Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8096 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8096 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/02/2023 del GIP TRIBUNALE di MANTOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 22 febbraio 2023 il Tribunale di Mantova, Ufficio Gip/Gup, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza formulata da NOME COGNOME per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con undici sentenze irrevocabili.
Il giudice ha ritenuto di non poter riconoscere l’unicità di disegno criminoso tra tali delitti perché la sola omogeneità dei titoli di reato, essendo tutti delit contro il patrimonio, non è sufficiente per evidenziare la sussistenza di un unico disegno criminoso, e perché nel caso di specie le modalità di commissione dei vari reati sono sempre differenti, in quanto essi sono stati commessi talvolta in concorso con altri soggetti, sempre diversi, talvolta con violenza sulle cose, altre volte con violenza sulle persone, nonché sono stati commessi in un lungo arco temporale intervallato anche da arresti in flagranza, ammissioni di responsabilità, periodi di detenzione. Tutte queste circostanze depongono per l’assenza di un unico disegno criminoso, essendo inverosimile che un simile disegno sia rimasto inalterato per anni, nonostante il verificarsi di eventi interruttivi di un eventuale programma criminoso. La reiterazione delle condotte criminose, in questo caso, è espressione non di un’unica volontà delittuosa, ma di una inclinazione a delinquere e programnnaticità del ricorso al crimine come stile di vita, da non confondere con l’unicità di disegno criminoso.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la manifesta illogicità della motivazione.
Il giudice ha incomprensibilmente ritenuto che l’unicità del disegno criminoso fosse esclusa da “ammissioni di responsabilità” e da altre circostanze non precisate. Gli arresti in flagranza e i periodi di detenzione, poi, non dipendono dalla volontà del reo e quindi non costituiscono degli eventi interruttivi del disegno criminoso, ma, al massimo, dei periodi di necessitata sospensione del programma criminoso.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il ricorso è manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’ordinanza impugnata ha ampiamente motivato le ragioni del diniego dell’applicazione dell’istituto della continuazione, affermando l’insufficienza del solo elemento unificante presente, quello della omogeneità delle violazioni, per dimostrare la sussistenza di un unico disegno criminoso, non essendo tale indice accompagnato da modalità operative analoghe, tali da assurgere ad elemento sintomatico di detta unicità, ma essendo stati i reati commessi con modalità così diverse da deporre per l’assenza di un momento ideativo e volitivo unitario. A questa assenza di elementi indicativi di una unicità di disegno criminoso si aggiunge il fatto che tali reati sono stati commessi in un lungo arco temporale, durante il quale il ricorrente ha subito arresti in flagranza e periodi di detenzione.
La motivazione è, dunque, logica e non contraddittoria, e conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U., n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270074). L’ordinanza ha infatti valutato l’insussistenza di elementi positivi, indicativi di una programmazione unitaria, e la sussistenza di un elemento che contrasta con l’ipotesi di tale unicità di disegno criminoso, essendo logica la valutazione della non plausibilità del permanere di un unico disegno criminoso per un arco temporale lungo, e nonostante che l’attività criminosa venga interrotta da arresti e periodi di detenzione. La prosecuzione nel tempo di un’attività delinquenziale caratterizzata da reati contro il patrimonio sempre diversi tra loro, attività che viene ripresa dopo il verificarsi di simili even interruttivi, è stata logicamente ritenuta indicativa dell’adozione di uno stile di vita genericamente delinquenziale, ma non di una unitaria programmazione di specifici reati. Tale motivazione applica, quindi, il consolidato principio di questa Corte, che anche recentemente ha ribadito che «In tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula un programma di condotte illecite previamente ideato e voluto, ma non si identifica con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato» (Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284420). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. il ricorso non si confronta adeguatamente con questa motivazione, in quanto si limita ad affermare che gli arresti e i periodi di detenzione non sono eventi interruttivi del programma criminoso, e non consentono di escludere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i vari reati. L’ordinanza non viene, quindi, censurata nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha escluso la sussistenza di idonei indici rivelatori di una unicità del disegno criminoso, essendo insufficiente il solo indice della omogeneità delle violazioni, in assenza di una analogia delle modalità operative. Il ricorso non contesta, infatti, questa argomentazione del giudice dell’esecuzione, e neppure la contrasta indicando la presenza di un qualunque elemento, idoneo a dimostrare la sussistenza di un unico disegno criminoso.
L’affermazione della irrilevanza degli arresti e delle detenzioni per escludere l’unicità di disegno criminoso, poi, non tiene conto dei principi dettati da questa Corte, secondo cui «In tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, è legittima l’ordinanza che esclude la sussistenza del vincolo della continuazione in considerazione sia del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie risultanze probatorie), sia dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente, verosimilmente interruttivi di qualunque progetto, non potendo concepirsi che un disegno delittuoso includa anche gli arresti, l’espiazione delle pene e le riprese del fantomatico progetto esecutivo». (Sez. 1, n. 44988 del 17/09/2018, Rv. 273984). L’ordinanza impugnata si è adeguata a questa pronuncia, in quanto ha previamente valutato la possibile sussistenza di quegli elementi che possono rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni, in particolare le modalità esecutive dei vari reati, e solo dopo l’esito negativo di tale verifica ha constatato la presenza di situazioni potenzialmente indicative di una interruzione di un programma unitario, qualora fosse stato concepito. Essa, quindi, è completa, non manifestamente illogica né contraddittoria, e non vi sono ragioni per il suo annullamento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, per la sua manifesta infondatezza.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente