Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8090 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a LEGNANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 10 gennaio 2023 la Corte di appello di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza formulata da NOME COGNOME di riconoscere il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con due sentenze di condanna per reati di riciclaggio, ricettazione e falso commessi tra il 2009 e il 2010 con vari complici, e per un reato di riciclaggio commesso nel 2009 per avere, con altri complici, ceduto all’estero un’autovettura di proprietà di una società di leasing, a cui era stata venduta ad un prezzo elevato a seguito di inganno.
La Corte di appello ha ritenuto non potersi riconoscere l’unicità di disegno criminoso tra tali reati per l’assenza di elementi idonei ad evidenziare tale unicità. Le varie condotte sono state commesse dal COGNOME nell’esercizio della sua attività di gestione di un salone di vendita auto e sfruttando le sue competenze e conoscenze nel settore, nonché riciclando autovetture acquisite in modo fraudolento in danno di società di leasing, ma le loro modalità sono state diverse, in particolare per avere egli agito in contesti criminosi diversi e con altri complici. Non vi sono elementi che dimostrino che tali fatti fossero compresi in un programma di attività delinquenziale predetermiNOME nelle sue linee generali, e non siano, piuttosto, dovuti ad una inclinazione del COGNOME a compiere questo tipo di reati.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi
2.1. Con il primo motivo deduce la carenza o apparenza della motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen.
La Corte di appello si è limitata a ricostruire le condanne subite senza analizzare in concreto la possibile sussistenza degli elementi da cui dedurre l’unicità del disegno criminoso, e dopo avere dato atto della presenza di analogie tra le condotte di reato ha escluso la continuazione solo per la diversità del contesto criminale in cui sono state commesse.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen.
La Corte di appello, dopo avere precisato che le condanne di cui alle due sentenze riguardano entrambe reati di riciclaggio su autovetture, commessi quale titolare di una concessionaria e tenute nel medesimo arco temporale, afferma illogicamente che l’omogeneità dei reati è indice solo di una inclinazione a delinquere, ed esclude la continuazione solo perché detti reati sono stati
commessi con complici diversi, deducendo da ciò l’esistenza di contesti delinquenziali diversi. La mera diversità dei complici non è motivo idoneo ad escludere la continuazione: il COGNOME, in quel periodo, si approvvigionava di auto ricevendole da altri soggetti che le acquisivano con modalità fraudolente, in particolare noleggiandole all’estero per portarle in Italia, e l’omogeneità dei reati consente di ritenere sussistente un unico disegno criminoso.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
1.1. L’ordinanza impugnata risulta sufficientemente motivata, con argomentazioni logiche e non contraddittorie.
Risulta in particolare corretta, perché fondata sul contenuto delle due sentenze, l’affermazione che le varie condotte di riciclaggio di auto sono state tenute con modalità non omogenee e in contesti criminosi diversi, nonché con altri complici. La Corte di appello ha perciò ritenuto, con motivazione logica, che dette condotte siano espressione solo di un generico programma di attività delinquenziale, avendo il ricorrente scelto di ricavare profitti con le diverse modalità illecite consentite dalla sua attività ufficiale, di gestione di un salone d vendita di autovetture. Anche recentemente questa Corte ha stabilito che in tema di reato continuato, l’esistenza del medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 2, n. 10539 del 10/02/2023, Rv. 284652). Nel presente caso la diversità del contesto, delle modalità operative e dell’identità dei complici può, quindi, essere ritenuta sufficiente per escludere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, trattandosi di indici oggettivamente molto significativi.
1.2. Il ricorso non si confronta adeguatamente con il provvedimento impugNOME, in quanto afferma che la diversità del contesto e la conseguente insussistenza di un unico disegno criminoso sono state dedotte solo dalla diversità dei complici, senza tenere conto della omogeneità dei reati e della loro identità spazio-temporale. L’ordinanza, invece, descrivendo nel dettaglio le modalità di consumazione dei reati, come accertata dalle due sentenze di merito, evidenzia la rilevante diversità del modus operandi, a cui consegue la necessità di associarsi a complici diversi, capaci di compiere le azioni indispensabili per
portare a termine le varie operazioni, come l’impiegata dell’agenzia di pratiche automobilistiche, la cui complicità era necessaria solo per commettere i falsi giudicati con la sentenza emessa in data 11 gennaio 2021 dalla Corte di appello di Milano. L’ordinanza ha, quindi, ben evidenziato la diversità dei contesti criminosi, dimostrata non dal mero fatto della diversità dei complici, bensì dalle modalità non omogenee delle varie condotte, che necessitavano della partecipazione di persone con specifiche, ma diverse, capacità.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente stabilito che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U., n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270074). L’ordinanza impugnata ha applicato correttamente tale principio, laddove ha affermato che la diversità del contesto criminale, per la difformità del modus operandi e conseguentemente dei complici, come motivatamente ritenuta, è sufficiente per escludere la sussistenza della invocata unicità del disegno criminoso.
Il ricorso, peraltro, non indica alcun elemento ulteriore, rispetto alla contiguità spazio-temporale e alla mera omogeneità dei titoli di reato, che dimostri l’originaria e unitaria programmazione di tutti i reati, pur nella loro diversità. L’ordinanza, invece, spiega in modo logico e non contraddittorio che tali elementi, di per sé non sufficienti per dimostrare l’unicità dell’originari disegno criminoso di tutti i delitti, sono contrastati dalla diversità dei contest criminali e delle modalità operative dei vari reati.
Il ricorso mira, di fatto, ad ottenere da questa Corte una diversa valutazione degli elementi su cui si fonda la decisione impugnata. Si deve sempre ricordare, invece, che «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argonnentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il
legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugNOME, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000 Rv. 216260). Esula, pertanto, dai poteri di questa Corte la formulazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, in quanto il giudizio di legittimità può riguardare solo la verifica dell’iter argonnentativo esposto nel provvedimento impugNOME, accertando se esso dia conto adeguatamente delle ragioni di quella decisione.
Nel presente caso la motivazione risulta adeguata, non illogica e non contraddittoria, nonché corretta alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali in tema di continuazione tra reati. Non vi sono, quindi, ragioni per il suo annullamento.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente