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Disegno criminoso: quando non si applica la continuazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione del reato continuato a diverse sentenze per gravi reati. La Corte ha stabilito che per riconoscere un unico disegno criminoso non basta la vicinanza temporale o il legame con la criminalità organizzata, ma serve la prova di un programma deliberato prima del primo reato, assente nel caso di specie dove le azioni sono state giudicate espressione di una generica e impulsiva tendenza a delinquere.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso e Reato Continuato: La Cassazione Fa Chiarezza

L’applicazione del reato continuato, un istituto che consente di mitigare la pena per chi commette più reati, dipende interamente dalla sussistenza di un disegno criminoso unitario. Ma cosa si intende esattamente con questo concetto? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26607 del 2024, offre chiarimenti cruciali, distinguendo tra una programmazione criminale preordinata e una semplice inclinazione a delinquere. La pronuncia sottolinea come non sia sufficiente una generica contiguità dei reati a contesti di criminalità organizzata per ottenere il beneficio.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un individuo condannato con tre sentenze separate per una serie di gravi reati, tra cui estorsione aggravata, rapina, lesioni, violazione di domicilio e tentato omicidio, commessi in un arco temporale di circa due anni (tra il 2014 e il 2016). L’imputato aveva richiesto alla Corte d’appello, in sede di esecuzione, di applicare la disciplina del reato continuato, sostenendo che tutti gli episodi delittuosi fossero riconducibili a un unico disegno criminoso: l’affermazione del potere di un’associazione di tipo mafioso sul territorio.

La Corte territoriale, tuttavia, aveva rigettato l’istanza. Secondo i giudici, ad eccezione del dato puramente cronologico, mancavano elementi per affermare l’esistenza di un progetto unitario. Le condotte erano state giudicate piuttosto come espressione di una generica tendenza a violare la legge, caratterizzata da violenza esibita e sopraffazione, tipica di un percorso di affermazione personale rozzo e non di una strategia criminale pianificata. Inoltre, la giovane età del condannato e la natura plateale dei reati sono stati ritenuti elementi contrari alla logica discreta e sotterranea tipica delle organizzazioni criminali mature.

Il Ricorso in Cassazione e l’analisi del disegno criminoso

La difesa ha impugnato la decisione della Corte d’appello, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe considerato adeguatamente gli indici sintomatici della continuazione, come la vicinanza temporale e geografica dei fatti, l’omogeneità delle condotte e il contesto di criminalità organizzata in cui si inserivano. La difesa sosteneva che i reati fossero tutti finalizzati a sostenere l’organizzazione criminale, come emergerebbe da altre sentenze relative a fatti accaduti nel medesimo contesto.

In sostanza, il ricorso mirava a dimostrare che la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere un disegno criminoso unitario, anziché frammentare le condotte in episodi autonomi dettati da una generica propensione al crimine.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando integralmente la decisione della Corte d’appello. La sentenza ribadisce i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di reato continuato.

Il punto centrale della motivazione risiede nella distinzione tra un disegno criminoso, che deve essere specifico e predeterminato, e un programma delinquenziale generico. La Corte afferma che, per applicare la continuazione, è necessario dimostrare che l’agente, fin dalla commissione del primo reato, avesse già programmato i successivi, almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente una generica ‘scelta di vita’ dedita al delitto.

La Suprema Corte ha ritenuto logica e coerente la valutazione dei giudici di merito, i quali hanno escluso l’esistenza di un programma preordinato. Gli elementi valorizzati dalla Corte d’appello, come le modalità esecutive plateali e violente, sono stati considerati incompatibili con le finalità di un’associazione criminale che agisce, di norma, in modo più strategico. La condotta dell’imputato è stata interpretata come il frutto di una ‘emulazione criminale’ e di un’indeterminata attitudine a infrangere la legge, piuttosto che l’esecuzione di un piano unitario.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato come la linea difensiva tenuta nel processo di cognizione – dove i fatti erano stati minimizzati a ‘iniziative teppistiche’ – fosse in palese contrasto con la successiva richiesta di riconoscimento di un disegno criminoso legato alla mafia.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un principio fondamentale: per il riconoscimento del reato continuato, non bastano indici esteriori come la vicinanza nel tempo e nello spazio dei reati. È indispensabile provare l’esistenza di un elemento psicologico preciso: un’unica e preventiva deliberazione che abbracci tutti gli episodi delittuosi. Un generico proposito di commettere reati o la semplice appartenenza a un contesto criminale non integrano di per sé il ‘medesimo disegno criminoso’ richiesto dall’art. 81 c.p.

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche, poiché chiarisce che la valutazione del giudice deve andare oltre la superficie dei fatti e indagare la reale programmazione psicologica dell’agente, escludendo il beneficio della continuazione quando i reati appaiono come il frutto di determinazioni estemporanee e occasionali, seppur ripetute nel tempo.

Cos’è un ‘disegno criminoso’ ai fini del reato continuato?
È un programma specifico e unitario, deliberato prima della commissione del primo reato, che preveda già la realizzazione dei reati successivi, almeno nelle loro linee essenziali. Una generica tendenza a delinquere o una scelta di vita criminale non sono sufficienti.

La vicinanza nel tempo e nello spazio tra più reati è sufficiente per dimostrare un unico disegno criminoso?
No. Secondo la Corte, la contiguità spazio-temporale è un indicatore, ma non è di per sé sufficiente a provare la continuazione se i reati risultano comunque frutto di determinazioni estemporanee e non di un piano preventivo.

L’appartenenza a un’organizzazione criminale giustifica automaticamente l’applicazione del reato continuato?
No. La sentenza chiarisce che un generico richiamo all’appartenenza a un circuito di criminalità organizzata non è sufficiente a giustificare l’esistenza di un ‘concreto e unificante disegno criminoso’ per i singoli reati commessi, i quali devono essere specificamente previsti in un piano unitario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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