Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26607 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26607 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Polistena (RC) il DATA_NASCITA, difeso dall’AVV_NOTAIO del Foro di Reggio Calabria avverso l’ordinanza in data 11/09-22/12/2023 della Corte di appello di Milano, che aveva rigettato l’istanza di applicazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., della continuazione udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha concluso che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11/09-22/12/2023 della Corte di appello di Milano, era stata rigettata l’istanza di applicazione della continuazione, avanzata ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alle sentenze:
a-Corte appello Milano 24.07.2020 che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di nove anni e otto mesi di reclusione e 8500 Euro di multa per i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv., 576, 585, 628, primo e terzo comma, cod.
pen., art. 7 d.lgs. n. 152 del 1991 (rectius, plurimi episodi di estorsione, cfr. certificato penale), commessi tra il 2014 e il 2016;
b-Giudice per le indagini preliminari del Tribunale Monza 17.03.2016 che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 614, 582, 585, 635 cod. pen., commessi il 21 maggio 2015;
c-Corte appello Milano 06.07.2017 che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di dodici anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 56, 576 cod. pen., art. 4 legge n. 110 del 1975, commessi il 4 agosto 2016.
La Corte di appello ha premesso che, secondo il ricorrente, le condotte di reato dovrebbero inquadrarsi nelle vicende legate all’affermazione delrndrangheta nella regione Lombardia, nel cui contesto avrebbero potuto annoverarsi i reati di cui alla sentenza sub a) – assumendo, in sede esecutiva, una linea in evidente contrasto con quella adottata in quell’ambito processuale, volta invece a minimizzare gli episodi consumati quali iniziative teppistiche di un gruppo di giovani che, usando minacce, consumava senza pagare in alcuni locali di Cantù – insieme a quelli, espressione di un atteggiamento di prevaricazione e violenza, di cui al capo c).
Ha proseguito, sottolineando che, ad eccezione del dato cronologico, unico elemento che avrebbe potuto, in astratto, deporre in senso favorevole al riconoscimento della continuazione, le condotte criminose erano invece espressive di una tendenza del condannato a violare la legge penale.
La Corte distrettuale ha escluso che il generico richiamo alla sua appartenenza al circuito della criminalità organizzata potesse ritenersi sufficiente a giustificare la sussistenza di un «concreto e unificante disegno criminoso», aggiungendo che il comportamento di esibita violenza tenuto da COGNOME sarebbe stata la «negazione più clamorosa del suo intento di perseguire i medesimi scopi dell’organizzazione criminale», la quale, tradizionalmente, persegue le proprie finalità mediante un agire discreto e sottotraccia.
A tale appartenenza criminale avrebbe altresì ostato, nell’avviso della Corte, la giovane età di COGNOME il quale, più verosimilmente, si sarebbe peritato in percorsi di sopraffazione e rozza affermazione di sé, in assenza di una unitaria deliberazione di volontà, a suggellare la serie di reati commessi.
Ad avviso della Corte territoriale, la giovane età del condannato, ventenne all’epoca dei fatti suggerisce la persecuzione, da parte del medesimo, di «indeterminati percorsi di sopraffazione rozza affermazione di sé, nel quadro di un indistinto proposito di commettere reati, se non di manifestare una scelta di vita dedita al delitto, in ogni caso senza alcun atto psichico unico, ancorchè generico, di previsione e progettualità criminosa», rivelandosi insufficiente la sola prossimità temporale tra gli illeciti.
Ancora, la Corte ha evidenziato come la contiguità di COGNOME rispetto agli ambienti della criminalità organizzata gli abbia consentito di mutuare, in una sorta di emulazione criminale, il metodo mafioso dell’associazione criminale, senza avere tuttavia in animo di perseguire le finalità dell’organizzazione e che, per quanto riguarda il tentato omicidio (sentenza sub c), già in sede di cognizione, esso era stato giudicato “il segno di una primitiva concezione delle relazioni umane”, quale manifestazione assolutamente eterogenea rispetto all’appartenenza ad una organizzazione criminale.
