quale lamenta, in primo luogo, la violazione del diritto di difesa per l’illegittima riduzione della lista testi depositata in dibattimento conseguente omessa escussione dei testi a discarico nonché per l’omessa disamina delle dichiarazioni testimoniali depositate nella Cancelleria del PM che nulla aveva eccepito al riguardo. Deduce altresì la mancanza di alcuna risultanza istruttoria comprovante le condotte contestatele non essendo emerso, quanto al reato di cui all’art. 659 cod. pen., che avesse suscitato lo strepito degli animali e che i vici di casa svolgessero attività alle quali fosse stato arrecato disturbo, e mancando, quanto alla contravvenzione ex art. 674, tutti gli elementi costituitivi dell’elemen materiale così come dell’elemento soggettivo in mancanza di condotte dolosamente o colposamente poste in essere. Conclude chiedendo l’assoluzione perché i fatti non sussistono, perché non costituiscono reato e perché non sono stati commessi, e, in via subordinata l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale, nell’evidenziare la corposa piattaforma probatoria costituita dalle univoche dichiarazioni dei testi in ordine al continuo abbaiare dei cani e al cattivo odor provocato dalle deiezioni degli animali e la mancata richiesta della causa di non punibilità formulata per la prima volta con la presente impugnativa, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In via preliminare deve essere rilevata la sussistenza della condizione di procedibilità per il reato di cui all’art. 659 che, a seguito delle modifiche introd dall’art. 3 d. Igs. 150/2022, è costituito dalla querela della persona offesa, la qua come risulta dalla stessa sentenza impugnata, ancorché pronunciata in data antecedente al mutato regime, dà conto della querela presentata presso il locale ufficio del Commissariato da NOME NOME, abitante nel medesimo condominio dell’imputata.
Ciò premesso, occorre tuttavia chiarire che, sebbene l’istituto della conversione dell’impugnazione previsto dall’art. 568, 5 comma cod. proc. pen., ispirato al principio di conservazione degli atti, determini l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente per la sua impugnazione secondo le
ordinarie norme processuali, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all’uopo predisposto dall’ordinamento giuridico, ciò non si traduce però in una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato: l’atto convertito deve aver infatti, i requisiti di sostanza e di forma propri dell’impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta, non consentendo il favor impugnationis deroghe di sorta alle norme che formalmente e sostanzialmente disciplinano i diversi mezzi di gravame (Sez. 4, Sentenza n. 5291 del 22/12/2003 – dep. 10/02/2004, COGNOME, Rv. 227092; Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 – dep. 09/07/1999, COGNOME R, Rv. 213835).
Se la manifesta infondatezza del primo profilo di doglianza deriva dalla sua stessa generica formulazione non venendo neppure esplicitate le ragioni concretizzanti l’asserita lesione del diritto di difesa, di per sé non configurabile i conseguenza dell’esercizio ad opera del giudice del dibattimento del potere, espressamente conferitogli dall’art. 468, secondo comma cod. proc. pen., di riduzione della lista testimoniale, formulata dal difensore con l’indicazione di ben 131 testi, per sovrabbondanza, le censure in ordine alla valutazione della prova risultano apoditticamente formulate senza l’enucleazione di alcuna violazione di legge o di alcun vizio motivazionale sussumibile nell’ambito della tassativa elencazione dell’art. 606 lett. e9 cod. proc. pen., risolvendosi invece nella generica contestazione delle risultanze istruttorie che, a detta della difesa, escludono che alcuna attività svolta dai vicini di casa, compreso il riposo, fosse stata mai interrotta o disturbata dalla prevenuta o che costei abbia posto in essere alcuna delle condotte sussumibili nella previsione di cui all’art. 674 cod. pen.
Emerge, al contrario, dalla sentenza impugnata la compiuta rappresentazione, all’esito delle risultanze del sopralluogo e del contenuto delle deposizioni raccolte, della condizione di incuria in cui versavano i balconi, ingombri degli escrementi dell’ingente numero di cani e gatti che l’imputata teneva nella sua abitazione, senza che neanche al suo interno si provvedesse alle necessarie operazioni di pulizia, stante l’odore nauseabondo causato anche dalle esalazioni di urina che fuoriusciva dalla stessa, di sporcizia delle scale e dei locali comuni venendo gli animali lasciati liberi di circolare anche all’interno del condominio privi di guinzagli e museruola, nonché il continuo abbaiare di giorno e di notte dei cani così come il miagolio ininterrotto dei gatti: correttamente, pertanto, il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità dell’imputata con riferimento ad entrambi i reati ascrittigli sul condivisibile rilievo che, quanto al reato previsto dall’art. cod. pen., la configurabilità della fattispecie deve riteners integrata sia per l’entità delle esalazioni maleodoranti degli animali detenuti dalla prevenuta e come tali a costei imputabili stante la mancata adozione delle cautele idonee ad evitare disturbi e molestie ai vicini), sia per l’evidente superamento della
normale tollerabilità, in ragione degli effetti provocati da tali esalazioni, così come richiesto dall’art. 844 cod. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 45230 del 03/07/2014, COGNOME, Rv. 260980; Sez. 3, Sentenza n. 14467 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 269326) e, quanto alla contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, costituito nella specie non solo dai condomini residenti nello stesso stabile, ma altresì dagli abitanti dell’edificio limitrofo (INDIRIZZO. INDIRIZZO) che hanno riferito di essere stati continuamente infastiditi dall’ululato degli animali, sia di giorno che di notte.
Quanto, infine, all’invocata applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., la richiesta è all’evidenza inammissibile: trattasi inver di questione che, postulando un apprezzamento di merito, non può essere sollevata – ad eccezione dell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia anteriore alla sua entrata in vigore della norma in esame, non ricorrente nel caso di specie – per la prima volta innanzi a questa Corte, fermo restando che la difesa neppure prospetta la sussistenza di elementi che escludessero ab origine, vuoi per la modalità della condotta, vuoi per l’esiguità del pericolo, la gravità dell’offesa, ta da imporne il rilievo ex officio da parte del Tribunale calabrese.
Segue all’esito del ricorso la condanna della ricorrente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 13 giugno 2000 n.186, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente liquidata come da dispositivo
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000 in favore della Cassa delle Ammende Così deciso il 12.11.2024