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Disparità di trattamento: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile, per genericità, il ricorso di un indagato in custodia cautelare per narcotraffico. L’indagato lamentava una disparità di trattamento rispetto ad altri coindagati, la cui misura era stata revocata o sostituita. La Corte ha ribadito che, sebbene un trattamento diverso possa costituire un fatto nuovo, non vi è alcun automatismo. È necessario dimostrare una piena identità di posizioni, cosa che il ricorrente non ha fatto, limitandosi a una richiesta generica di rivalutazione.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disparità di trattamento: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26384 del 2025, affronta un tema cruciale nell’ambito delle misure cautelari: la disparità di trattamento tra coindagati. La pronuncia stabilisce che un ricorso basato su tale motivo è inammissibile se non supportato da elementi concreti che dimostrino una perfetta identità di posizioni, ribadendo la necessità di una valutazione strettamente personalizzata delle esigenze cautelari.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui la partecipazione a un’associazione finalizzata al narcotraffico. L’indagato aveva presentato appello al Tribunale per ottenere la revoca o la sostituzione della misura, lamentando principalmente due aspetti: la mancanza di un pericolo attuale di reiterazione del reato e, soprattutto, la disparità di trattamento rispetto ad altri coindagati ai quali la medesima misura era stata revocata o sostituita. Il Tribunale aveva rigettato l’appello, spingendo la difesa a ricorrere in Cassazione.

La Decisione sulla Disparità di Trattamento

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per genericità. I giudici hanno chiarito che, sebbene la modifica della misura cautelare per un coindagato possa teoricamente costituire un “fatto nuovo sopravvenuto”, non esiste alcun automatismo che imponga l’estensione di tale beneficio ad altri. La valutazione delle esigenze cautelari, in particolare del pericolo di recidiva, è un’operazione che deve essere condotta in modo rigorosamente personalizzato.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato l’esistenza di un “giudicato cautelare” sulla posizione dell’indagato, formatosi con una precedente sentenza della stessa Cassazione. Ciò significa che la valutazione sulla gravità degli indizi e sulla sussistenza del rischio di recidiva non poteva essere riaperta in assenza di elementi realmente nuovi.

Il punto centrale della motivazione, tuttavia, riguarda proprio la disparità di trattamento. La Corte ha affermato che, per poter invocare con successo tale principio, il ricorrente ha l’onere di offrire elementi specifici e concreti che dimostrino una “piena identità” tra la sua posizione e quella dei coindagati che hanno beneficiato di un trattamento più favorevole. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a sollevare la questione in modo generico, sollecitando una rivalutazione del quadro cautelare senza però fornire alcuna prova a sostegno dell’asserita identità di situazioni. La giurisprudenza è chiara: la posizione di ciascun indagato è autonoma e deve essere valutata singolarmente.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale del diritto processuale penale: l’onere della specificità dei motivi di ricorso. Invocare la disparità di trattamento non è sufficiente; è indispensabile argomentare in modo dettagliato, provando che le situazioni messe a confronto sono sovrapponibili. La decisione serve da monito: la valutazione del pericolo di recidiva è strettamente legata alla personalità dell’indagato e al suo ruolo specifico nel contesto criminale contestato, e non può essere appiattita su quella di altri soggetti coinvolti nello stesso procedimento.

Un trattamento più favorevole concesso a un coindagato può giustificare la mia scarcerazione?
Sì, può essere considerato un ‘fatto nuovo sopravvenuto’ che giustifica una nuova valutazione, ma non garantisce un’estensione automatica del beneficio. La decisione dipende da una valutazione personalizzata della sua posizione.

Cosa devo dimostrare per ottenere lo stesso trattamento di un coindagato?
È necessario fornire elementi specifici e concreti che provino una ‘piena identità’ tra la sua posizione e quella del coindagato che ha ricevuto un trattamento più favorevole. Una richiesta generica, senza queste prove, verrà considerata inammissibile.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile per ‘genericità’, poiché il ricorrente si è limitato a lamentare una disparità di trattamento senza offrire alcun elemento concreto per dimostrare che la sua situazione fosse identica a quella degli altri coindagati, rendendo impossibile per la Corte effettuare un confronto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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