Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23289 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23289 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo udito il difensore
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FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino riformava parzialmente in senso favorevole all’imputato la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino, in data 17.3.2021, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME, in relazione ai reati ascrittigli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’COGNOME, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancato riconoscimento della disciplina della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli per i quali è intervenuta sentenza di condanna a carico del ricorrente pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino in data 12.3.2021, in sede di giudizio abbreviato, passata in giudicato il 23.11.2021.
Con requisitoria scritta del 16.1.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga rigettato.
Il ricorso è fondato e va accolto per le seguenti ragioni.
5. Preliminarmente va chiarito che nei confronti del ricorrente si è proceduto per i reati contestati in ottanta capi d’imputazione, aventi a oggetto, oltre al reato associativo di cui al capo n. 1), nella maggior parte dei casi furti aggravati in concorso, consumati o in forma tentata. La corte territoriale ha dichiarato d’ufficio non doversi procedere nei confronti dell’imputato, per difetto di querela, in seguito alle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con riferimento ai reati contestati in trentatré degli ottanti capi di imputazione, specificamente indicati alla pagina 4 della sentenza oggetto di ricorso, procedendo alla conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, attraverso l’esclusione degli aumenti operati a titolo di continuazione per i reati per i quali è stata accertata la mancanza della condizione di procedibilità.
Con riferimento, poi, all’unico motivo di appello articolato dal prevenuto, volto a ottenere il riconoscimento della disciplina del reato continuato tra
i reati oggetto del presente procedimento e quelli di cui alla già citata sentenza di condanna pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino, in data 17.3.2021, oggetto di cinquantadue contestazioni, negato dal giudice di primo grado, la corte territoriale ha ritenuto di confermare tale decisione.
Rileva, invero, la corte di appello che, sebbene i furti e le rapine di cui l’COGNOME è stato chiamato a rispondere “presentino modalità simili (medesimo luogo di ritrovo, utilizzo di autovetture rubate per la commissione dei reati, occultamento della merce per poi rivenderla a ricettatori, luogo di commissione dei reati, parziale coincidenza dei soggetti concorrenti e continuità temporale), tuttavia non sono riconducibili a un medesimo disegno criminoso ma in una lettura complessiva sono piuttosto indicativi di uno stile di vita incline al delitto e dalla cui commissione il prevenuto trae il proprio sostentamento” (cfr. p. 10).
Ciò posto, non può non rilevarsi come la questione di diritto sottoposta all’attenzione del Collegio abbia formato oggetto di un’articolata elaborazione della giurisprudenza di legittimità.
L’orientamento dominante, infatti, è da tempo attestato sul principio che l’unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato e per l’applicazione della continuazione in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, atteso che le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, richiedendosi, in proposito, la progettazione “ah origine” di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali. Deve, dunque, escludersi che una tale progettazione possa essere presunta sulla sola base del medesimo rapporto di contrasto esistente tra i soggetti passivi e l’autore degli illeciti, come pure sulla base dell’identità o dell’analogia dei singoli reati o di un generico contesto delittuoso, ovvero ancora della unicità della motivazione o del fine ultimo
perseguito, occorrendo invece che il requisito in questione trovi dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva. (Nella specie è stata esclusa l’unicità del disegno criminoso non solamente sulla base dello iato temporale fra i due gruppi di episodi di rapina contestati, ma anche, e soprattutto, in considerazione delle particolari modalità di svolgimento delle condotte delittuose che risultavano differenti: cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004, Rv. 229052; Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, Rv. 284420).
Come è stato osservato con condivisibile assunto, il programma di vita delinquenziale si differenzia dall’unicità del disegno criminoso, esprimendo l’opzione del soggetto attivo del reato a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (cfr. Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Rv. 266615).
Resta ferma, ovviamente, la complessità dell’indagine che il giudice di merito deve compiere per accertare la sussistenza o meno dell’identità del disegno criminoso.
Al riguardo vanno ribaditi i principi espressi dalla Suprema Corte nella sua espressione più autorevole, secondo cui il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto
determinazione estemporanea (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270074).
Alla luce di tali principi non può non rilevarsi come la motivazione della sentenza oggetto di ricorso non dia realmente conto delle ragioni per cui, pur di fronte a una pluralità di indici, come si è visto specificamente indicati dalla stessa corte territoriale, astrattamente sintomatici dell’identità del disegno criminoso (che il giudice di appello comunque riconosceva limitatamente ai soli reati oggetto del presente procedimento), l’invocata applicazione della disciplina della continuazione non possa essere disposta, dovendosi considerare le singole condotte illecite semplici estrinsecazioni, contingenti ed estemporanee, di un genere di vita incline al reato, piuttosto che parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine.
Si tratta, invero, di una motivazione del tutto apparente, dovendosi intendere tale la motivazione che, come quella in esame, si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (cfr. Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, Rv. 263100).
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Torino, affinché provveda a colmare l’evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per il giudizio ad altra sezione della corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma il 16.2.2024.