Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23434 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23434 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata in Francia il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Gorizia, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 27/11/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Gorizia, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha – per quanto di interesse in questa sede – respinto la domanda di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, ai sensi dell’art.671 cod. proc. pen., proposta nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento ai reati per i quali la stessa era stata riconosciuta colpevole con le sentenze irrevocabili indicate nella istanza.
Il Tribunale, in sostanza, ha escluso che le citate violazioni di legge fossero espressione del medesimo disegno criminoso, apparendo piuttosto indice di abitualità nel reato.
Avverso la predetta ordinanza la condannata, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insisten per l’annullamento del provvedimento impugnato.
La ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione osservando che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice dell’esecuzione, nel caso in esame sussistono gli elementi caratteristici della continuazione, trattandosi di reati della stessa specie (furti consumati o tentati in appartamento mediante effrazione) commessi in un ristretto arco temporale, con complici (a volte identificati) ed in un ambito territoriale ristretto. Inoltre, anche l’utilizzo di alias da parte della condannata in occasione dei vari arresti è indice della unicità del disegno criminoso posto alla base dei diversi delitti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, Di Maria, Rv. 243632). Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la
individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
2.1. L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità de lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti e altro, Rv. 266413). L’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spaziotemporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori (da ultimo Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, COGNOME e altro, Rv. 254793).
La ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
2.2. Anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
Ciò posto si rileva che l’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha respinto la domanda ex art.671 cod. proc. pen. escludendo la unicità del disegno criminoso alla luce della assenza di elementi dai quali desumere che l’odierna ricorrente, sin dalla consumazione del primo reato, avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quelli successivi tenuto conto della distanza temporale tra di essi (anche di alcuni mesi), dei differenti luoghi di commissione (posti in
distinte Regioni e distanti tra loro anche 100 km, come indicato nello stesso ricorso) e dei diversi complici.
3.1. In tale contesto i reati commessi sono stati ritenuti, in modo non illogico, riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore, tenuto anche conto della utilizzazione di differenti alias da parte della condannata e della consumazione di ulteriori delitti anche in epoca successiva (sino al 2007) a riprova della abitualità a delinquere.
3.2. Ne consegue che la ricorrente, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, suggerisce una non consentita lettura alternativa degli elementi processuali, rispetto a quella coerentemente svolta dal Tribunale di Gorizia per respingere la sua istanza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 2 maggio 2024.