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Disegno criminoso: quando non si applica la continuazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva l’applicazione della continuazione per tre reati legati allo spaccio di stupefacenti, commessi a distanza di molti anni. La Corte ha stabilito che la notevole distanza temporale, la diversità dei luoghi e delle modalità esecutive dei reati sono elementi sufficienti per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso, configurando piuttosto una scelta di vita delinquenziale.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: Non Basta lo Stesso Tipo di Reato per la Continuazione

L’istituto della continuazione nel diritto penale rappresenta un’ancora di salvezza per chi ha commesso più reati, permettendo di unificarli sotto un’unica, più mite, sanzione. Tuttavia, il suo accesso non è automatico. È necessario dimostrare l’esistenza di un disegno criminoso unitario, un piano concepito sin dall’inizio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’analisi chiara di quando questo legame non sussiste, anche se i reati sono della stessa natura.

I Fatti del Caso

Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per tre distinti reati di spaccio di sostanze stupefacenti, commessi rispettivamente nel 2012, 2018 e 2019. L’interessato aveva richiesto al Tribunale, in fase di esecuzione della pena, di applicare l’istituto della continuazione, sostenendo che i tre episodi fossero parte di un unico piano criminale. Il Tribunale, però, aveva respinto la richiesta, sottolineando le profonde differenze tra i reati: un lasso temporale di sei anni tra il primo e il secondo, luoghi di commissione distanti e, soprattutto, modalità operative del tutto diverse. In due occasioni si trattava di cessione di ingenti quantità di marijuana, mentre nel terzo caso si parlava di una serie di vendite di eroina e cocaina.

L’Analisi della Corte e la Prova del Disegno Criminoso

Di fronte al ricorso dell’imputato, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, giudicando l’appello manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la decisione del giudice di merito era logica, completa e priva di contraddizioni. L’onere di dimostrare l’esistenza di un disegno criminoso originario spetta a chi richiede il beneficio della continuazione. In questo caso, il ricorrente non ha fornito alcun elemento concreto a sostegno della sua tesi.

La Corte ha evidenziato come la forte distanza temporale e la palese diversità delle modalità esecutive siano elementi che, logicamente, portano a escludere un’unica programmazione iniziale. Passare dalla gestione di grandi quantitativi di una sostanza a una serie di piccole cessioni di droghe completamente diverse, a distanza di anni e in luoghi differenti, non delinea un piano unitario, ma piuttosto una generica inclinazione a delinquere o, come definito dalla Corte, una “scelta di vita delinquenziale”.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su principi consolidati, richiamando anche una precedente sentenza delle Sezioni Unite. L’omogeneità dei reati, cioè il fatto che rientrino tutti nella stessa categoria (in questo caso, violazione della legge sugli stupefacenti), non è di per sé sufficiente a dimostrare la sussistenza della continuazione. È necessaria la prova di un’ideazione unitaria che preceda l’esecuzione del primo reato e che leghi tutte le condotte successive come parte di un unico progetto.

I giudici hanno specificato che la valutazione deve basarsi su indicatori oggettivi e concreti. La distanza temporale di sei anni tra il primo e il secondo episodio è stata considerata un fattore decisivo, troppo ampio per essere compatibile con un piano preordinato. A ciò si aggiunge la diversità sostanziale delle condotte, che rafforza l’idea di episodi criminali distinti e autonomi, nati da decisioni prese di volta in volta, piuttosto che da un programma iniziale. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la continuazione tra reati è un beneficio che richiede una prova rigorosa. Non basta affermare di aver agito secondo un unico piano; bisogna dimostrarlo con elementi concreti. Fattori come il tempo, il luogo e il modus operandi assumono un’importanza cruciale nella valutazione del giudice. Una notevole distanza cronologica e modalità esecutive eterogenee sono forti indizi contro l’esistenza di un unico disegno criminoso, suggerendo piuttosto una persistenza nell’attività illecita non programmata fin dall’origine. La decisione serve da monito: la scelta di una vita criminale non può essere confusa con un singolo, articolato piano delinquenziale.

È sufficiente commettere più volte lo stesso tipo di reato per ottenere la continuazione?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che l’omogeneità dei reati (cioè il fatto che siano dello stesso tipo) non prova di per sé l’esistenza di un unico disegno criminoso, che è il presupposto necessario per la continuazione.

Quali elementi possono escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso?
Elementi come una notevole distanza temporale tra i reati (in questo caso, sei anni), la diversità dei luoghi di commissione e modalità esecutive completamente diverse (es. spaccio di grandi quantità di una sostanza contro cessioni seriali di altre) sono considerati dalla Corte prove contrarie a un’unica programmazione iniziale.

Chi deve provare l’esistenza del disegno criminoso?
Secondo la Corte, spetta a chi richiede l’applicazione della continuazione (il ricorrente) fornire elementi concreti che dimostrino una programmazione unitaria di tutti i reati fin dall’inizio. In assenza di tale prova, l’istanza viene considerata generica e infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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