In definitiva, secondo la Corte di appello, si trattava di condotte non collegabili tra loro da alcun vincolo di preventiva e unitaria ideazione, bensì espressione di una indeterminata attitudine a infrangere la legge penale che incarnava un vero e proprio stile di vita, caratterizzante l’esistenza del condannato, in quel determinato periodo storico.
Con tempestivo ricorso, la difesa lamenta, con unico motivo, violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 671 cod. proc. pen, 81 cpv. cod. pen.
Il ricorrente si duole della scorretta applicazione, da parte della Corte di appello, dei principi in tema di reato continuato, rammentando le ragioni storiche dell’introduzione dell’istituto, volto a temperare gli effetti del cumulo materiale delle pene, in una logica di favore nei confronti del reo.
Il giudice di merito ne avrebbe invece disatteso la ratio, negando l’unitarietà di disegno criminoso, nonostante ne ricorressero molteplici indici, sintetizzabili, con la giurisprudenza, nella contenuta distanza cronologica tra i fatti, nel luogo dei commessi reati, nelle modalità della condotta, nella tipologia di reati e loro omogeneità, nel bene giuridico tutelato dalle norme violate, nella sistematicità e nelle abitudini di vita programmate dall’agente.
Ad avviso del ricorrente, la consumazione dei reati sarebbe stata immotivatamente ricondotta a reiterate e autonome determinazioni criminose, correlate ad un’inclinazione a delinquere del reo.
Premesso che il dato cronologico avrebbe, in astratto, consentito il riconoscimento della continuazione, la Corte territoriale sarebbe incorsa in una motivazione illogica, atteso che, se lo stesso costituisce, a tal fine, un indicatore significativo, nella specie esso non era stato correttamente posto in correlazione agli altri dati salienti.
Sostiene il ricorrente che sarebbe evidente, in quanto percepibile ictu ocu/i, la illogicità della motivazione del provvedimento di diniego, concretando quindi il vizio di manifesta illogicità.
In proposito, il giudicante non avrebbe correttamente argomentato, omettendo di valutare che COGNOME aveva commesso reati con modalità analoghe,
in un arco temporale sovrapponibile, nel medesimo territorio di Cantù e finalizzate ad agevolare la ‘ndrangheta in Lombardia.
Si sarebbe trattato di condotte omogenee volte a sostenere quella organizzazione criminosa, come sarebbe evincibile dalla sentenza (pag. 165) della Corte di appello di Milano del 24.07.2020, relativa, tra l’altro, all’omicidio d NOME, per fatti avvenuti a Cantù tra il 2014 e il 2016, dove si fa riferimento al condannato quale «…partecipe della costellazione numerosa e presente di episodi in cui il gruppo dei calabresi continuava ad entrare nel locale e consumare a suo piacimento oltre che tenere di norma condotte volutamente prevaricatrici nei confronti del gestore e dei clienti di quel locale».
Le condotte menzionate sarebbero coincidenti con quelle oggetto delle altre due sentenze che hanno avuto ad oggetto fatti commessi nello stesso territorio e nello stesso arco temporale, rispettivamente in violazione dell’art. 585 e degli artt. 56, 575 cod. pen.
Ad avviso del ricorrente, dalla decisione del 25.07.2020 emergerebbe quindi che COGNOME fosse vicino al gruppo dei calabresi, i quali, attraverso comportamenti violenti, perseguivano l’obiettivo di controllare il territorio di Cantù.
Conseguentemente, proprio per avere agito nell’orbita di quel gruppo, il ricorrente avrebbe preventivato una serie indeterminata di reati, utili a tale obiettivo, come pure emergerebbe dalla sentenza del Tribunale di Como del 19.04.2019, nella quale si dava atto della partecipazione di COGNOME al gruppo criminale n’drangheta.
L’ordinanza impugnata avrebbe invece omesso di considerare tutti gli indici fattuali utili alla valutazione della sussistenza dell’unitario vinco incorrendo in errore di giudizio.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, siccome infondato, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Come costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali,
con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596-01).
2.1. L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, le analoghe modalità operative e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti e altro, Rv. 266413-01).
