Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20007 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20007 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Oggi,
COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA;
21 MAG. 2024
avverso la sentenza n. 1275 della Corte dì appello dì Bari del 13 marzo 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari ha, con sentenza del 13 marzo 2023, integralmente confermato la precedente decisione con la quale, in data 14 aprile 2021, il Tribunale di Foggia, in esito a giudizio celebrato nelle forme ordinarie, aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990, per avere detenuto sostanza stupefacente del genere marijuana, per una quantità complessivamente pari a gr 1.642,306, avente una quantità di principio attivo (delta 9 tetraidrocannabinolo) pari a poco più di 29 gr, idoneo per la preparazione di 1.160 dosi medie singole, che, sebbene derivante dalla Cannabis sativa L per uso industriale, era insuscettibile di commercializzazione in quanto dotata di efficacia drogante, apparendo, tuttavia, in funzione delle modalità di confezionamento e della sua quantità, destinata alla cessione a terzi.
Con la citata sentenza la Corte territoriale aveva, altresì, confermato la pena irrogata in primo grado a carico dell’imputato, determinata, essendo state riconosciute in favore del prevenuto le circostanze attenuanti generiche, nella misura di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa; la condanna era corredata dalla sospensione condizionale della esecuzione della pena.
Avverso la sentenza de qua ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, affidando le proprie doglianze a due motivi di impugnazione.
Un primo motivo di ricorso concerne, con riferimento alla ritenuta violazione di legge ed al difetto di motivazione, per non avere i giudici del merito escluso la rilevanza penale della condotta attribuita all’imputato, in ragione del fatto che lo stesso ignorava la circostanza che la sostanza stupefacente da lui detenuta – costituita dalle infiorescenze di Cannabis saliva L delle quali, a determinate condizioni è consentita, sulla base della normativa contenuta nella legge n. 242 del 2016, la detenzione e l’utilizzo a determinati fini anche commerciali – fosse dotata di capacità psicotrope.
Col secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato la circostanza che il giudice del gravame non abbia rilevato l’errore in cui era incorso il giudice del primo grado il quale, nella motivazione della sentenza da lui pronunziata aveva indicato la pena detentiva alla cui espiazione era stato condannato lo COGNOME in anni 1 e mesi 2 di reclusione, pena risultante dalla riduzione della pena base, quantificata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, mentre
nel dispositivo la pena era stata direttamente indicata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, senza alcuna riduzione; come detto il giudice del gravame confermava la sentenza di primo grado, indicando la pena a quello inflitta appunto in anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa, facendo, tuttavia, riferimento ad una riduzione legata al riconoscimento della attenuanti generiche la cui operatività è stata, però, limitata alla pen pecuniaria, essendo stata questa indicata, quanto alla pena base in euri 3.000,00, ridotta ex art. 62-bis cod. pen., alla risultante pena di euri 2.500,00 di multa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato solo in parte fondato, deve essere accolto per quanto di ragione.
Con riferimento al primo motivo di ricorso si rileva che esso riguarda la pronunzia confermativa della affermazione della penale responsabilità del prevenuto, il quale, è in caso di rimarcarlo, è imputato per avere detenuto, all’interno di un esercizio commerciale da lui gestito una quantità di sostanza stupefacente del tipo marijuana, il cui peso è pari a gr 1642,26 e dalla quale è possibile trarre oltre 1.150 dosi medie singole dotate di effetto psicotropo.
Tale rilievo rimuove in radice uno degli argomenti dedotti dal ricorrente, il quale ha lamentato il vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorso i giudice del merito nell’affermarne la penale responsabilità anche in ordine alla detenzione di infiorescenze di Cannabis sativa L che, per la scarsissima concentrazione di principio attivo in esse contenuto sarebbero, di fatto, inidonee a determinare alcun effetto stupefacente sull’eventuale consumatore; come, invece, la Corte di appello ha ben chiarito, la responsabilità dello COGNOME è limitata alla detenzione del minore compendio di infiorescenze che, dall’esame tossicologico su di esso eseguito, ha dimostrato possedere una percentuale di THC superiore, in determinati casi anche in misura assai marcata, alla soglia dello 0,6%.
Ciò posto, osserva il Collegio che, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, consolidata e tuttora condivisa, la vendita e la commercializzazione al pubblico dei derivati della Cannabis sativa L integrano il reato di cui all’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, anche laddove gli stess presentino un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, della legge n. 242 del 2016, salvo il caso in cui tali derivati siano concreto privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, posto che in tale caso la
condotta posta in essere deve intendersi priva del requisito necessario della offensività (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 settembre 2022, n. 33101, nella quale si distingue, opportunamente, fra sostanze contenenti THC e sostanze contenenti cannabidiolo; Corte di cassazione, sezioni unite penali, 10 luglio 2019, n. 30475).
Nel caso ora in esame è sicuro che i prodotti detenuti dallo COGNOME per la loro commercializzazione, fossero, data la percentuale di THC in essi presenti, idonei a spiegare effetti psicotropi.
Né può aderirsi alla tesi esposta dalla ricorrente difesa, secondo la quale la condotta dell’imputato doveva essere scriminata in quanto frutto di un suo errore in relazione alla presenza del citato principio attivo.
Invero, anche a volere dare credito alla tesi del ricorrente, l’errore da lui, in via del tutto ipotetica, commesso, non sarebbe un “errore di fatto” o “sul fatto”, che, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità escludendo la ricorrenza del dolo.
