Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a TAURIANOVA il 05/12/1965 avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria
Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica depositata dal difensore dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con la decisione indicata in epigrafe, confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Palmi in data 30 giugno 2020, con la quale NOME NOME veniva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro 9000 di multa, essendo stato ritenuto responsabile del reato previsto e punito dall’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/90.
In breve, il fatto per una migliore illustrazione dei motivi di ricorso.
Il 21 ottobre 2010, i Carabinieri della stazione di Rizziconi effettuarono un controllo mir alla ricerca di armi e stupefacenti presso l’abitazione di Morabito Francesco.
All’arrivo delle forze dell’ordine, COGNOME tentò di fuggire dal retro dell’abita liberandosi di due involucri di plastica contenenti marijuana. Durante la perquisizione, i mil rinvennero, al piano terra, in un vano adiacente alla porta d’ingresso, un rudimental laboratorio per l’essiccazione della marijuana, composto da una stufa elettrica e una lampada ad alta intensità in funzione, con circa 300 grammi di marijuana appesa con corde alle pareti per l’essiccazione e una bilancia di precisione. Inoltre, nel terreno retrostante l’abitazio trovato un bidone plastificato da 250 litri, interrato a circa 15 cm di profondità, contenen involucri di circa 1 kg ciascuno di marijuana (per un totale di circa 26,7 kg).
COGNOME venne arrestato per il delitto di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/1990.
Date la quantità cospicua di stupefacente e le modalità di conservazione e occultamento, le indagini proseguirono per individuare eventuali complici.
Nelle giornate successive all’arresto, la sala colloqui del carcere dove COGNOME er detenuto venne sottoposta ad intercettazioni, dalle quali emersero elementi decisivi su coinvolgimento di NOME NOME (zio di COGNOME).
Dalle captazioni risultò il significativo coinvolgimento di NOME COGNOME il quale avev consigliato al nipote, già prima dell’arresto, di prendere precauzioni per evitare il rinvenim della droga; si era fatto promotore di iniziative per impedire ulteriori ricerche e rinveni aveva suggerito con insistenza la rimozione del secondo bidone, anche dopo il suo rinvenimento (ormai vuoto); aveva personalmente occultato lo stupefacente non rinvenuto nel secondo bidone, come affermato da lui stesso durante un colloquio (“quella che trovaro… l’ho nascosta”); era a conoscenza dei dettagli tecnici relativi agli esami scientifici sulla informando COGNOME sulla percentuale di THC rilevata.
In seguito all’ascolto delle prime intercettazioni, i Carabinieri effettuarono una nu perquisizione nell’abitazione, trovando il secondo bidone a circa tre metri di distanza dal lu di rinvenimento del primo. Il bidone, sebbene vuoto, emanava un forte odore di marijuana.
Successivamente, entrambi i bidoni furono sequestrati ed esaminati scientificamente, con esito negativo (anche per quello che certamente aveva contenuto droga), ricavandosene l’accuratezza del confezionamento che non aveva lasciato tracce.
I giudici di merito, sulla base delle suddette risultanze hanno concordemente ritenuto la responsabilità concorsuale di NOME nella detenzione della sostanza stupefacente
NOMECOGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandolo ai seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, censura la decisione impugnata per violazione di legge e radicale e vizio di motivazione, osservando che, il giudice di prime cure, redigeva la motivazione depositata nel termine riservato, in difformità rispetto alle statuizioni contenute nel dispos letto in udienza.
In particolare, nel dispositivo letto in udienza, il Tribunale riconosceva le circosta attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e determinava la pena finale in anni e mesi 6 di reclusione ed euro 9000 di multa. La sentenza, depositata nel termine riservato di giorni 90, sia nella parte motiva che nel dispositivo, indicava la pena detentiva finale in tre di reclusione, escludendo le circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente osserva che la Corte di appello, nel confermare la decisione risultante d testo della sentenza depositata nel termine riservato, ha operato una reformatio in peius, discostandosi dal dispositivo letto in udienza dal Tribunale, al quale avrebbe dovuto essere accordata prevalenza.
Inoltre, si contesta che il giudizio sulla recidiva non sia stato affatto motivato, in q circoscritto all’indicazione di precedenti penali molto risalenti nel tempo e non indicati maggiore pericolosità dell’autore.
Il mero richiamo alla biografia criminale dell’autore e il ricorso a formule di stil sarebbero sufficienti alla verifica richiesta per l’accertamento della maggiore pericolosità soggetto che caratterizza la recidiva secondo i criteri delineati dalla Corte di legittimità.
2.2 Con il secondo motivo, censura la decisione impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale omesso di dichiarare, sebbene sollecitata in t senso, l’estinzione del reato per prescrizione.
Osserva che tenuto conto della pena edittale massima prevista per il reato contestato (anni sei di reclusione), aumentata di 1 /2 per la recidiva reiterata, e considerato l’aumento a seguito della interruzione, il reato accertato il 21 ottobre 2010 sarebbe caduto in prescrizi in data antecedente alla decisione in grado di appello pronunciata il 14 novembre 2024.
2.3 Con il terzo motivo, lamenta l’illogicità della motivazione e la violazione di legg ordine all’affermazione di penale responsabilità, pur in assenza di prova sull’element oggettivo della fattispecie, e precisamente riguardo alla presenza di droga nel bidone vuoto sequestrato.
Gli stessi vizi vengono denunciati con riferimento al diniego della richiesta riqualificaz del fatto nelle ipotesi di lieve entità.
Rileva in proposito che il bidone che avrebbe contenuto la sostanza stupefacente, era stato trovato vuoto e privo di tracce riconducibili all’occultamento di droga all’interno.
In ogni caso la radicale assenza di prova in ordine al quantitativo e al principio at presente avrebbe dovuto comportare l’applicazione della più favorevole disciplina di cui a comma 5 dell’articolo 73 d.P.R. 309/90.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
il difensore dell’imputato ha depositato memoria di replica, con allegati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è fondato nella parte in cui lamenta che i giudici di merito si sia discostati dal dispositivo letto in udienza, aggravando la sanzione irrogata.
1.1 Occorre preliminarmente dare atto del fatto che il dispositivo letto in udienza dal pri giudice risulta così formulato: “visti gli artt. 533 e 535 cpp dichiara NOME COGNOME responsabile del reato a lui ascritto in rubrica e ritenute le circostanze attenuanti generich regime di equivalenza rispetto alla contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed euro 9.000 di multa …”.
Nel dispositivo riportato in calce alla sentenza depositata nel termine riservato, a cu conformava anche la motivazione, si legge, invece: ” visti gli artt. 533 e 535 cpp dichia NOME NOME responsabile del reato a lui ascritto in rubrica e, per l’effetto, ritenuta contestata recidiva contestata, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione ed euro 9.000,00 di multa .”.
Sussiste, dunque, una effettiva discrasia tra il dispositivo letto in udienza e qu riportato in sentenza.
Ciò posto, va ricordato che la regola generale, suscettibile di eccezioni, è nel senso ch nel caso di difformità tra dispositivo e motivazione, il primo prevale sulla seconda, in quant dispositivo costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la volontà della legge ne concreto, mentre la motivazione ha una funzione esplicativa della decisione adottata (Sez. 2, n. 15986 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266717 – 01; Sez. 3, n. 37849 del 19/05/2015, D.G., Rv. 265183 – 01).
Questo principio, come anticipato, è suscettibile di essere derogato in quanto, secondo un condivisibile e consolidato orientamento, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione no contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, qu
parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materi obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, g essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (v., e pl., Sez. 3, Sentenza n. 3969 del 25/9/2018 (dep. 2019), B., Rv. 275690; Sez. 2, Sentenza n. 13904 del 9/3/2016, Palumbo, Rv. 266660; Sez. F, n. 47576 del 9/9/2014, COGNOME, Rv. 26140201. V. anche Sez. 2, n. 23343 del 1/3/2016, Ariano e altri, Rv. 267082; Sez. 4, n. 43419 del 29/9/2015, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Questa deroga opera, quindi, a condizione che effettivamente la motivazione consenta di ricostruire la volontà del giudice, rendendo immediatamente riconoscibile un errore materiale, e non invece quando, come nel caso di specie, ciò non sia possibile.
Infatti, la difformità riscontrata non corrisponde a un evidente errore materiale ma al formulazione di un diverso giudizio in ordine al riconoscimento delle attenuanti generiche e a giudizio di bilanciamento con la recidiva.
Occorre pertanto dare prevalenza alla determinazione della pena fissata nel dispositivo letto in udienza, dalla quale la sentenza di appello si è discostata, confermando la maggio pena inflitta dal Tribunale nella stesura della sentenza depositata nel termine riservato.
La Corte di appello pertanto ha sbagliato nel confrontarsi con il dispositivo della sentenz testo; avrebbe dovuto confrontarsi con il dispositivo letto in udienza che, essen “sostanzialmente” diverso, è da ritenersi prevalente e non emendabile, atteso che la discrasia non è equiparabile ad un mero errore materiale riconoscibile come tale.
