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Disegno criminoso unico: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18505/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del disegno criminoso unico tra un reato di spaccio di stupefacenti e la successiva partecipazione a un’associazione criminale. La Corte ha sottolineato che una notevole distanza temporale (in questo caso, quattro anni) tra i reati e l’assenza di prove di un piano criminoso unitario sin dal primo reato escludono l’applicabilità dell’istituto della continuazione.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno criminoso unico: quando la distanza temporale esclude la continuazione

L’istituto della continuazione nel diritto penale permette di unificare più reati sotto un’unica pena, a condizione che siano legati da un disegno criminoso unico. Ma cosa succede quando tra un reato e l’altro intercorre un lungo periodo di tempo? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali, sottolineando che la sola natura ‘preparatoria’ di un reato non basta a dimostrare l’esistenza di un piano unitario iniziale.

I fatti del caso: dalla richiesta alla decisione della Corte d’Appello

Il caso nasce dal ricorso di un soggetto condannato per un reato legato agli stupefacenti (ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 309/1990) e, successivamente, per partecipazione a un’associazione criminale finalizzata al traffico di droga. L’interessato aveva richiesto al giudice dell’esecuzione, la Corte d’Appello, di riconoscere la continuazione tra i due reati. La sua tesi era che il primo reato fosse ‘prodromico’, ovvero preparatorio, al suo successivo ingresso nel sodalizio criminale, e che quindi entrambi facessero parte di un unico progetto delinquenziale.

La Corte d’Appello aveva respinto l’istanza, e avverso tale decisione il condannato ha proposto ricorso per cassazione.

Il ricorso e la verifica del disegno criminoso unico

Nel suo ricorso, l’imputato sosteneva che il giudice di merito avesse ignorato i criteri elaborati dalla giurisprudenza per identificare l’unicità del disegno criminoso. A suo dire, la natura dei reati dimostrava un collegamento logico e programmatico.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per ribadire i principi fondamentali che governano la materia. Il riconoscimento della continuazione, anche in fase esecutiva, richiede una verifica approfondita e rigorosa. Non è sufficiente una generica ‘scelta delinquenziale’, ma è necessario dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

I limiti degli indici rivelatori

La Cassazione ha chiarito che elementi come l’omogeneità dei reati, la similarità del bene giuridico protetto o la contiguità spazio-temporale sono solo ‘indici rivelatori’. Essi possono indicare una tendenza a delinquere, ma non provano, di per sé, l’esistenza di un disegno criminoso unico originario. La vera essenza dell’istituto risiede nell’aspetto intellettivo e volitivo: la previsione iniziale di commettere più azioni criminose per determinate finalità e l’elaborazione di un programma di massima.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su argomentazioni logiche e coerenti. Il punto centrale del ragionamento è stata la constatazione della notevole distanza temporale – ben quattro anni – tra il primo reato di spaccio e il successivo ingresso dell’individuo nell’associazione criminale. Questo lasso di tempo è stato considerato un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un’unica, antecedente risoluzione criminosa.

Secondo i giudici, il giudice dell’esecuzione ha correttamente applicato i principi di diritto, evidenziando come la distanza temporale minasse alla base l’idea di un piano unitario concepito sin dall’inizio. In particolare, per i casi di continuazione tra reato associativo e reati-fine, la giurisprudenza richiede che questi ultimi siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio. A maggior ragione, un reato commesso anni prima dell’ingresso nell’associazione non può essere considerato parte dello stesso piano.

Il ricorso è stato giudicato generico e non in grado di confrontarsi specificamente con la solida motivazione della Corte d’Appello. Di conseguenza, è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre un importante promemoria sui rigorosi requisiti per l’applicazione della continuazione. Non basta affermare un generico collegamento tra reati per ottenere il beneficio di un trattamento sanzionatorio unitario. È indispensabile fornire la prova concreta di un disegno criminoso unico, concepito prima della commissione del primo fatto illecito. Un significativo intervallo di tempo tra i reati rappresenta un forte ostacolo a tale dimostrazione, spostando l’onere della prova sul richiedente in modo ancora più gravoso. Per i professionisti del diritto, ciò significa che le istanze di continuazione devono essere supportate da elementi fattuali precisi e concordanti, capaci di superare la presunzione di autonomia delle diverse condotte criminali.

Quando può essere riconosciuta la continuazione tra reati?
La continuazione può essere riconosciuta solo quando si dimostra che, al momento della commissione del primo reato, i reati successivi erano già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, come parte di un unico piano criminoso.

Perché in questo caso è stato negato il disegno criminoso unico?
È stato negato principalmente a causa della notevole distanza temporale di quattro anni tra il primo reato (spaccio) e il successivo ingresso nell’associazione criminale. Questo intervallo è stato ritenuto incompatibile con l’esistenza di un’unica e antecedente risoluzione criminosa.

La somiglianza tra i reati è sufficiente per provare la continuazione?
No. Secondo la Corte, l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, così come la contiguità spaziale e temporale, sono solo indici rivelatori. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare che i reati siano frutto di un’unica deliberazione iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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