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Disegno criminoso: quando non si applica il reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della disciplina del reato continuato, basata su un unico disegno criminoso. La Corte ha stabilito che la vicinanza temporale e la commissione di più illeciti, diversi per natura e modalità, non sono sufficienti a dimostrare un piano criminoso unitario concepito prima del primo reato, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Medesimo Disegno Criminoso: La Cassazione chiarisce i limiti

L’istituto del reato continuato, fondato sull’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rappresenta un elemento cruciale nel diritto penale per la determinazione della pena. Esso consente di unificare giuridicamente più reati, considerandoli come parte di un unico piano, con un trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi presupposti per il suo riconoscimento, distinguendo nettamente tra un piano preordinato e la semplice ripetizione di condotte illecite.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per tre distinti reati, commessi in un arco temporale che va dall’autunno 2016 all’agosto 2017: circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), furto in abitazione in concorso (artt. 110, 624 bis, 625 c.p.) e tentato furto aggravato (artt. 56, 624, 625 c.p.).

In fase di esecuzione della pena, il condannato ha richiesto al Tribunale competente di applicare la disciplina del reato continuato (art. 81 c.p.), sostenendo che tutti gli illeciti fossero riconducibili a un unico disegno criminoso. A sostegno della sua tesi, adduceva le sue precarie condizioni di vita: all’epoca dei fatti, era stato da poco scarcerato, viveva da solo e non aveva un’occupazione lavorativa. Secondo la sua difesa, questa situazione di difficoltà lo avrebbe spinto a pianificare una serie di reati per sopravvivere. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha però rigettato la richiesta, spingendo il condannato a ricorrere per Cassazione.

La Decisione della Corte: il “Disegno Criminoso” non è mera ripetizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando in toto la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il provvedimento impugnato aveva correttamente e adeguatamente motivato l’insussistenza di un medesimo disegno criminoso.

La Corte ha chiarito che non vi era alcun elemento concreto dal quale desumere che il condannato, sin dalla commissione del primo reato, si fosse già prefigurato di compiere anche gli altri. La semplice contiguità temporale tra gli episodi non è, di per sé, una prova sufficiente.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati in giurisprudenza, che meritano di essere analizzati.

Distinzione tra Piano Unitario e Reiterazione

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione fondamentale tra il disegno criminoso e la mera reiterazione di reati. Per aversi reato continuato, non basta commettere più violazioni della legge penale. È necessario che l’agente abbia concepito, fin dall’inizio, un piano unitario che prevede la commissione di una serie di delitti. Questo piano deve essere il motore psicologico che lega le diverse azioni. La Corte ha ribadito che l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile sin dal primo delitto e non può essere desunta a posteriori dalla semplice ripetizione delle condotte.

Diversità dei Reati Commessi

Un altro punto cruciale è stata la diversità dei reati contestati. Essi erano differenti sia per natura (circonvenzione di incapace e furti) sia per modalità esecutive. Questa eterogeneità, secondo la Corte, indebolisce l’ipotesi di un programma criminoso unitario e preordinato, suggerendo piuttosto una serie di decisioni delinquenziali separate e occasionali, seppur ravvicinate nel tempo.

Onere della Prova e Genericità del Ricorso

Infine, la Corte ha censurato la genericità delle doglianze del ricorrente. Le sue argomentazioni, basate sulle condizioni personali e di vita, sono state ritenute insufficienti a dimostrare l’esistenza di un piano criminoso. Spetta a chi invoca l’applicazione del reato continuato fornire elementi concreti a sostegno della propria tesi. In assenza di tali elementi, il ricorso si risolve in una critica generica alla valutazione del giudice di merito, non ammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame riafferma con chiarezza un principio fondamentale: per il riconoscimento del medesimo disegno criminoso non è sufficiente una generica spinta al delitto derivante da condizioni di vita difficili, né la mera vicinanza temporale tra più reati. È indispensabile la prova di un programma criminoso unitario, preordinato e specifico, che abbracci tutti gli episodi delittuosi fin dal primo momento. Questa pronuncia consolida un orientamento rigoroso, volto a evitare un’applicazione eccessivamente estensiva e impropria dell’istituto del reato continuato, che deve rimanere ancorato a precisi e dimostrabili presupposti soggettivi.

Quando si può parlare di medesimo disegno criminoso?
Si può parlare di medesimo disegno criminoso solo quando è dimostrabile che l’autore dei reati aveva concepito un piano unitario e preordinato per commettere una serie di illeciti, prima ancora di iniziare l’esecuzione del primo.

La semplice ripetizione di reati in un breve periodo è sufficiente a dimostrare un disegno criminoso?
No. Secondo questa ordinanza, la mera reiterazione di reati, anche se caratterizzata da una relativa contiguità temporale, non è di per sé sufficiente a provare l’esistenza di un disegno criminoso, specialmente se i reati sono diversi per natura e modalità esecutive.

Le condizioni di vita disagiate di un condannato possono provare l’esistenza di un disegno criminoso?
No. La Corte ha stabilito che le condizioni di vita del condannato (come essere scarcerato, vivere da solo e non avere un lavoro) non costituiscono, da sole, un elemento da cui si possa desumere l’esistenza di un piano criminoso unitario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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