1.2 Sulla pena contenuta nel dispositivo letto in udienza, da ritenersi prevalente per motivi sopra esposti, deve ritenersi che si sia formato il giudicato interno, in dife impugnazione da parte del P.M..
Non può essere accolta la tesi prospettata dal Procuratore Generale, secondo cui la questione risulterebbe preclusa per il fatto che non è stata oggetto di motivo di appello.
La conferma della statuizione contenuta nella sentenza-testo depositata nel termine riservato infatti, in quanto rappresentativa di una reformatio in peius, rispetto alla suindicata statuizione prevalente, è infatti rilevabile d’ufficio.
Osserva la Corte che la statuizione contenuta nel dispositivo letto in udienza non poteva essere oggetto di modifica, se non in melius, non avendo il pubblico ministero impugnato quella statuizione, coperta dal giudicato interno parziale e, per l’effetto, dal consegu divieto di reformatio in peius.
Al GLYPH riguardo GLYPH si GLYPH aderisce GLYPH all’orientamento GLYPH recentemente GLYPH ribadito GLYPH da GLYPH Sez. 1, sent. n. 5517 del 30/11/2023 ( Rv. 285801 – 02, in motivazione sub paragrafo 4 del
“Considerato in diritto”) secondo cui, ancorché il ricorrente non abbia eccepito la violazione divieto di reformatio in peius, la stessa debba essere rilevata d’ufficio.
Si è osservato che , mentre la preclusione declinata dall’art. 649 cod. proc. pen. per il ca di sentenza divenuta irrevocabile può essere, per espressa previsione della legge, rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, manca per il c.d. «giudicato interno» una egu disposizione legislativa.
Tuttavia, siccome il secondo comma dell’art. 649 cod. proc. pen. deve ritenersi espressione di un più generale principio processuale volto a regolare gli effetti del giudic (sotto qualunque forma questo si presenti, esterno od interno, esplicito od implicito), non pa possa dubitarsi dell’esattezza dell’affermazione secondo la quale l’esistenza del giudicato formatosi nel corso dello stesso giudizio (c.d. giudicato interno) e dei conseguenti eff preclusivi che ne derivano – può essere rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del processo.
E ciò anche per una seconda ragione che impone l’intervento officioso e che può probabilmente ritenersi idonea a regolare tutti i casi in cui il divieto di reformatio i esplica i propri effetti.
Si è visto come la Corte Edu (Sezione IV, Greco c. Italia, cit.) abbia affermato ch l’articolo 597, comma 3, cod. proc. pen., benché introdotto nel codice di rito, può esse considerato una disposizione di diritto penale materiale, in quanto verte sulla severità de pena da infliggere quando l’appello è stato interposto unicamente dall’imputato (si vedano, mutatis mutandis, Scoppola (n. 2) , n. 10249/03, §§ 110-113, e, a contrario, Previti c Italia (dec.), n. 1845/08, §§ 78-80, 12 febbraio 2013).
La giurisprudenza europea è ferma nel ritenere che la nozione di «diritto» («law») utilizzata nell’articolo 7 della Convenzione corrisponde a quella di «legge» che compare in alt articoli della Convenzione: essa include tanto il diritto di derivazione legislativa quanto il di derivazione giurisprudenziale, e implica delle condizioni qualitative, tra cui q dell’accessibilità e della prevedibilità (E.K. c. Turchia, n. 28496/95, § 51, 7 febbraio 2 Queste condizioni qualitative devono essere soddisfatte sia per quanto riguarda la definizione di un reato che, per quanto riguarda la pena per quest’ultimo stabilita (Del Rio Prada c. Spagna , n. 42750/09, § 91, CEDU 2013).
Ciò premesso, essendo la norma che prevede il divieto della reformatio in peius una disposizione appartenente, secondo la Corte europea, al diritto penale materiale, qualora i giudice nazionale, nell’interpretazione dell’articolo 597, comma 3, cod. proc. pen., violi il della legge, infliggendo una pena che eccede i limiti fissati dalla disposizione violata, una interpretazione si presta ad essere incompatibile con il diritto europeo e, dunque, a viol l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.”
1.3 Chiarito che, per quanto rileva nel presente procedimento, la violazione del divieto reformatio in peius nel giudizio di rinvio è rilevabile d’ufficio, per le ragioni in pre esposte, la sentenza va allora annullata senza rinvio con la conseguente rideterminazione, ai
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sensi dell’art.620, comma 1, lettera I), cod. proc. pen., del trattamento sanzionatorio applica all’imputato.
Infatti, le pur sussistenti antinomie tra motivazione della sentenza e dispositivo lett udienza escludono che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio, per la semplice ragione che il giudice del rinvio non potrebbe applicare al ricorrente una pena inferiore a quella indicata nel dispositivo letto in udienza (stante l’inammissibilità – per q si dirà appresso – della censura attinente al trattamento sanzionatorio, sotto l’unico pro della ritenuta recidiva ).
Deve, pertanto, farsi applicazione del principio fissato nell’art. 620, comma 1, lettera cod. proc. pen. con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rideterminazione della pena finale nella misura indicata nel dispositivo letto in udienza.
Inammissibile è la censura attinente alla contestazione della recidiva, atteso che il motiv di appello riguardante tale profilo, risultava affetto da assoluta genericità e aspecif (essendo stato così formulato: “Da pendant la contestazione immotivata della recidiva in difetto di una pregressa contestazione di recidiva e dei presupposti previsti dall’art.99 c c.p.”).
Si rammenta in proposito che l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità motivi rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnat rilevabile anche nel giudizio di cassazione, a norma dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8825 del 27 ottobre 2016, Rv. 268822; Sez. 3, n. 38683 del 26 aprile 2017 Rv. 270799 – 01).
2. Il secondo motivo è infondato.
L’art. 157, comma 2, cod.pen. stabilisce che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tenta tenendo conto del solo aumento per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale. Fra queste rientra, ai sensi dell’art. 63, comma 3, ultima parte, cod.pen., la contestata recidiva reite (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, P.G. in Proc. Indelicato, Rv. 249664).
L’art. 157, comma 3, cod.pen. precisa che: « Non si applicano le disposizioni dell’art. 6 cod.pen. e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma», sicché, secondo la linea ermeneutica di questa Corte regolatrice, ai fini del computo del termine di prescrizione, deve ritenersi “applicata” la recidiva anche se considerata equivalent o subvalente nel giudizio di bilanciamento con le attenuanti concorrenti (Sez. 5, n. 48891 del 20/09/2018, COGNOME, Rv. 274601; Sez. 2, n. 21704 del 17/04/2019, COGNOME Rv. 275821; Sez. 7, n. 15681 del 13/12/2016 – dep. 29/03/2017, COGNOME, Rv. 269669).
Tanto si giustifica perché «all’atto del giudizio di comparazione, l’azione dell’applicar recidiva si è già esaurita, perché altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario:
recidiva ha comunque esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi sian stati dal giudice ritenuti equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, in as delle quali, però, la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena» (Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, P.G. in proc. Filosofi, Rv. 267044).
L’art. 161, comma 2, cod.pen. stabilisce, inoltre, che, in nessun caso l’interruzione del prescrizione può comportare l’aumento della metà del tempo necessario a prescrivere nel caso di cui all’art. 99, comma 2, cod.pen.; norma, questa, interpretata dalla nomofilachia (Sez. 3, 50619 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 271802; Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 268224; Sez. 2, n. 13463 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266532) nel senso che la recidiva reiterata incide due volte sulla determinazione del termine di prescrizione, dapprim quanto al computo del termine-base in riferimento alla pena edittale massima, poi quanto all’entità della proroga del predetto termine in presenza di eventi interruttivi.
Donde la contestata e ritenuta recidiva reiterata incide sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157, comma 2, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, e sull’entità della proroga di detto tempo, in presenza di atti interruttivi, ex art.161, com cod.pen., senza che ciò comporti una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
Applicando le norme e i principi sopra richiamati al caso in esame, devesi rilevare come i termine di prescrizione del delitto contestato all’imputato non sia ancora decorso, dovendo essere ricalcolato come segue: – anni sei per il reato accertato; – aumentato ad anni 9 per l recidiva reiterata; – ulteriormente aumentato di 1/2 ex art. 161 cod. pen. ad anni 13 e mesi 6. Ne consegue che il reato in questione, tenuto conto dei periodi di sospensione (rinvii pe legittimo impedimento: dal 20/01/2015 al 19/05/2015 – dal 20/06/2017 al 12/12/2017; rinvii per adesione del difensore all’astensione dalle udienze: dal 18/2/2014 al 20/01/2015 – dal 26/06/2018 al 20/11/2018 – dal 20/11/2018 al 12/03/2019: dal 28/01/2020 al 9/06/2020), non è ancora caduto in prescrizione.
3. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile.
A fronte dei rilievi esposti, appare opportuno rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutt della motivazione della Corte di merito, derivante dalla presenza di argomenti viziati d evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormont incongruenze tra loro ovvero.
