Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3328 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3328 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN PIETRO VERNOTICO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 28 febbraio 2023 della Cort di appello di Lecce che, quale giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod proc. pen., con riguardo:
ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefa e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi deg 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il primo commesso tra il 2009 e il 2010 Lecce e il secondo commesso da marzo 2009 con condotta perdurante in Lecce e provincia, giudicati dalla Corte di appello di Lecce con sentenza dell’il luglio definitiva ìl 13 settembre 2019;
2) ai reati di associazione di tipo mafioso e di associazione finalizzata al tra di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt. 416-bis cod. pen. e 74 T.U. s primo commesso fino al 18 novembre 2014 in Lecce e il secondo commesso da gennaio 2012 a marzo 2013 in Lecce e provincia, riuniti sotto il vincolo de continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Lecce con sentenza de giugno 2018, definitiva il 4 aprile 2019;
al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. commesso da giugno 2010 al 19 marzo 2013 in Lecce e provincia, giudicato dalla Corte di appello di Lecce con sentenza del 22 novembre 2017, definitiva il 1 giugno 2019;
a più reati di rapina ed estorsione (anche tentata), con l’aggrav dell’agevolazione mafiosa, ai sensi degli artt. 56, 628, 629 cod. pen. e 7 d maggio 1991, n. 152 (convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), commessi d luglio 2011 a luglio 2014 in Lecce, e ai reati di detenzione e porto illegale di ai sensi degli artt. 2 e 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, commessi il 20 sett 2011 in Lecce, giudicati dal G.i.p. del Tribunale di Lecce con sentenza del 5 apr 2016, definitiva il 14 marzo 2017;
5) ai reati di detenzione e porto di armi clandestine, ai sensi dell’art. 27 e quarto comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, commessi il 24 gennaio 2010 in San Pietro Vernotico, giudicati dal G.i.p. del Tribunale di Brindisi con sentenza 30 marzo 2010, definitiva il 4 maggio 2010;
6) al reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefa e di detenzione abusiva di armi, ai sensi degli artt. 73 d.P.R. 9 ottobre 199 309 e 697 cod. pen., commessi il 14 dicembre 2010 in Lecce, giudicati dalla Cort
di appello di Lecce con sentenza del 21 dicembre 2011, definitiva il 9 novembre 2012;
al reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 187 d.lgs 30 aprile 1992, n. 285, commesso il 7 agosto 2009 in Lecce, giudicato dal Tribunale di Lecce con sentenza del 27 settembre 2013, definitiva il 4 marzo 2014.
Il giudice dell’esecuzione, con un precedente provvedimento, aveva già riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati sub 1 e 6; successivamente, con l’ordinanza oggi impugnata, ha ravvisato la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso solo con riferimento ai reati sub 3 e 4 tra loro e con riferimento ai reati sub 1, 5 e 6 tra loro.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione, anche se la difesa aveva specificatamente allegato alla sua istanza gli elementi in forza dei quali poter ritenere sussìstente il medesimo disegno criminoso, avrebbe rigettato la richiesta senza offrire sul punto una valida motivazione.
In particolare, nel ricorso si contesta l’ordinanza impugnata, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione, dopo aver confuso i differenti concetti di “rialzo di dote” e di “rito di affiliazione” ed aver ritenuto che il mero innalzamento di grado del soggetto mafioso equivalesse a una sua nuova affiliazione, avrebbe erroneamente affermato che le realtà associative oggetto dei reati di cui all’istanza erano differenti e non collegate.
Secondo il ricorrente, invece, dalla lettura delle sentenze di condanna, si evinceva che le due associazioni – definite «sotto-clan della RAGIONE_SOCIALE» avevano agito nel medesimo territorio e che presentavano un’omogeneità strutturale e operativa (considerando che il clan riconducibile a COGNOME e quello riconducibile a COGNOME avevano agito, in forma di diarchia, all’interno di un contesto ontologicamente RAGIONE_SOCIALErio).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che l’istanza difettava della prova circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, che ricorre quando i singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’origine nelle linee essenziali per conseguire un determiNOME fine, al quale deve
aggiungersi, volta per volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma delinquenziale.
In modo plausibile il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che, dalla lettura delle sentenze di merito, si evinceva che il condanNOME era stato affiliato all’associazione capeggiata da COGNOME NOME sino al 14 dicembre 2010, quando, anche a seguito di contrasti sorti con quest’ultimo, lo stesso, su pressioni di NOME COGNOME, era entrato nella diversa associazione capeggiata da COGNOME NOME; tra le due associazioni, pertanto, non vi era stata alcuna continuità, posto che COGNOME aveva aderito al secondo sodalizio solo a seguito dei contrasti nati con NOME.
NOME, poi, a seguito dell’arresto di COGNOME avvenuto il 19 marzo 2013, dopo una breve parentesi durante la quale aveva controllato l’associazione RAGIONE_SOCIALEmente a NOME COGNOME, aveva effettuato il passaggio alla diversa associazione capeggiata da NOME COGNOME.
Secondo il giudice dell’esecuzione, anche tali due ultime associazioni non potevano considerarsi inserite in un contesto di continuità, posto che COGNOME aveva effettuato il passaggio alla nuova realtà associativa perché sollecitato dallo stesso COGNOME e dal suo socio, NOME COGNOME, e che, dalle stesse dichiarazioni di COGNOME, si evinceva che questi aveva dovuto effettuare un vero e proprio rito di affiliazione.
Pertanto, i singoli clan sopra evidenziati, anche se riconducibili ad un’unica ed egemone realtà associativa riconducibile alla cRAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE, erano del tutto autonomi tra loro, posto che ciascuna associazione era dotata di una propria organizzazione, di una propria attività, di una propria zona di controllo e di una diversa compagine associativa; COGNOME, inoltre, aveva svolto ruoli diversi all’interno delle differenti associazioni: nella prima era stato soggetto dedito all’attività d cessione, rivestendo un ruolo di minor rilievo rispetto a quello coperto negli altri gruppi associativi.
Secondo il giudice dell’esecuzione, inoltre, il fatto che le sopra evidenziate associazioni avessero stretto rapporti di alleanza o di contrasto tra loro confermava la reciproca autonomia delle stesse nello svolgimento delle diverse attività illecite.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, fornendo sul punto ampia motivazione, ha evidenziato che non vi erano elementi dai quali poter evincere che il condanNOME, sin dal momento in cui aveva aderito alla prima realtà associativa, avesse già preventivato di partecipare anche ai successivi sodalizi.
D’altronde, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la
valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, Napolitano, Rv. 268786).
La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/11/2023