Distruzione Documenti Contabili: Reato Anche se il Fisco Ricostruisce il Reddito
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati tributari, chiarendo i contorni del delitto di distruzione documenti contabili. La Suprema Corte ha confermato che il reato sussiste anche quando l’amministrazione finanziaria riesce, seppur con difficoltà, a ricostruire il reddito del contribuente tramite fonti esterne. Questa decisione sottolinea la severità della legge nel proteggere la trasparenza fiscale e l’integrità delle scritture contabili.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dalla condanna di un professionista per il reato previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000. A seguito di una verifica fiscale, era emerso che il professionista aveva occultato o distrutto un numero cospicuo di fatture di vendita relative a un arco temporale di cinque anni, oltre al registro IVA degli acquisti. Tale condotta aveva, secondo l’accusa, impedito la corretta ricostruzione del suo volume d’affari.
L’imputato si era difeso sostenendo che la documentazione contabile fosse andata persa tra le macerie della sua abitazione, colpita da un non meglio precisato “evento”. Tuttavia, questa giustificazione è stata ritenuta priva di adeguato supporto probatorio sia in primo grado che in appello.
Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, il professionista ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove e sostenendo l’insussistenza del reato, dato che parte del fatturato era stata comunque ricostruita dalla Guardia di Finanza attraverso questionari inviati ai clienti.
La Valutazione della Cassazione sulla Distruzione Documenti Contabili
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici di legittimità hanno sottolineato che le doglianze del ricorrente non miravano a evidenziare vizi di legge, ma a proporre una rilettura alternativa dei fatti, operazione non consentita nel giudizio di Cassazione.
Secondo la Corte, i giudici di merito avevano operato una ricostruzione logica e coerente, valorizzando correttamente gli esiti della verifica fiscale. Il punto centrale della decisione, tuttavia, risiede nell’interpretazione dell’elemento costitutivo del reato.
Le Motivazioni
Il cuore della motivazione si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il reato di distruzione documenti contabili si configura quando la condotta rende impossibile la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari. La Cassazione ha precisato che tale impossibilità non deve essere intesa in senso assoluto.
Il reato sussiste anche quando la ricostruzione è possibile, ma richiede un’attività di acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde (da altre fonti). Nel caso di specie, il fatto che la Guardia di Finanza sia riuscita a recuperare parte delle informazioni tramite i clienti del professionista non esclude la rilevanza penale della condotta. Anzi, proprio la necessità di ricorrere a tali espedienti dimostra che l’occultamento dei documenti aveva raggiunto il suo scopo illecito: rendere difficoltosa e incerta la verifica fiscale.
La Corte ha quindi stabilito che la motivazione della sentenza impugnata era sorretta da considerazioni razionali e giuridicamente corrette, a fronte delle quali la difesa si era limitata a contrapporre apprezzamenti di merito.
Conclusioni
La decisione riafferma con forza la funzione dell’art. 10 del D.Lgs. 74/2000, che è quella di tutelare non solo l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi, ma anche l’esigenza di trasparenza e verificabilità della contabilità. L’obbligo di conservare le scritture contabili è un presidio fondamentale per l’attività di accertamento fiscale.
La pronuncia costituisce un monito importante per tutti i contribuenti: la distruzione documenti contabili è un reato grave, e il tentativo di giustificarlo con eventi non provati o la speranza che il Fisco non riesca a ricostruire tutto non è una strategia difensiva valida. La legge punisce l’intento di ostacolare l’accertamento, indipendentemente dal successo finale delle indagini fiscali. Con la declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quando si configura il reato di distruzione di documenti contabili?
Il reato si configura quando un soggetto occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti obbligatori, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari ai fini delle imposte.
Se le autorità riescono a ricostruire il fatturato da altre fonti (es. clienti), il reato di distruzione documenti contabili sussiste ugualmente?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’impossibilità di ricostruzione del reddito non deve essere assoluta. Il reato sussiste anche quando per ricostruire il reddito è necessario acquisire la documentazione mancante da fonti terze, poiché la condotta ha comunque ostacolato l’attività di accertamento fiscale.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18494 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18494 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a CANNARA il 30/12/1954
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Ancona del 13 febbraio 2024, che ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Fermo il 18 marzo 2022, con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni 1 di reclusione, in quanto ritenuto colpevo del reato ex art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, accertato in Sant’Elpidio a Mare il 30 gennaio 2
Rilevato che i due motivi di ricorso, con i quali si censura, in termini sostanzial sovrapponibili, la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, sono manifestament infondati, in quanto volti a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti proba fronte dell’adeguata ricostruzione operata dai giudici di merito, i quali, all’esito di una disamina delle prove acquisite, hanno ritenuto sussistente il reato contestato, valorizzando a fine gli esiti della verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza dal 28 novembre 2017 a gennaio 2018 nei confronti dello studio di consulenza fiscale dell’imputato, verifica da emerso che COGNOME ha occultato e/o distrutto 106 fatture di vendita relative agli anni di im dal 2013 al 2017 (ovvero 85 fatture annotate nell’apposito registro iva vendite e 21 non annota in contabilità, ma acquisite presso i clienti del professionista a mezzo questionario), non registro iva acquisti, in modo da non consentire la ricostruzione del volume di affari.
Precisato, da un lato, che è rimasta priva di adeguato conforto probatorio l’affermazione second cui la contabilità ricercata si sarebbe trovata tra le macerie della casa di Matrini a Bevagna c da un evento e, dall’altro, che i giudici di appello hanno correttamente applicato il pr elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862) secondo cui l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari derivante dalla dis dall’occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 Igs. n. 74 del 2000, non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde, come appunto si è verificato nel caso di specie.
Ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata risulta sorretta da considerazioni raziona cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di merito, che tuttavia esulano dal perime del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e rilevato che a declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’oner pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese pr della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 novembre 2024.