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Disturbo quiete pubblica animali: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una donna per il reato di disturbo della quiete pubblica e getto pericoloso di cose a causa della detenzione di 33 animali (7 cani e 26 gatti) nel proprio appartamento. Il continuo abbaiare e i miagolii, uniti ai cattivi odori derivanti dalla scarsa igiene, superavano la normale tollerabilità, disturbando l’intero condominio e gli edifici vicini. Il ricorso della donna è stato dichiarato inammissibile in quanto le sue argomentazioni miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disturbo quiete pubblica animali: No alla detenzione di troppi animali in condominio

L’amore per gli animali è un sentimento nobile, ma quando la convivenza in un contesto condominiale si trasforma in un incubo per i vicini, la legge interviene. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di disturbo della quiete pubblica da animali, confermando la condanna penale per una donna che teneva nel suo appartamento ben sette cani e ventisei gatti, in condizioni igieniche precarie.

I Fatti: la Convivenza con 33 Animali in Appartamento

Il Tribunale di Locri aveva condannato una signora a una pena di 200 euro di ammenda per i reati di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 c.p.) e getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.), unificati dal vincolo della continuazione.

La causa del procedimento era la detenzione di un numero eccezionale di animali in un appartamento condominiale. I cani abbaiavano e i gatti miagolavano incessantemente, sia di giorno che di notte, arrecando disturbo non solo ai condomini dello stesso stabile ma anche agli abitanti degli immobili limitrofi. A ciò si aggiungeva una situazione igienica insostenibile: l’incuria nella gestione degli animali e dell’abitazione provocava odori nauseabondi, dovuti alle deiezioni e all’urina, che si propagavano nelle aree comuni e nelle proprietà vicine.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile e Condanna Confermata

La donna ha impugnato la sentenza, ma il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. I giudici supremi hanno ritenuto le sue doglianze manifestamente infondate e orientate a una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte ha quindi confermato la responsabilità penale dell’imputata, condannandola anche al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Le Motivazioni sul Disturbo Quiete Pubblica Animali

La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, aveva fornito una rappresentazione chiara e completa della situazione, basata sulle risultanze dei sopralluoghi e sulle testimonianze raccolte. Le motivazioni della conferma della condanna si fondano su due pilastri principali.

La violazione dell’art. 659 c.p. (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)

Per configurare questo reato non è sufficiente che il rumore disturbi un solo vicino. È necessario che il disturbo sia potenzialmente idoneo a raggiungere un numero indeterminato di persone. Nel caso di specie, le testimonianze hanno confermato che i latrati e i miagolii continui infastidivano non solo i residenti dello stesso edificio, ma anche quelli dello stabile adiacente. Questo elemento è stato decisivo per ritenere integrato il reato.

La violazione dell’art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose)

Questo articolo punisce chi getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso, cose atte a offendere, imbrattare o molestare persone. Le emissioni di gas, vapori o fumo non consentite dalla legge rientrano in questa fattispecie. La Cassazione ha ribadito che anche le esalazioni maleodoranti, come quelle prodotte dagli animali in condizioni di scarsa igiene, integrano il reato quando superano il limite della “normale tollerabilità” stabilito dall’art. 844 del codice civile. La mancata adozione di cautele per evitare tali molestie ai vicini ha reso l’imputata responsabile del reato.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, riafferma che il diritto di tenere animali domestici nella propria abitazione non è assoluto, ma deve essere bilanciato con il diritto dei vicini alla quiete e a vivere in un ambiente salubre. La responsabilità di garantire una corretta gestione degli animali, evitando rumori eccessivi e odori molesti, ricade interamente sul proprietario. La sentenza chiarisce che il superamento della normale tollerabilità, sia per i rumori che per gli odori, può avere conseguenze penali, oltre che civili. Chi decide di convivere con un numero elevato di animali deve quindi essere consapevole degli oneri e delle responsabilità che ne derivano per non incorrere nel reato di disturbo della quiete pubblica da animali.

Quando il rumore e l’odore degli animali in condominio diventano reato?
Diventano reato quando superano la normale tollerabilità. Per il rumore (art. 659 c.p.), è necessario che sia idoneo a disturbare un numero indeterminato di persone (es. più famiglie del condominio o degli edifici vicini). Per gli odori molesti (art. 674 c.p.), il reato si configura quando le esalazioni nauseabonde, dovute a incuria e scarsa igiene, eccedono la soglia della normale tollerabilità, molestando i vicini.

La detenzione di un gran numero di animali è di per sé illegale?
La sentenza non stabilisce che sia illegale detenere molti animali, ma chiarisce che la responsabilità penale sorge quando da tale detenzione derivano condotte illecite. La responsabilità del proprietario è quella di adottare tutte le cautele necessarie (pulizia, educazione degli animali, ecc.) per evitare che la loro presenza causi disturbo o molestie ai vicini, indipendentemente dal loro numero.

È possibile chiedere l’assoluzione per ‘particolare tenuità del fatto’ per la prima volta in Cassazione?
No. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile tale richiesta perché, postulando un apprezzamento di merito sulla gravità della condotta e del danno, non può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità, salvo rare eccezioni non riscontrate nel caso specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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