Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47716 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47716 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 25/01/1981 a NAPOLI avverso la sentenza in data 20/05/2024 della CORTE DI APPELLO DI ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso sentita l’Avvocata NOME COGNOME che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOMECOGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 20/05/2024 della Corte di appello di Roma, che ha confermato la sentenza in data 25/01/2024 del G.i.p. di Roma, che lo aveva condannato per i reati di estorsione e uso indebito di una carta bancomat.
Deduce:
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contestato al capo A), da ricondursi all’ipotesi della truf aggravata e non in quella dell’estorsione.
Il ricorrente, dopo avere illustrato le differenze tra il delitto di estorsion quello c.d. di truffa vessatoria, sostiene che il fatto aderisce alla struttura quest’ultima ipotesi di reato.
A tale fine fa presente che il sedicente maresciallo, prima, e il sedicente
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avvocato, dopo, avevano rappresentato alla persona offesa che il fratello aveva causato un incidente e che per evitare il carcere bisognava pagare una cauzione.
Osserva la difesa che «sebbene si tratti di una falsa prospettazione atta a condizionare la vittima, non può ritenersi costituisca una vera e propria minaccia, ma piuttosto la falsa descrizione di una situazione di fatto (artificio) tale da ingenerare nella vittima -particolarmente fragile ed impressionabile in ragione dell’età avanzata- il timore di un pericolo immaginario. Infatti, la persona offesa veniva tratta in errore sull’inesistente necessità di intervenire per ottenere la liberazione del fratello».
Si deduce, dunque, che il fatto così come ricostruito dei giudici configura una truffa aggravata dall’aver ingenerato un pericolo immaginario.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla negazione dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen..
A tale proposito premette che alla persona offesa era stata offerta una somma di denaro a titolo di ristoro del danno subito e che la stessa non veniva accettata dalla stessa persona offesa. Precisa che i giudici negavano il riconoscimento della circostanza attenuante in ragione della genericità dell’offerta, che non indicava nessuna somma.
Secondo il ricorrente tale motivazione è contraddittoria, ove si consideri che l’offerta di risarcimento è stata valutata positivamente per riconoscere circostanze attenuanti generiche, mentre la mancata accettazione da parte della persona offesa è circostanza estranea alla volontà dell’imputato che intendeva risarcire il danno.
1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla recidiva e al trattamento sanzionatorio.
Con riguardo alla recidiva si evidenzia che la Corte di appello ha ritenuto la sua sussistenza facendo riferimento ai precedenti penali che, però, secondo la difesa sono inidonei a dimostrare la maggiore pericolosità, atteso che il precedente penale più recente risale al 2009.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché meramente reiterativo delle identiche questioni di merito affrontate e correttamente risolte dalla Corte di appello e perché manifestamente infondato.
1.1. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, la Corte di appello ha ricordato che «il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n.2, cod. pen. quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione
versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato», (Sez. 2 -, n. 24624 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279492 – 01).
I giudici hanno dunque rimarcato come nel caso in esame il danno venisse rappresentato quale conseguenza della condotta degli stessi agenti, i quali hanno prospettato che avrebbero incarcerato il fratello ove non avesse pagato la somma di denaro richiesta (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Da ciò discende la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici della doppia sentenza conforme e la manifesta infondatezza del contrario assunto difensivo, in palese contrasto rispetto a un orientamento assolutamente consolidato della Corte di cassazione oltre che meramente reiterativo delle identiche deduzioni esposte con l’atto di appello, disattese con motivazione che viene sostanzialmente trascurata.
A eguale conclusione di manifesta infondatezza si giunge anche in relazione all’attenuante di cui all’art. 61, comma primo, n. 6 cod. pen., che il ricorrente assume illegittimamente negata.
In particolare, con il motivo si rimarca che l’imputato aveva offerto il risarcimento e che esso non è stato accettato dalla persona offesa.
A tale riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «in tema di circostanze, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. può essere riconosciuta, nel caso in cui la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, solo qualora l’imputato abbia proceduto nelle forme dell’offerta reale di cui agli artt. 1209 e ss. cod. civ., depositando la somma e lasciandola a disposizione della persona offesa, così da consentire a quest’ultima di valutarne l’idoneità a risarcire il danno e di decidere con la necessaria ponderazione se accettarla o meno, ed al giudice di apprezzarne la congruità e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo. (Fattispecie relativa a somma offerta a mezzo di assegno circolare, rifiutato dalla persona offesa, nella quale la Corte ha escluso la configurabilità dell’attenuante, poiché l’assegno non era stato depositato e lasciato a disposizione della vittima)», (Sez. 1, n. 16493 del 23/02/2024, S., Rv. 286309 – 01).
La difesa osserva -inoltre- come la mancata accettazione dell’offerta di risarcimento non sia dipesa dalla sua volontà, ma da quella della persona offesa.
La Corte di cassazione, sul punto, specificando ulteriormente il principio di diritto dianzi enunciato, ha osservato che «ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., qualora la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, è necessario che l’imputato proceda ad offerta reale dell’indennizzo ai
sensi degli artt. 1209 e ss. cod. civ., in modo che la somma sia a completa disposizione della persona offesa e che successivamente il giudice possa valutare l’adeguatezza e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo. (Nella fattispecie la SRAGIONE_SOCIALE. ha respinto il ricorso dell’imputato evidenziando che non era stata fornita dalla difesa alcuna prova del fatto che la somma offerta a mezzo assegno circolare e rifiutata dalla parte offesa, fosse successivamente rimasta al di fuori della disponibilità del ricorrente)» (Sez. 2, n. 56380 del 07/11/2017, Rv. 271556).
La diversità tra la modalità di offerta in esame e quella di cui all’art. 1209 artt. 1209 e ss. cod. civ. è evidente, ove si consideri che questa prevede la consegna di una somma di denaro ben determinata presso il domicilio del creditore e, in caso di rifiuto, il suo deposito con la messa a disposizione della somma.
Nel caso in esame, invece, l’offerta si è risolta nella spedizione di una missiva, dove veniva genericamente offerto il risarcimento, senza l’indicazione di alcuna somma a tal fine destinata alla persona offesa, senza successiva messa a disposizione mediante deposito della somma offerta, ossia con modalità che impedivano al danneggiato di valutare l’idoneità della stessa a risarcire il danno subito e di decidere con la necessaria ponderazione se accettarla o meno.
La sentenza impugnata, dunque, è conforme ai principi di diritto fin qui enunciati, giudicando non concedibile l’attenuante di cui all’art. 62, comma 1 n. 6, cod.pen., per la genericità dell’offerta, secondo una corretta applicazione delle norme del codice penale e del codice civile, visto che il danno non è stato riparato né mediante un effettivo risarcimento, né mediante l’offerta di una somma di denaro effettuata in forme tali da lasciare la stessa nella disponibilità della vittima e da consentire al giudice di valutarne l’adeguatezza.
La Corte di appello ha compiutamente motivato anche in relazione alla recidiva, osservando che COGNOME ha numerosi precedenti, per delitti in materia di stupefacenti, per tentativo di furto, per evasione, per due rapine aggravate, per porto illegale di armi, furto con strappo e lesioni personali, ossia per reati che, per la gravità e per il numero fanno risultare recessiva la datazione delle due rapine, risalenti al 2009.
Il ricorrente sostiene il contrario, così esponendo argomentazioni di merito che, in quanto tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità
Da quanto esposto discende l’inammissibilità del ricorso, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così è deciso il 14/11/2024