L’identità del disegno criminoso deve essere esclusa laddove, pur a fronte della contiguità spazio-temporale e del nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, COGNOME e altro, Rv. 254793-01), in quanto la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862-01).
2.2. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno riaffermato che, ai fini del riconoscimento della continuazione, anche in sede di esecuzione e non diversamente che nel processo di cognizione, è richiesta una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori (omogeneità delle violazioni e del bene protetto, contiguità spazio-temporale, singole causali, modalità della condotta, sistematicità ed abitudini programmate di vita), unitamente al fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
3. L’ordinanza impugnata, dopo avere premesso che il dato cronologico e spaziale avrebbero potuto astrattamente deporre per l’unitarietà del disegno criminoso, ha evidenziato che, dalle sentenze richiamate, non poteva invece evincersi la sussistenza di un programma criminoso predeterminato, almeno nei tratti essenziali.
La Corte, con percorso logico e conforme al dettato normativo, ha affermato, in primis, che, nell’ambito del processo relativo ai fatti giudicati con la sentenza sub a), l’imputato ebbe a scegliere una linea difensiva «tutta impegnata a svalutare gli episodi consumati in termini di teppistiche iniziative di un gruppo di giovani che consumava a scrocco nei locali di Cantù», scelta che
oggi è stata ritenuta, con motivazione esauriente e logica, essere distonica rispetto all’invocato riconoscimento dell’unitario disegno criminoso rispetto ai fatti giudicati con le sentenze in relazione alle quali si invoca il riconoscimento della continuazione.
La Corte di appello ha altresì affermato che, da un lato, non poteva ritenersi sufficiente «un generico richiamo alla sua appartenenza al circuito della delinquenza organizzata a giustificare la ricorrenza …di un concreto e unificante disegno criminoso», dall’altro che intorno alla negazione di tale appartenenza si era appuntata la linea difensiva dell’imputato nell’ambito del processo al cui esito era stata emessa la sentenza sub a), facendo discendere da tali considerazioni l’insussistenza della prova di una iniziale, ancorchè essenzialmente delineata, deliberazione relativa alla commissione dei reati commessi.
Inoltre, la Corte distrettuale ha osservato, con motivazione logica ed esauriente a fronte della quale è preclusa, in questa sede di legittimità, la rivalutazione nel merito della decisione, che ostano al riconoscimento dell’unitario disegno criminoso – in tesi ravvisabile nella appartenenza di COGNOME ad ambienti contigui alla criminalità organizzata -, sia le modalità delle condotte, che, caratterizzate da fragore e da esibita evidenza, non sarebbero coerenti con l’azione criminale propria dei gruppi associativi, improntata a discrezione e nascosta intimidazione, sia la sua giovane età, più verosimilmente compatibile con il compimento di «indeterminati percorsi di sopraffazione e rozza affermazione di sé in un quadro di indistinto proposito di commettere reati…in ogni caso senza alcun atto psichico unico, ancorchè generico, di previsione e progettualità criminosa» (pag. 3 ordinanza).
3.1. Analogamente logica risulta l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui la contiguità di COGNOME rispetto agli ambienti criminali cui fa riferimento il ricorso non sarebbe indicativa della condivisione delle finalità criminali dell”ndrangheta, bensì della manifestazione di una sorta di “appropriazione” da parte dello stesso di quel metodo criminale che, nel periodo in oggetto, lo aveva spinto a condotte violente e prevaricatrici.
E, in proposito, non assumono rilievo dirimente le generiche affermazioni, riportate in ricorso (pag. 17), afferenti alle condotte oggetto della decisione del Tribunale di Como del 19.04.2019 – non costituente oggetto della presente ricorso -, dalle quali la difesa opina sia desumibile la prova della identità di disegno criminoso circa le odierne vicende e che, contrariamente all’avviso del ricorrente, non rivestono alcun ruolo in relazione alle stesse.
3.2. In definitiva, il ricorrente, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, suggerisce una non consentita lettura alternativa degli
elementi processuali rispetto a quella coerentemente effettuata dalla Corte territoriale per respingere la sua istanza.
Ne deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 maggio 2024.