Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13106 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ENNA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/06/2023 del GIP TRIBUNALE di CALTANISSETTA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/s~ le conclusioni del PG
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di furto aggravato, ai sensi degli artt. 624 e 625, primo comma, n. 7, cod. pen., commesso il 15 giugno 2016 in Sommatino, giudicato dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 16 maggio 2018, definitiva il 29 febbraio 2020;
ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi in Pietraperzia da febbraio ad aprile 2017, giudicati dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 15 ottobre 2020, definitiva il 10 giugno 2021;
a più reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanza stupefacente, ai sensi dell’art. 73 T.U. stup., commessi in epoca antecedente al 7 giugno 2015 in Pietraperzia, giudicati dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 16 maggio 2018, definitiva 1’11 novembre 2021;
al reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 T.U. stup., commesso il 16 novembre 2018 in Pietraperzia, giudicato ex art. 444 cod. proc. pen. dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta con sentenza del 22 marzo 2022, definitiva il 5 maggio 2022.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di rilevare la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali l’omogeneità dei reati, le medesime modalità esecutive delle condotte e il ridotto arco temporale nel quale i reati erano stati commessi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha evidenziato che l’istanza difettava della prova circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, che ricorre quando i
singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’origine nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, al quale deve aggiungersi, volta per volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma delinquenziale.
Secondo il giudice dell’esecuzione, dalla lettura delle sentenze di merito, si evinceva che i reati erano stati commessi a notevole distanza di tempo l’uno dall’altro e con modalità differenti, perché in alcuni casi in forma associata ed in altri agendo in modo individuale.
Non vi era, pertanto, la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella vicinanza cronologica tra i fatti, nella causale, nelle condizioni di tempo e di luogo, nelle modalità delle condotte, nella tipologia dei reati, nel bene tutelato e nella omogeneità delle violazioni (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Il giudice dell’esecuzione, quindi, fornendo una decisione logica e coerente, ha evidenziato in modo ineccepibile che i reati, commessi in tempi diversi e con modalità differenti, non potevano essere avvinti dal vincolo della continuazione. La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 07/12/2023 8