Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30919 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30919 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Boville Ernica il 09/04/1974
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 11/02/2025, il Tribunale di Lecce dichiarava inammissibile l’impugnazione ex art. 322-bis cod.proc.pen. proposta nell’interesse di COGNOME NOME, in qualità di terzo estraneo, avverso il provvedimento emesso in data 09/12/2024 dal Gip presso il Tribunale di Lecce, con il quale veniva rigettata l’istanza di dissequestro dei metalli preziosi oggetto del contratto d investimento “conto tesoro”, a suo tempo stipulato con la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, ovvero del controvalore in danaro, proposta nell’ambito di un complesso procedimento per il reato di cui all’art 416, commi 1,2,3 cod.pen., reati tributari ed altro (decre di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Lecce in data 19/10/2022).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla richiesta di dissequestro dell’oro e/o controvalore in denaro.
Il ricorrente lamenta che il tribunale del riesame di Lecce non avrebbe minimamente tenuto conto dei motivi di appello ex art. 322-bis cod. proc. pen.
Espone che :aveva depositato presso la società RAGIONE_SOCIALE dei metalli preziosi del tipo oro sotto forma “Conto Tesoro”; il contratto di deposito era valido ed efficace come riconosciuto dal Gip in risposta all’istanza di dissequestro; non aveva alcun collegamento con le società oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, essendo terzo estraneo ai fatti; a causa del sequestro della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE si era visto privare della disponibilità di beni di sua esclusiva proprietà, anche se munito di ipoteca, iscritta in data antecedente al provvedimento penale; gli artt. 52 e ss del d.lgs 159/2011 (Codice Antimafia) prevedono la tutela del diritto del terzo creditore nell’ambito di un procedimento di prevenzione, a seguito della emissione di una misura preventiva patrimoniale a carico del debitore; il credito vantato dallo Stato, ancorchè ipotetico, può essere soddisfatto attraverso i beni immobili di proprietà del proposto attinto da una misura ablativa di prevenzione e deve essere seguito dalla restituzione dei metalli ai terzi creditori; come risultava da perizia effettua dall’arch. COGNOME il proposto risultava proprietario di beni per un valore pari a euro 1.430.000,00, che potevano certamente garantire e soddisfare il credito vantato nei suoi confronti dallo Stato; i creditori i quali godono di diritti di garanzia sui b posti sotto sequestro, invece, possono agire direttamente in sede di prevenzione per vedere soddisfatte le proprie pretese, senza la previa escussione del
Il difensore del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso. Il PG ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen., nella quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica, nella quale ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
patrimonio del proposto; la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il terzo proprietario del bene deve unicamente dimostrare la sua proprietà e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato; il terzo estraneo, quindi, dovrebbe fornire la prova sia della mancanza di strumentalità del proprio credito all’attività illecita del proposto sia della propria buona fede e, nella specie, documentazione in atti, comprovava la totale estraneità ai fatti dei terzi creditori, la buona fede degli stessi e la titolarità dei beni oggetto del sequestro; l’ordinanza impugnata aveva dato atto che l’amministratore giudiziario dell’EGM era stato autorizzato in data 28.7.2024 alla vendita dell’oro in sequestro e provveduto a depositare sul conto corrente indicato il prezzo della vendita; censurabile era la pronuncia impugnata secondo cui, sia «durante la ricognizione delle rimanenze di magazzino, sia durante l’operazione di sequestro con l’ausilio della P.G. e alla presenza dell’amministratore pro tempore, sia nelle successive operazioni di ricognizione del magazzino non veniva riscontrato oro/metallo prezioso specificamente identificato o depositato in un apposito caveau e destinato al prodotto “Conto Tesoro” e, dunque, ai singoli sottoscrittori, viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto punto 3.3», in quanto il contratto di deposito era da ritenersi valido ed efficace e il mancato rinvenimento del prezioso non può essere ricondotto affatto del terzo creditore; il Tribunale del riesame, poi, erroneamente aveva ritenuto insussistente l’interesse concreto ed attuale ad impugnare il provvedimento di rigetto del Gip, in quanto deve, invece, ritenersi tale l’interesse che venga restituito alla parte ricorrente o il metallo o controvalore in denaro; il Tribunale del riesame aveva affermato che non si può ottenere la restituzione di un bene che non è più in sequestro perché venduto ma nulla aveva motivato in ordine alla richiesta del controvalore dei preziosi venduti. Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Deve in primo luogo osservarsi che il Tribunale di Lecce ha posto in evidenza, in via preliminare (pag. 1), che il G.i.p., con l’ordinanza del 09/12/2024, aveva dichiarato inammissibile l’istanza di dissequestro, ritenuta meramente ripropositiva di questioni già esaminate e disattese in occasione del precedente provvedimento di rigetto di un’analoga istanza, emesso in data 24/11/2023,
rispetto alla quale non erano stati dedotti ulteriori elementi di novità ovvero non previamente conosciuti.
Gli effetti preclusivi derivanti dalla decisione del 2023, evidenziati dal G.i.p. e testualmente richiamati dal Tribunale di Lecce nel provvedimento oggetto del ricorso per cassazione, non sono stati in alcun modo contestati con l’atto di appello (né, tantomeno, nella sede odierna), con la conseguente originaria inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse dell’odierno ricorrente. Cfr. sul punto, tra l altre, Sez. 6, n. 1919 del 10/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287512 – 01, la quale – in una fattispecie di impugnazione meramente ripropositiva della originaria istanza de libertate ha chiarito che «l’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, sicché deve individuare i punti della decisione oggetto di censura ed enunciare i motivi di fatto e di diritto che si sottopongono al giudice del gravame in termini specifici, o almeno con una specificità proporzionale a quella delle argomentazioni che sorreggono il provvedimento impugnato»; in senso conforme, cfr. ad es. Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, COGNOME, Rv. 269098 – 01. Si tratta di un principio pacificamente applicabile all’appello cautelare reale (in questo senso, cfr. ad es. Sez. 2, n. 46575 del 11/11/2022, RAGIONE_SOCIALE).
Il Tribunale di Lecce ha fondato la declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dall’COGNOME anche sulla necessità di fare applicazione dell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui “l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, cosicchè alla richiesta di eliminazione o riforma della decisione gravata deve conseguire un risultato vantaggioso (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953), che deve corrispondere allo schema tipizzato dall’ordinamento con l’impugnazione. Il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante” (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato).
3.1. A sostegno della inammissibilità dell’appello, il Tribunale ha attribuito un dirimente rilievo alla impossibilità, per il ricorrente, di ottenere il disseques dell’oro di cui al contratto “Conto Tesoro” a suo tempo stipulato, in primo luogo perché l’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE (nel frattempo nominato a seguito del sequestro delle quote societarie) aveva chiesto ed ottenuto – come emerso dalla documentazione prodotta in udienza camerale dal P.M. – l’autorizzazione del G.i.p. a vendere l’oro in sequestro, e a versare il ricavato presso il F.U.G.
In secondo luogo, il Tribunale ha richiamato le ulteriori indicazioni fornite dal predetto amministratore giudiziario in ordine al mancato reperimento – nelle operazioni di ricognizione delle rimanenze di magazzino, e nella successiva fase di esecuzione del sequestro – di oro “specificamente identificato o depositato in apposito caveau e destinato al prodotto ‘Conto Tesoro’, e, dunque, ai singoli
sottoscrittori, come viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto al punto 3.3″ (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
In tale situazione, il Tribunale ha ritenuto che “l’appellante, in quanto terzo di buona fede, ha dunque solo un diritto di credito, che potrà far valere innanzi al giudice che ha emesso il decreto di sequestro, ai sensi degli artt. 52 e ss. d.lgs. 16ì59/2011, richiamato dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p., come la stessa difesa ha evidenziato in sede di istanza di dissequestro. Il giudice delegato dovrà quindi provvedere alla verifica di tutti i crediti vantati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. 159/2011″ (cfr. pag. 2, cit.).
3.2. Anche tale passaggio motivazionale è rimasto privo di adeguata confutazione da parte della difesa ricorrente, che si è a lungo soffermata nell’odierno ricorso – in termini sostanzialmente sovrapponibili a quelli prospettati nell’istanza rigettata, nell’appello e anche nelle note conclusive – sulle disposizioni del d.lgs. n. 159 del 2011 e sulla tutela assicurata ai terzi estranei al reato da quelle disposizioni: osservando tra l’altro che “il creditore potrà avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda di riconoscimento del proprio credito ai sensi del successivo art. 58 del Codice Antimafia; a seguito del quale si instaurerà un procedimento volto ad identificare quali siano i terzi creditori che concorrono alla formazione dello stato passivo ed al successivo piano di riparto” (cfr. l’ottava pagina del ricorso, privo di numerazione).
Coglie allora nel segno il rilievo del Tribunale secondo cui è stata la stessa difesa ricorrente ad aver ritenuto pacifica, sin dalla proposizione dell’istanza, l’applicabilità delle disposizioni del c.d. codice antimafia alla odierna fattispecie, ad aver preso in esplicita considerazione il meccanismo di tutela ivi approntato con gli artt. 57 segg. (domanda di ammissione del creditore, fissazione dell’udienza di verifica, composizione dello stato passivo, ecc.).
Peraltro, la difesa non ha in alcun modo chiarito le ragioni per cui il ricorrente dovrebbe ritenersi esentato da tale procedimento di verifica “concorsuale”, essendosi limitata ad insistere lungamente sulla buona fede del ricorrente medesimo: senza peraltro considerare non solo che tale condizione era stata esplicitamente riconosciuta dal Tribunale di Lecce (cfr. supra, § 3.1), ma che proprio la buona fede costituisce un indefettibile presupposto perché la verifica del credito vantato dal terzo, ai sensi degli artt. 52 segg., abbia un esito positivo.
È peraltro utile evidenziare che alle medesime conclusioni di inammissibilità dell’appello si perviene anche nell’ipotesi in cui si intenda seguire l’itinerar ricostruttivo tracciato dal G.i.p. del Tribunale di Lecce, nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro emesso in data 09/12/2024.
4.1. In quella sede, era stato testualmente richiamato il contenuto della già citata ordinanza in data 24/11/2023, nella quale, da un lato, il G.i.p. aveva precisato che il prodotto “Conto Tesoro”, acquistato dal ricorrente prima del sequestro del 100% delle quote della EGM s.p.a., era destinato agli investitori ed era offerto da una società regolarmente iscritta nell’apposito registro della Banca d’Italia; il relativo contratto “prevedeva la vendita di oro da RAGIONE_SOCIALE ai privati che ne facevano richiesta e il metallo acquistato dagli investitori doveva restare in deposito presso la RAGIONE_SOCIALE; alle scadenze previste dal contratto il cliente aveva facoltà di: 1) lasciare in custodia l’oro presso RAGIONE_SOCIALE; 2) ritirare il metallo acquistato previa una fusione e conversione in lingotti; 3) cederlo alla stessa RAGIONE_SOCIALE ed incassare il corrispettivo al Fixing (prezzo dell’oro) della data di richiesta” (cfr. pag. dell’ordinanza del 09/12/2024).
D’altro lato, avuto riguardo alla prosecuzione dell’attività della EGM (per la quale l’amministratore giudiziario aveva chiesto di essere autorizzato, in ragione della discreta situazione societaria), il G.i.p. aveva ulteriormente osservato che poteva “pertanto ritenersi valido ed efficace il contratto sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE per l’adesione al prodotto Conto Tesoro, per cui le varie opzioni contemplate dal contratto potranno essere azionate nelle forme e nella tempistica prodotte dal contratto stesso, fermo restando che, in caso di richiesta di ritiro del metallo o di una sua cessione a RAGIONE_SOCIALE, sarà necessaria l’autorizzazione del giudice delegato prima di dare esecuzione alla richiesta, dovendosi qualificare tali atti come di straordinaria amministrazione che possono compromettere la gestione dell’azienda in sequestro” (cfr. pag. 2 del decreto del G.i.p. in data 09/12/2024).
4.2. Nella parte conclusiva del proprio ricorso, la difesa ha richiamato tali passaggi argomentativi, censurando la prospettazione del Tribunale di Lecce nella parte in cui aveva ritenuto che il ricorrente fosse ormai titolare di un mero diritt di credito: precisando, in tale diversa prospettiva “contrattuale”, di aver fatto anche richiesta del controvalore in danaro.
Deve peraltro osservarsi – e il rilievo assume valenza dirimente – che le facoltà derivanti dal contratto stipulato dal ricorrente con la EGM potranno eventualmente essere esercitate nei confronti dell’amministratore giudiziario, ove questi decida di subentrare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 56 d.lgs. n. del 2011: essendo il predetto amministratore, come già chiarito nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro, l’unico soggetto legittimato a prendere in considerazione le richieste formulate in tale ambito, e ad assumere le conseguenziali determinazioni (previa autorizzazione del giudice, ove necessaria).
In buona sostanza, anche ponendosi nella prospettiva prettamente “contrattuale” delineata dal G.i.p., deve escludersi che dall’incidente cautelare
reale proposto dal ricorrente possa derivare “un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante” (cfr.
supra, §
3).
5.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 27/06/2025