Quest’ultimo consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base (Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 gennaio 2022, n. 1780); nella presente circostanza ci si troverebbe di fronte, semmai, ad un errore sulla portata della norma penale, avendo il ricorrente ritenuto che la rilevanza penale della commercializzazione dei prodotti della Cannabis sativa L fosse condizionata non dalla presenza in essi della efficacia psicotropa ma dalla percentuale inferiore allo 0,6% di principio attivo (THC) presente in essi.
Trattandosi, pertanto, di errore sulla portata e sulla struttura dell norma precettiva penale, esso non ha alcuna valenza tale da escludere la punibilità della condotta posta in essere.
Fondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione.
Con esso è censurata la sentenza della Corte di appello in quanto con essa è stato rigettato il motivo di gravame avente ad oggetto la conferma della entità della sanzione detentiva irrogata a carico dell’imputato.
Avendo, infatti, in sede di gravame la difesa dello COGNOME lamentato il fatto che, nella motivazione della sentenza allora impugnata, la pena inflitta a carico di quello era sta ta indicata, quanto alla pena detentiva, in anni 1 e mesi 2 di reclusione, laddove in sede di dispositivo la stessa era stata
seccamente, quantificata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, la Corte di appello, investita da uno specifico motivo di impugnazione, ha rigettato la lagnanza affermando che l’errore materiale in cui era incorso il giudice di primo grado doveva ritenersi afferente alla motivazione della sentenza e non al dispositivo di essa, dovendosi ritenere il contenuto dì questo, essendo esso espressione della volontà decisoria del giudicante, prevalente rispetto alla motivazione.
Osserva il Collegio che il principio esposto dalla Corte pugliese, pur in astratto corretto, non è pertinente rispetto al caso ora in esame.
Infatti, più volte questa Corte ha effettivamente affermato che, laddove vi sia un contrasto fra il dictum contenuto nel dispositivo della sentenza e le ragioni esplicative di esso riportate nella motivazione della medesima, deve essere data preferenza il primo in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice destinata a prevalere sul momento meramente giustificativo di essa (in tale senso, fra le altre e per tutte: Cort cassazione, Sezione VI penale, 20 febbraio 2017, n. 7980).
Una tale regola è, però, caratterizzata dalla non automatica assolutezza; essa, in particolare deve recedere laddove la motivazione della decisione, la quale conserva e spiega la sua funzione di chiarimento delle ragioni della decisione, contenga degli elementi logici e certi che inducano a ritenere che l’orrore si annidi nel dispositivo ovvero in parte di esso (Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 gennaio 2019, n. 3969); è stato, peraltro, rilevato che la regola della prevalenza del contenuto del dispositivo rispetto agli elementi ricavabili dalla motivazione è inapplicabile ove dal primo possano derivare risultati più favorevoli all’imputato rispetto al contenuto della motivazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 gennaio 2023, n. 2351), dovendo, per converso, ritenersi che tale regola non sia assoluta nel caso opposto; ancora è stato precisato che il principio per cui l’atto che estrinseca la volontà del giudice è solo il dispositivo, che non può subire modifiche, integrazioni o sostituzioni con la motivazione, è valido solo quando il dispositivo è formato e pubblicato in udienza prima della redazione della motivazione e non quando dispositivo e motivazione sono formati e pubblicati in un unico contestuale documento, con la conseguenza che, in tal caso, è legittimo interpretare o integrare il dispositivo sulla base della motivazione (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 2 dicembre 2019, n. 48766).
Ove si applichino le descritte regole alla fattispecie in esame, si rileva quanto segue: è pacifico che, quale che ne sia l’oggetto, il giudice di primo grado è incorso in un errore, avendo indicato nel dispositivo della sentenza da
lui pronunziata la pena in concreto da irrogare a carico dello COGNOME in anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa mentre nel corpo della motivazione della medesima sentenza si rileva che la pena inflitta allo stesso è, quanto alla pena base, pari ad anni 1 e mesi 6 di reclusione ed eurí 3.000,00 di multa, da diminuire, in misura non massima, sino alla pena in concreto di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed eurí 2.500,00 di multa.
Il primo rilievo è che, pertanto, l’eventuale riscontro della erroneità del dispositivo della sentenza impugnata si risolverebbe in un consentito intervento volto a rendere più mite la sanzione inflitta al ricorrente.
Va, altresì, segnalato che la motivazione della sentenza emessa dal giudice di primo grado è stata una cosiddetta “motivazione contestuale” nel senso che i suoi motivi sono stati depositati unitamente al dispositivo sì da potere essere considerati una efficace chiave di lettura di quest’ultimo.
Fatti questi rilievi, si osserva che nell’occasione, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di Bari, il testo della sentenza impugnata di fronte alla Corte territoriale – facendo riferimento ad una pena base, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, applicando queste con riferimento alla sola pena pecuniaria – fornisce adeguati elementi non liquidabili (come, invece, fatto dalla Corte di appello) attraverso il semplice richiamo ad un rigoroso indirizzo giurisprudenziale (senza peraltro che ci si sia avveduti che lo stesso, appunto, ammette delle giustificate deroghe), onde ritenere che l’errore non fosse nella motivazione della sentenza ma nel dispositivo della stessa; questa deve, pertanto, essere annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio detentivo irrogato in danno del ricorrente, con rinvio di fronte ad altra Sezione della Corte di appello di Bari che, in applicazione degli esposti principi& provvederà – definitivamente ferma restando l’affermazione della penale responsabilità di quello in relazione al reato ritenuto dai giudici del merito – nuovamente a dosare la pena congrua nei confronti del prevenuto.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente