Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4900 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4900 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 03/12/1985
avverso l’ordinanza del 19/07/2024 del TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentita le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 19 luglio 2024 del Tribunale di Palermo che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di rapina, ai sensi dell’art. 628 cod. pen., giudicato dal G.u.p. del Tribunale di Palermo con sentenza del 4 febbraio 2011, definitiva 1’11 luglio 2012;
al reato di rapina, ai sensi dell’art. 628 cod. pen., giudicato dal Tribunale di Palermo con sentenza del 30 settembre 2021, definitiva il 16 febbraio 2024.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione, senza offrire sul punto alcuna valida motivazione, avrebbe in maniera errata rigettato la richiesta, nonostante vi fosse la prova degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali la contiguità cronologia tra le condotte accertate e l’omogeneità dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che l’istanza difettava della circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, che ricorre quando i singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’origine nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, al quale deve aggiungersi, volta per volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma delinquenziale.
Secondo il giudice dell’esecuzione, dalla lettura delle sentenze di merito si evinceva che le modalità esecutive delle condotte erano del tutto diverse, anche considerando che differenti erano stati i correi, con la sola eccezione di NOME COGNOME
Sul punto, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che, dall’analisi delle conversazioni intercettate nell’ambito dei procedimenti di cognizione, era emerso che ciascuna rapina era stata del tutto autonoma e indipendente dall’altra.
Pertanto, i reati oggetto dell’istanza, seppur omogeni tra loro e commessi in tempi ravvicinati, non erano tra loro collegati, nel senso che non vi era prova del
fatto che il condannato, nel momento in cui aveva posto in essere la prima azione delinquenziale, avesse già preventivato, seppur a grandi linee, di commettere anche l’ulteriore rapina.
Non vi era, quindi, la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella vicinanza cronologica tra i fatti, nella causale, nelle condizioni di tempo e di luogo, nelle modalità delle condotte, nella tipologia dei reati, nel bene tutelato e nella omogeneità delle violazioni (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Il giudice, quindi, ha evidenziato in modo ineccepibile che i reati, commessi con modalità differenti, non potevano essere avvinti dal vincolo della continuazione, anche per il tenore delle conversazioni intercettate che ha permesso ai giudici della cognizione di cogliere il diverso momento ideativo dei due reati nei gruppi di imputati in cui sono maturate le due distinte determinazioni criminose.
Con il contenuto di tali intercettazioni, infatti, il ricorrente non si è nemmeno genericamente confrontato.
La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle W GLYPH 0 ammende.
Così deciso il 29/11/2024