Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13362 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13362 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENIZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMENOME nato ad Anagni (Fr) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 7/6/2023 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7/6/2023, la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa il 6/3/2019 dal Tribunale di Frosinone, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di cui all’art. 5, Igs. 10 marzo 2000, n. 74, perché estinto per prescrizione, e ricleterminava in otto mesi di reclusione la pena per il reato di cui all’art. 10, stesso decreto.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione della legge penale; illogicità e carenza della motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna, quanto al capo
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B), con argomento viziato, che non terrebbe conto della tesi alternativa offerta dalla difesa, ossia che le scritture contabili della “RAGIONE_SOCIALE” non sarebbero state U – à-tél occultate dal ricorrente, ma erroneamente bruciate da due dipendenti nella primavera del 2013, al posto delle scritture relative agli esercizi fino al 2000 mancherebbe, inoltre, il dolo richiesto dalla norma;
erronea applicazione degli artt. 157 cod. pen., 129 cod. proc. pen. L’errata condotta dei due dipendenti, appena richiamata, sarebbe stata tenuta nella primavera 2013, con l’effetto che – anche a voler considerare il dies a quo più sfavorevole all’imputato, il 30/4/2013 – il delitto sarebbe estinto per prescrizione dal 1°/5/2023, ossia da prima che venisse pronunciata la sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, il Collegio osserva che lo stesso si compone di una sola considerazione in fatto, ossia che la documentazione contabile dal 2010 al 2013 non sarebbe stata occultata dal COGNOME, ma bruciata per sbaglio da due dipendenti, incaricati di distruggere la contabilità fino all’anno 2000. Un tale argomento, tuttavia, è inammissibile in questa sede, per un verso perché del tutto legato a considerazioni di merito, e, per altro verso, perché generico, non sostenendo neppure di aver sottoposto la tesi ai Giudici della cognizione e di averla provata in dibattimento. La sentenza di primo grado, peraltro, non dà conto di richieste istruttorie formulate dalla difesa, ed il motivo non indica quale eventuale riscontro avrebbe ottenuto la versione difensiva.
4.1. In ordine, poi, al profilo soggettivo del reato ex art. :10, d. Igs. n. 74 del 2000, il ricorso si limita a rilevare (pag. 7) che mancherebbe “del tutto il dolo iniziale richiesto”; questa affermazione, tuttavia, risulta immotivatamente assertiva e, come tale, non consente di riscontrare un’effettiva censura alla motivazione della sentenza impugnata, con la quale, dunque, non vi è un concreto confronto. Entrambi i Giudici di merito, peraltro, avevano sostenuto in modo adeguato il dolo specifico richiesto dalla norma, sottolineando che il COGNOME – che aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per il 2010 e la dichiarazione IVA per il 2011 – non aveva consegnato le scritture contabili obbligatorie per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013, e non aveva fornito al riguardo alcuna giustificazione. Entrambe le condotte, contestate ed ampiamente provate, avevano dunque evidenziato il dolo di evasione che ne aveva costituito fondamento, come ritenuto da entrambe le sentenze con motivazione fondata su oggettive risultanze istruttorie e non manifestamente illogica.
4.2. Il primo motivo di ricorso, pertanto, è inammissibile.
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Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge anche con riguardo al secondo, che – muovendo dalla stessa tesi in fatto che sostiene la prima censura – fissa al più tardi al 30 aprile 2013 il dies a quo del delitto di cui al capo 10 in esame, ossia al tempo in cui i dipendenti del ricorrente avrebbero per sbaglio bruciato la documentazione. Ebbene, le considerazioni già riportate al riguardo impediscono di esaminare una tale versione e,, dunque, confermano la correttezza dell’ipotesi accusatoria, che ha fissato il momento consumativo del reato al 28 agosto 2015, quando era stato eseguito l’accertamento; con l’effetto che, alla data della pronuncia della sentenza impugnata, il reato non era prescritto, né, peraltro, lo è a quella odierna.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2024
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