LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Distanze tra costruzioni: quando è reato penale

Un proprietario è stato condannato per un reato edilizio relativo alle distanze tra costruzioni. Dopo aver demolito e ricostruito un immobile, non ha rispettato la distanza minima di 10 metri dall’edificio vicino. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, ribadendo che le normative nazionali sulle distanze (D.M. 1444/1968) sono inderogabili e prevalgono sui regolamenti locali. La Corte ha inoltre sottolineato che la valutazione dei fatti spetta esclusivamente ai giudici di merito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Distanze tra costruzioni: la Cassazione conferma la rilevanza penale

Il rispetto delle distanze tra costruzioni non è solo una questione civilistica, ma può integrare un vero e proprio reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3730 del 2024, lo ribadisce con forza, confermando la condanna penale a carico di un proprietario che, in fase di ricostruzione, non aveva osservato le distanze minime previste dalla normativa nazionale. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere la gerarchia delle fonti in materia edilizia e i limiti del controllo di legittimità della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il proprietario di un immobile situato in un comune insulare veniva condannato dal Tribunale di primo grado per il reato previsto dall’art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia). L’accusa era di aver realizzato opere, denunciate tramite una Segnalazione di Inizio Attività (SCIA), senza rispettare le distanze minime dalle costruzioni confinanti, fissate in almeno tre metri.

L’imputato presentava ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Vizio di motivazione: sosteneva che il giudice avesse erroneamente ritenuto violata la distanza di dieci metri tra pareti finestrate, una norma a suo dire non prevista dal regolamento edilizio comunale.
2. Violazione di legge: affermava che il nuovo manufatto, essendo identico a quello demolito, dovesse rispettare solo le distanze previste dalla normativa urbanistica storica (legge del 1942) e non le più recenti disposizioni.
3. Travisamento della prova: asseriva che la chiostrina (un piccolo cortile interno) su cui si affacciavano le finestre del vicino fosse di proprietà di quest’ultimo, e che quindi l’eventuale abuso fosse da addebitare al confinante.

L’Analisi della Cassazione sulle distanze tra costruzioni

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le argomentazioni della difesa, riaffermando principi consolidati in materia di diritto edilizio.

La Prevalenza della Normativa Nazionale

Il primo punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la gerarchia delle fonti normative. I giudici hanno chiarito che la decisione del Tribunale non si basava su una presunta norma locale, ma sull’applicazione diretta dell’art. 873 del codice civile e, soprattutto, dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444. Quest’ultima norma impone una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. La Corte ha ribadito che queste disposizioni sono inderogabili da parte della legislazione regionale o dei regolamenti comunali.

L’Onere della Prova nella Ricostruzione

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha sottolineato come le argomentazioni del ricorrente fossero di natura puramente fattuale e rivalutativa. Il ricorrente sosteneva di aver diritto a una deroga per la ricostruzione di un edificio preesistente, ma il Tribunale aveva già accertato che non vi era prova che il nuovo edificio fosse identico al precedente, né che la chiostrina in questione fosse di proprietà del vicino. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o le prove, ma solo di verificare la logicità e la coerenza della motivazione del giudice di merito.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato perché le censure mosse dal ricorrente erano di carattere fattuale, cercando una rivalutazione del merito della vicenda che è preclusa in sede di legittimità. Il Tribunale aveva correttamente fondato la sua decisione sulla normativa nazionale in materia di distanze tra costruzioni (art. 9 del D.M. 1444/1968), la quale stabilisce un minimo inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate. Questa norma prevale su qualsiasi regolamento locale che possa prevedere distanze inferiori o non prevederle affatto. Inoltre, non erano state fornite prove sufficienti a dimostrare che la ricostruzione rientrasse nei casi di deroga previsti dall’art. 2-bis del d.P.R. 380/2001, né era stata provata la proprietà della chiostrina in capo al vicino. La motivazione della sentenza di primo grado è stata quindi giudicata logica, coerente e giuridicamente corretta, rendendo l’impugnazione inammissibile.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida due principi fondamentali. Primo, le norme nazionali sulle distanze tra costruzioni, in particolare l’art. 9 del D.M. 1444/1968, hanno carattere imperativo e non possono essere derogate da strumenti urbanistici locali. Secondo, il giudizio della Corte di Cassazione è un controllo di legittimità e non di merito: la Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice che ha gestito il processo. Per i costruttori e i proprietari, la lezione è chiara: in caso di demolizione e ricostruzione, è essenziale verificare scrupolosamente il rispetto delle distanze legali vigenti a livello nazionale, poiché la loro violazione non solo espone a conseguenze civilistiche, ma può integrare anche una fattispecie di reato.

È possibile derogare alle distanze minime tra costruzioni previste dalla legge nazionale se il regolamento edilizio comunale non le menziona?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che le norme nazionali, come l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che impone la distanza di 10 metri tra pareti finestrate, sono inderogabili e prevalgono sulla legislazione regionale o sui regolamenti comunali.

La ricostruzione di un edificio demolito deve rispettare le distanze legali anche se l’edificio precedente non le rispettava?
Sì, a meno che non si dimostri di rientrare in specifiche deroghe previste dalla legge (come quelle dell’art. 2-bis, d.P.R. n. 380/2001). L’onere di provare l’esistenza di tali circostanze eccezionali ricade su chi edifica. Nel caso di specie, tale prova non è stata fornita.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No. Il ruolo della Corte di Cassazione è limitato al controllo della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione della sentenza impugnata. Non può effettuare una nuova valutazione delle prove o dei fatti, che è di competenza esclusiva del giudice di merito (il Tribunale, in questo caso).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati