Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3816 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3816 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAMEZIA TERME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/10/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione, avverso l’ordinanza in preambolo, con la quale La Corte di assise di appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la sua istanza, intesa al riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione a reati separatamente giudicati in sede di cognizione e, nell’unico motivo deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in quanto il giudice a quo avrebbe disatteso l’uniforme giurisprudenza di legittimità in materia di criteri identificativi dell’unicità di disegno criminoso, sicuramente ravvisabile nella specie, posta la sua provata appartenenza all’associazione criminale di stampo mafioso con il ruolo di armiere dall’anno 2000 al 2017 (data di cessazione della permanenza);
ribadito il principio secondo cui, il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita e rigorosa verifica, onde riscontrare se effettivamente, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074-01) e che l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i quali, seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto di determinazioni volit risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094-01);
ricordato infine che il riscontro della serie di elementi rilevanti al fine di stabilire l’unicità di disegno criminoso – serie potenzialmente includente le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità delle azioni in rapporto alle abitudini di vita, e ogni altro aspetto in grado di riflettere l’unicità pluralità delle originarie determinazioni – è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamenti di fatto (Sez. 1, n. 354 del 28/01/1991, Livieri, Rv. 187740-01);
richiamato il principio secondo cui «È ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio» (fra molte, Sez. 1 n.23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430);
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ritenuto che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo degli anzidetti principi e ha dato argomentato conto della loro applicazione al caso concreto, evidenziando (p. 3 del provvedimento impugnato), in maniera esente da illogicità e incongruenze, gli elementi decisivi per escludere l’unicità di disegno criminoso e, segnatamente, il notevole divario temporale tra l’ingresso nel sodalizio giudicato con la sentenza sub 1) (anno 2000) e i reati in materia di armi di cui alla sentenza sub 2), invece commessi nel 2004, ponendo altresì in risalto come, con riferimento a tali ultimi reati, non fosse stata contestata l’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991, a dimostrazione dell’inesistenza di un’unica, antecedente, risoluzione criminosa e dell’irrilevanza del ruolo di custode delle armi pur svolto da COGNOME nel sodalizio di appartenenza;
considerato che – a fronte di tale congrua e logica motivazione – la difesa si è limitata a invocare l’erroneità della decisione del giudice dell’esecuzione, proponendo argomentazioni a-specifiche;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 settembre 2023
Il Consigliere estensore
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Il Pr sidente