Disegno Criminoso: Limiti e Differenza con la ‘Scelta di Vita’ Criminale
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio quando più reati sono legati da un unico disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con la recente ordinanza n. 12125/2024, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta tra una programmazione criminale unitaria e una mera inclinazione a delinquere, stabilendo criteri precisi basati sulla distanza temporale e spaziale dei reati.
I Fatti del Caso: Una Serie di Reati su Lunga Distanza
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata per una serie di reati contro il patrimonio, tra cui furti, rapine e false attestazioni, commessi nell’arco di circa dieci anni (dal 2009 al 2019) in diverse città italiane, tra cui Bologna, Pisa, Firenze e Venezia. In fase di esecuzione della pena, la condannata ha richiesto al Tribunale di Padova di applicare la disciplina del reato continuato, sostenendo che tutti i delitti fossero riconducibili a un unico disegno criminoso.
Il giudice dell’esecuzione ha rigettato la richiesta, motivando che la notevole distanza temporale e la diversità dei luoghi in cui i reati erano stati commessi impedivano di riconoscere un progetto unitario, preordinato sin dall’inizio. Contro questa decisione, la parte ha proposto ricorso in Cassazione.
Il Ricorso e la Tesi del Disegno Criminoso Unitario
Nel suo ricorso, la difesa ha lamentato una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la tesi difensiva, il giudice non avrebbe considerato adeguatamente che i reati erano per lo più omogenei (delitti contro il patrimonio) e che il contesto temporale, sebbene ampio, fosse comunque coerente con l’esistenza di un piano unitario. Si sosteneva, in pratica, che la serialità e la tipologia dei reati fossero di per sé indicative di una programmazione unica.
Le Motivazioni della Cassazione sul Disegno Criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza del ragionamento del giudice dell’esecuzione, ribadendo un principio fondamentale: l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile fin dalla commissione del primo reato. Non può essere desunta a posteriori da elementi generici.
Nel dettaglio, la Corte ha evidenziato i seguenti punti critici che escludono l’esistenza di un piano unitario:
1. Distanza Temporale: I fatti sono stati commessi a distanza di anni l’uno dall’altro. Questo ampio lasso di tempo rende improbabile che tutti i reati fossero stati programmati sin dall’inizio.
2. Distanza Spaziale: I reati sono avvenuti in contesti geografici molto distanti tra loro, il che indebolisce ulteriormente l’idea di un’unica strategia coordinata.
3. Assenza di Elementi Concreti: Dagli atti non emergevano elementi concreti a sostegno di un’unica programmazione, ma solo una successione di episodi criminali.
In base a questi elementi, la Corte ha concluso che la condotta della ricorrente non rispecchiava un singolo progetto, bensì un “programma di vita improntato al crimine”. Questa condizione, caratterizzata da una generica propensione a commettere reati quando se ne presenta l’occasione, è incompatibile con la specificità richiesta dall’istituto del reato continuato.
Le Conclusioni: Disegno Criminoso vs. ‘Scelta di Vita’ Criminale
L’ordinanza in commento è di grande importanza pratica perché chiarisce la distinzione tra un autentico disegno criminoso e una semplice ‘carriera’ o ‘scelta di vita’ criminale. Per ottenere il beneficio del reato continuato, non è sufficiente dimostrare che i reati sono dello stesso tipo. È necessario provare, con elementi concreti, che essi erano parte di un piano deliberato e concepito unitariamente prima della commissione del primo reato. La grande distanza temporale e geografica tra i vari episodi diventa un indice forte in senso contrario, che sposta l’interpretazione dei fatti da una singola programmazione a una più generale e costante attitudine a delinquere. La decisione si conclude con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, data la manifesta infondatezza delle sue doglianze.
Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso?
Secondo la Corte, un disegno criminoso unitario richiede che l’identità del piano sia rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e non può essere desunta da reati commessi a grande distanza di tempo e in luoghi diversi, in assenza di specifici elementi concreti che provino una programmazione iniziale.
Perché la Cassazione ha ritenuto che in questo caso non fosse applicabile il reato continuato?
La Corte ha rigettato la richiesta perché i reati erano stati commessi in un arco temporale molto lungo (circa un decennio) e in città distanti tra loro. Questa modalità è stata considerata indicativa di un ‘programma di vita improntato al crimine’, piuttosto che dell’esecuzione di un piano unitario e preordinato.
Cosa distingue un disegno criminoso da una ‘scelta di vita’ criminale ai fini dell’art. 81 c.p.?
Il disegno criminoso implica un’unica risoluzione iniziale di commettere una serie di reati specifici. Una ‘scelta di vita’ criminale, invece, rappresenta una propensione generica e costante a delinquere, che si manifesta in modo occasionale e non programmato. Solo la prima condizione permette l’applicazione del reato continuato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12125 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/11/2023 del TRIBUNALE di PADOVA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il Tribunale di Padova, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di COGNOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra i reati oggetto delle sentenze pronunciate Tribunale di Bologna (reato ex art. 495 cod. pen. commesso il 13/1/2009 a Bologna), Tribunale di Pisa (ex art. 624 e 625, commesso 1’8/2/2016 a Pisa), Tribunale di Firenze (ex art. 81 e 496 cod. pen. commessi a Firenze e Pisa sino al 27/8/2013), Tribunale di Pisa (ex art. 56 e 624,625, commesso il 12/6/2019), Corte di Appello di Venezia (ex artt. 56, 628, comma 2, cod. pen, 582, 585 e 495 cod. pen., commessi a Venezia);
Rilevato che con il ricorso si denunciano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione sarebbe errata in quanto il giudice non avrebbe tenuto nel dovuto conto che reati si riferiscono a reati per lo più omogenei, delitti contro il patrimonio, e in un contesto temporale, comunque, coerente con l’esistenza di un disegno unitario;
Rilevato che la doglianza oggetto del ricorso è manifestamente infondata in quanto il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali, in assenza di elementi concreti, emerge che i fatti sono stati commessi a distanza di tempo, in genere circa un anno se non di più, e in contesti spaziali distanti tra loro (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 dei 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 01) e ciò anche evidenziando che la commissione dei molteplici reati è piuttosto significativa di un programma di vita improntato al crimine, incompatibile con l’applicazione dell’istituto invocato;
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7/03/2024