Può assumere rilievo in tal senso anche il fatto che il decidente non abbia tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la lor rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radical
incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, COGNOME ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, COGNOME ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. COGNOME ed altri, Rv. 234989).
Pertanto, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei ca in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell’uno e nell’altro caso quando tali prove siano in determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata.
D’altro canto, il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli a processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenut probatorio, tanto più se articolate in concreto, ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenern apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 – dep. 24/03/2015, COGNOME, Rv. 262948).
3.1 Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricostruito la vicenda che occupa ne seguenti termini, sulla base delle intercettazioni dei colloqui in carcere.
Nel corso di tali colloqui, COGNOME NOME e NOME discutevano dello stupefacente occultato nei bidoni. Nella circostanza, il primo si rammaricava di non aver seguito il prop presentimento, maturato proprio qualche giorno prima della perquisizione, nel provvedere ad occultare la droga, presagendo l’intervento dei carabinieri, ed il secondo, in seguito a t affermazione, lo redarguisce sottolineando l’errore commesso dal nipote di non aver dato ascolto alle sue parole.
L’odierno imputato, prosegue il Tribunale, oltre ad essere perfettamente consapevole dell’attività del nipote COGNOME, delle modalità di occultamento dello stupefacente e delle s rilevanti quantità (è proprio lui a introdurre l’argomento del secondo bidone (“chidd’autru”) e necessità di procedere al più presto alla rimozione prima del suo rinvenimento e a ribadire l’utilità di tale suggerimento, rimasto purtroppo per tutti loro inascoltato), si fa promot iniziative dirette ad impedire ulteriori azioni di ricerca e reperimento della droga “scampa alla perquisizione e, prima, contenuta nel secondo bidone interrato.
NOME NOME infatti, nel primo colloquio si fa promotore egli stesso della rimozione e trasporto del bidone, oramai vuoto, e ribadisce la necessita che renga comunque dissotterrato e spostato, al fine di evitare ulteriori indagini sul suo effettivo contenuto
rischio di stimolare la ricerca della sostanza stupefacente in esso precedentemente contenuta ed occultata appena in tempo.
La circostanza – secondo i giudici di merito – trova conferma nel colloquio del 9 novembre
2010, nel quale, dalla voce del piccolo NOME COGNOME emerge che lo zio NOME, abbia continuato ad interessarsi attivamente alla vicenda, avendo dato ordine di rimuovere il
secondo bidone, vuoto ed ancora interrato, al chiaro fine di evitare che su di esso potessero essere compiuti ulteriori accertamenti che disvelassero scientificamente il contenuto illecit
già comprovato dal forte odore di marjuana percepito nell’immediato dai C.C. presenti alla sua apertura (cfr. dichiarazioni del teste COGNOME ud. del 24.01.2017 p. 9).
Ulteriore conferma al fatto che anche il secondo bidone conteneva sostanza stupefacente come il primo, è stata ricavata dal colloquio del 28 dicembre 2010, nel quale si regist
l’affermazione dell’NOME di “averla nascosta”, facendo egli prima riferimento a “quella dietro la casa” e poi all’averla occultata in un luogo non precisato (“e a mucciai dha”),
conosciuto ai conversanti.
A fronte delle suddette emergenze, il ricorrente propone una differente ricostruzione in fatto non consentita in questa sede.
Quanto alla qualificazione giuridica, il Tribunale ha ritenuto di non poter ricondurre i nella fattispecie di cui al quinto comma dell’art. 73 del DPR 309/1990, dovendosi valutare complessivamente l’intera condotta dell’imputato, che oltre ad essere diretta ad occultare un quantitativo di stupefacente contenuto in un bidone identico al primo (da 250 litri al cui inte erano custoditi ben 27 kg di droga, quantità di certo consistente), il cui contributo riv rilevanza determinante nella protrazione della illecita detenzione di quanto non rinvenuto per recuperarlo in tempi più sicuri, occultando qualsiasi traccia che possa disvelare ag investigatori la reale portata dell’attività criminale di detenzione illecita di stupefacen anche a coinvolgere nelle attività necessarie a ciò volte anche minori.
Anche in tal caso, la differente prospettazione formulata dal ricorrente, secondo cui i assenza di prova del concreto quantitativo presente nel bidone, presuppone una diversa ricostruzione in fatto e, in ogni caso risulta aspecifica, perché non affronta il qu complessivo considerato dai giudici di merito per escludere l’ipotesi lieve.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla misura della pena detentiva, rideterminata in anni due e mesi sei di reclusione; per il resto ricorso deve essere rigettato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena detentiva che ridetermina in anni due e mesi sei di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 5 marzo 2025