Medesimo Disegno Criminoso: La Cassazione chiarisce i limiti
L’istituto del reato continuato, fondato sull’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rappresenta un elemento cruciale nel diritto penale per la determinazione della pena. Esso consente di unificare giuridicamente più reati, considerandoli come parte di un unico piano, con un trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi presupposti per il suo riconoscimento, distinguendo nettamente tra un piano preordinato e la semplice ripetizione di condotte illecite.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per tre distinti reati, commessi in un arco temporale che va dall’autunno 2016 all’agosto 2017: circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), furto in abitazione in concorso (artt. 110, 624 bis, 625 c.p.) e tentato furto aggravato (artt. 56, 624, 625 c.p.).
In fase di esecuzione della pena, il condannato ha richiesto al Tribunale competente di applicare la disciplina del reato continuato (art. 81 c.p.), sostenendo che tutti gli illeciti fossero riconducibili a un unico disegno criminoso. A sostegno della sua tesi, adduceva le sue precarie condizioni di vita: all’epoca dei fatti, era stato da poco scarcerato, viveva da solo e non aveva un’occupazione lavorativa. Secondo la sua difesa, questa situazione di difficoltà lo avrebbe spinto a pianificare una serie di reati per sopravvivere. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha però rigettato la richiesta, spingendo il condannato a ricorrere per Cassazione.
La Decisione della Corte: il “Disegno Criminoso” non è mera ripetizione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando in toto la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il provvedimento impugnato aveva correttamente e adeguatamente motivato l’insussistenza di un medesimo disegno criminoso.
La Corte ha chiarito che non vi era alcun elemento concreto dal quale desumere che il condannato, sin dalla commissione del primo reato, si fosse già prefigurato di compiere anche gli altri. La semplice contiguità temporale tra gli episodi non è, di per sé, una prova sufficiente.
Le Motivazioni
La decisione della Corte si fonda su principi consolidati in giurisprudenza, che meritano di essere analizzati.
Distinzione tra Piano Unitario e Reiterazione
Il cuore della motivazione risiede nella distinzione fondamentale tra il disegno criminoso e la mera reiterazione di reati. Per aversi reato continuato, non basta commettere più violazioni della legge penale. È necessario che l’agente abbia concepito, fin dall’inizio, un piano unitario che prevede la commissione di una serie di delitti. Questo piano deve essere il motore psicologico che lega le diverse azioni. La Corte ha ribadito che l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile sin dal primo delitto e non può essere desunta a posteriori dalla semplice ripetizione delle condotte.
Diversità dei Reati Commessi
Un altro punto cruciale è stata la diversità dei reati contestati. Essi erano differenti sia per natura (circonvenzione di incapace e furti) sia per modalità esecutive. Questa eterogeneità, secondo la Corte, indebolisce l’ipotesi di un programma criminoso unitario e preordinato, suggerendo piuttosto una serie di decisioni delinquenziali separate e occasionali, seppur ravvicinate nel tempo.
Onere della Prova e Genericità del Ricorso
Infine, la Corte ha censurato la genericità delle doglianze del ricorrente. Le sue argomentazioni, basate sulle condizioni personali e di vita, sono state ritenute insufficienti a dimostrare l’esistenza di un piano criminoso. Spetta a chi invoca l’applicazione del reato continuato fornire elementi concreti a sostegno della propria tesi. In assenza di tali elementi, il ricorso si risolve in una critica generica alla valutazione del giudice di merito, non ammissibile in sede di legittimità.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame riafferma con chiarezza un principio fondamentale: per il riconoscimento del medesimo disegno criminoso non è sufficiente una generica spinta al delitto derivante da condizioni di vita difficili, né la mera vicinanza temporale tra più reati. È indispensabile la prova di un programma criminoso unitario, preordinato e specifico, che abbracci tutti gli episodi delittuosi fin dal primo momento. Questa pronuncia consolida un orientamento rigoroso, volto a evitare un’applicazione eccessivamente estensiva e impropria dell’istituto del reato continuato, che deve rimanere ancorato a precisi e dimostrabili presupposti soggettivi.
Quando si può parlare di medesimo disegno criminoso?
Si può parlare di medesimo disegno criminoso solo quando è dimostrabile che l’autore dei reati aveva concepito un piano unitario e preordinato per commettere una serie di illeciti, prima ancora di iniziare l’esecuzione del primo.
La semplice ripetizione di reati in un breve periodo è sufficiente a dimostrare un disegno criminoso?
No. Secondo questa ordinanza, la mera reiterazione di reati, anche se caratterizzata da una relativa contiguità temporale, non è di per sé sufficiente a provare l’esistenza di un disegno criminoso, specialmente se i reati sono diversi per natura e modalità esecutive.
Le condizioni di vita disagiate di un condannato possono provare l’esistenza di un disegno criminoso?
No. La Corte ha stabilito che le condizioni di vita del condannato (come essere scarcerato, vivere da solo e non avere un lavoro) non costituiscono, da sole, un elemento da cui si possa desumere l’esistenza di un piano criminoso unitario.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8439 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ASTI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza dei 18/09/2023 del TRIBUNALE di ASTI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che il Tribunale di Asti, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richies COGNOME NOME di applicare la disciplina di cui all”art. 81 cod. pen. tra i reati ogget sentenza emessa dal Tribunale di Asti del 17/07/2019 (per il reato di cui agli artt. 56, 624, cod. pen., commesso in Asti in data 08/08/2017), dalla Corte d’appello di Torino del 23/09/2021 (per il reato di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 cod. pen., commesso in Celle Enomondo in data 01/01/2017), dal Tribunale di Asti del 07/01/2019 (per il reato di c:ui all’art. 643 cod. commesso in Asti dall’autunno 2016 al dicembre 2016).
Rilevato che con il ricorso si deduce vizio di motivazione in quanto il Tribunale avrebb omesso di valutare una circostanza rilevante, ai fini dell’individuazione del medesimo disegn criminoso, costituita dalle condizioni di vita del condannato, il quale, nel periodo di commiss degli illeciti, era stato scarcerato, viveva da solo e non svolgeva alcuna attività lavorativa.
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso sono manifestamente infondate in quanto il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza del medesimo disegno criminoso, non essendovi alcun elemento da cui desumere che il condannato, sin dalla commissione del primo reato di furto in abitazione, si fosse prefigurato di commettere gli a illeciti, caratterizzati da una soltanto relativa contiguità temporale e differenti quanto a n modalità esecutive (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n 13971 del 30/3/2021, COGNOME COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il Tribunale ha adeguatamente e correttamente motivato quanto alla necessità che l’identità del disegno criminoso, dovendosi distinguere dalla mera reiterazione de reato, debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo delitto e come questo non sia desumibile dagli atti (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. n. 13971 del 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze, oltre ad esser generiche, denunciano difetti di motivazione non emergenti nel provvedimento impugnato;
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8/02/2024