Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22963 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22963 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 12/10/2023 della Corte di Appello di Catania; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale AVV_NOTAIO,
che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME formulava al giudice dell’esecuzione istanza ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., chiedendo riconoscersi il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:
sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 17/07/1998, irrevocabile dal 14/12/1999, di condanna alla pena di anni 17 di reclusione e £ 3.000.000 di multa per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e violazione delle norme sul controllo delle armi;
sentenza della Corte di Appello di Catania del 06/11/2020, irrevocabile dal 10/11/2023, di condanna alla pena di anni 10 e mesi 6 di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
La Corte di appello di Catania, con ordinanza del 12/10/2023, rigettava l’istanza, non ravvisando omogeneità tra i reati oggetto delle due sentenze, e
ritenendo che tra gli stessi fosse intercorso un intervallo temporale così ampio da precludere la configurabilità di un unitario disegno criminoso.
I difensori di COGNOME NOME hanno presentato in data 13/01/2024 ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza, articolando due motivi con i quali deducono l’inesistenza ovvero la manifesta illogicità della motivazione.
Si dolgono dell’omessa valorizzazione degli elementi che erano stati posti a fondamento dell’istanza, poiché i reati contestati al COGNOME erano maturati nel medesimo contesto promanante dalla sua affiliazione – risalente fin dagli anni ’80 – al sodalizio mafioso capeggiato da NOME COGNOME, nell’interesse del quale il condannato aveva perpetrato anche gli accertati reati inerenti le armi e gli stupefacenti.
Il Procuratore Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, essendo il provvedimento impugnato giustificato dalla diversa tipologia dei reati, dal lasso di tempo intercorso e dall’assenza di indici significativi della previa progettazione dei crimini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di reato continuato, l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla lu dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n, 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità de lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez.
5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413), tenendo presente che la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo che caratterizza il reato continuato, costituito dalla unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, COGNOME, Rv. 248862).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
La prova dell’unicità del disegno criminoso – ritenuta meritevole di un più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve dunque essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere, indici che, tuttavia, hanno un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo: l’accertamento, pur offìcioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni; esso è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti (Sez. 1, n. 5043 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.).
Ancora di recente, questa Corte ha ribadito che l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati, e che, al contempo, neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio non sarebbe conforme al dettato normativo, che parla soltanto di «disegno», e porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle situazioni
fatto e la loro possibile prevedibilità solo in via approssimativa: occorre, dunque, che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine, una programmazione che può essere anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di adattamento alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico scopo, prefissato e sufficientemente specifico (Sez. 1, n. 24202 del 23/02/2022, Cartanese, n.m.).
Con specifico riferimento alla configurabilità del vincolo della continuazione tra reati associativi quali quelli in relazione ai quali il COGNOME ha riportato condanna, questa Corte ha ripetutamente affermato che non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari · sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569), e che, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, il vincolo della continuazione tra i reati associativi può essere riconosciuto solo a seguito di una specifica indagine sulla loro natura, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375; Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, Napolitano, Rv. 268786; Sez. 6, n. 6851 del 09/02/2016, COGNOME, Rv. 266106). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nell’ambito di tale valutazione possono assumere rilievo anche i periodi di detenzione subiti, considerato che la pena detentiva, nel nostro sistema ordinamentale, è funzionale alla rieducazione ed al reinserimento del condannato nel tessuto sociale, che dovrebbe implicare la rescissione dei legami del condannato con ogni ambiente criminale. E, tuttavia, in materia di criminalità organizzata è stato più volte accertato che la detenzione non riesce ad interrompe la condotta partecipativa (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282661), sicché si è condivisibilmente affermato che il sopravvenuto stato detentivo non determina la necessaria e automatica cessazione della partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore
dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il “rischio” di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notaris, Rv. 269121). Con specifico riferimento alla rilevanza della carcerazione come evento interruttivo dell’unicità del disegno criminoso è stato, dunque, affermato che «nella fase esecutiva, la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea a escludere l’identità del disegno criminoso e non esime, pertanto, il giudice dalla verifica in concreto di quegli elementi in grado di rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni» (Sez. 1, n. 37832 del 05/04/2019, COGNOME NOME, P.v. 276842). Nella peculiare materia dell’associazione di tipo mafioso, inoltre, «il principio secondo cui l’identità del disegno criminoso del reato continuato viene meno per fatti imprevedibili, quali la detenzione o la condanna, non trova applicazione automatica, sicché, in tal caso, il vincolo della continuazione può essere egualmente riconosciuto se vi è prova che il segmento della condotta associativa successiva a un evento interruttivo, costituito da fasi di detenzione o da condanne, trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo in favore del sodalizio criminoso» (sez. 2, n. 16560 del 23/02/2023, Monti, Rv. 284525).
Si è, infine, statuito che l’unicità del disegno criminoso tra il reato associativo ed i diversi reati fine è configurabile solo quando questi ultimi – oltre a rientrare nell’ambito dell’attività del sodalizio criminoso e oltre ad essere finalizzati al suo rafforzamento – siano stati programmati, almeno a grandi linee, al momento dell’ingresso nell’associazione stessa (Sez. 1, Sentenza n. 1534 del 09/11/2017, Giglia, Rv. 271984).
L’applicazione dei principi fin qui rassegnati al caso di specie rivela la fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente.
Ed invero, nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. erano stati segnalati aspetti che il giudice dell’esecuzione non risulta avere in alcun modo preso in considerazione: elementi che, proprio alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale innanzi illustrato, possono assumere decisivo rilievo nell’indagine relativa all’accertamento dell’unicità del disegno criminoso.
Il ricorrente aveva, in particolare, valorizzato i passaggi delle sentenze irrevocabili e del giudicato di prevenzione (i relativi provvedimenti erano stati
allegati all’originaria istanza) nei quali si era accertato che il COGNOME era entrato a far parte fin dagli anni ’80 dell’associazione mafiosa guidata dal boss COGNOME, e si era evidenziata la sua «perdurante intraneità» al gruppo che, all’interno di quel clan, faceva riferimento alla famiglia COGNOME: si tratta d elementi che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto approfondire, onde verificare se, come sostenuto dal condannato,. dagli stessi potesse trarsi il convincimento che il COGNOME, sin dal suo risalente inserimento in quella organizzazione mafiosa, avesse previsto e programmato la sua intraneità al gruppo ed ai suoi affari illeciti, fra i quali quelli aventi ad oggetto le sostanz stupefacenti.
Meritevole di un più argomentato approfondimento è anche l’intervallo temporale tra i delitti per i quali è intervenuta condanna, poiché, se è vero che i fatti oggetto della prima sentenza furono commessi nella prima metà degli anni ’90, è vero anche che il delitto di associazione mafiosa oggetto della seconda sentenza è contestato come commesso «fino al maggio 2012», senza indicazione del dies a quo: non vi è, dunque, astratta incompatibilità con quanto prospettato dal ricorrente, ad avviso del quale anche il reato di cui alla sentenza sub 1) è riconducibile alla militanza del COGNOME nel clan mafioso RAGIONE_SOCIALE, risalente alla fine degli anni ’80 del secolo scorso.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il provvedimento impugnato dev’essere annullato con rinvio al giudice dell’esecuzione della Corte di Appello di Catania perché, in diversa composizione (Corte cost., sent. n. 183 del 9 luglio 2013), provveda a nuovo giudizio, emendando i rilevati vizi motivazionali, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania in diversa composizione.
Così deciso il 30/04/2024